lunedì 5 Maggio 2025
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“Complice la poesia”: il libro di Gian Paolo Caprettini per L’Indipendente

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I nostri lettori conoscono da tempo Gian Paolo Caprettini, professore di Semiotica e Semiologia del cinema e già direttore del master in Giornalismo dell’Università di Torino, che fin dalla fondazione collabora alla pagina culturale de L’Indipendente. La sua capacità di analisi, la libertà di pensiero oltre ogni dogma, la sua penna tagliente ma mai aggressiva, hanno nel tempo reso la sua rubrica una delle più lette e commentate. Complice la poesia è il libro che il professore ha deciso di dedicare ai lettori de L’Indipendente. 208 pagine da leggere tutto d’un fiato, con 40 poesie selezionate per la loro capacità di stimolare il pensiero critico e immaginare un mondo diverso. Ogni poesia è accompagnata da un commento che ne svela significati profondi e connessioni sorprendenti. 40 opere di autori diversissimi, ma forse meno distanti di quanto si potrebbe credere: da Omero ad Alda Merini, passando per Neruda, Dante Alighieri e Lucio Dalla.

Dalla sintesi del libro: Complice la poesia, ma di che cosa? Sicuramente colpevole di fiancheggiare i sostenitori di un mondo alternativo, di un mondo che sappia unire inventiva e tenerezza, passione e fantasia, lotta e visioni alternative, profondità di sentimenti e immagini originali, che sappia sorprendere e provocare creando orizzonti inediti, che sappia commuovere ma anche indignare.

Il libro è ordinabile al prezzo di 14 euro (spedizione inclusa) a questo link.

La Birmana annuncia il rilascio di migliaia di prigionieri

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La giunta militare della Birmania ha annunciato il rilascio di 5.864 prigionieri, tra cui 180 stranieri, nell’ambito di un’amnistia per celebrare i 77 anni di indipendenza del Paese dal dominio coloniale britannico. A diffondere la notizia è stata la televisione statale MRTV, che ha riportato una dichiarazione dell’esercito. La giunta ha inoltre comunicato di avere commutato le condanne all’ergastolo di 144 persone in 15 anni, senza tuttavia fornire ulteriori dettagli sui prigionieri. Il Myanmar concede regolarmente l’amnistia a migliaia di persone per commemorare festività o feste buddiste. L’anno scorso il governo militare ha annunciato il rilascio di oltre 9.000 prigionieri per celebrare l’indipendenza.

Israele ammette: 6.460 soldati uccisi o feriti a Gaza, altre migliaia in licenza per stress

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Secondo i dati diffusi dall’esercito, dal 7 ottobre 2023 (data dell’attacco di Hamas e della conseguente invasione di Gaza da parte dell’esercito israeliano), 891 soldati israeliani sono stati uccisi e altri 5.569 feriti. Una cifra che dimostra come l’invasione della Striscia continui a incontrare una feroce resistenza da parte dei gruppi armati palestinesi, nonostante i bombardamenti indiscriminati per eliminarla abbiano provocato oltre 45mila morti palestinesi, in gran parte civili, e l’accusa di genocidio per il governo di Tel Aviv. Inoltre, sempre secondo il report dell’esercito sionista, 28 soldati israeliani si sarebbero suicidati nel corso del 2024 e altre migliaia avrebbero richiesto e ottenuto la licenza per disordini, disagio o problemi mentali.

Tra gli 891 militari israeliani rimasti uccisi, 329 sono morti durante l’operazione di Hamas del 7 ottobre e i nei caotici combattimenti che ne sono seguiti, mentre 390 soldati sono deceduti nelle operazioni di terra nella Striscia di Gaza, dopo che le IDF sono entrate nell’area con ingenti forze. In seguito all’invasione del Libano da parte di Israele nell’ottobre 2024, nei combattimenti sono morti altri 50 soldati, mentre altri 11 sono stati uccisi durante le attività operative in Giudea e Samaria. L’attuale conflitto in Palestina ha segnato il più alto numero di morti nelle file dell’esercito israeliano dalla guerra dello Yom Kippur dell’ottobre 1973 contro Egitto e Siria, quando almeno 2.500 militari persero la vita in 19 giorni di combattimenti. Oltre a dare atto del numero dei decessi, le statistiche pubblicate dall’esercito israeliano attestano che, dal 7 ottobre 2023, migliaia di soldati israeliani hanno smesso di prestare servizio in ruoli di combattimento a causa di stress mentale. Su questo tema, l’esercito non ha però voluto fornire ulteriori approfondimenti.

I dati mostrano anche un forte aumento dei suicidi tra i soldati, passati da 17 nel 2023 a 21 nel 2024, il totale più alto su base annua dal 2011. Nello specifico, si ritiene che 28 soldati siano morti suicidi dallo scoppio dell’attuale conflitto. I documenti pubblicati dall’IDF mostrano che il suicidio è la seconda causa di morte nell’esercito israeliano, dopo il servizio operativo ma prima delle malattie e degli incidenti. Dei 21 soldati che si sono tolti la vita nel 2024, 12 risultano essere riservisti, mentre sette erano in servizio obbligatorio e due erano soldati di carriera. L’esercito israeliano ha anche affermato di essere al lavoro per prevenire i suicidi nell’esercito: dall’ottobre 2023, contestualmente all’inizio degli attacchi in Palestina, è stata aperta una linea di assistenza 24 ore su 24, 7 giorni su 7, che da allora ha ricevuto circa 4mila chiamate.

Nel frattempo, a Gaza la situazione rimane tragica. Nelle sole ultime 24 ore, i bombardamenti israeliani hanno ucciso 56 palestinesi, tra cui diversi bambini, prendendo di mira un’area dichiarata zona umanitaria da Israele. Nelle ultime settimane, la crisi umanitaria nella Striscia si è aggravata anche a causa del freddo invernale che si abbatte su una popolazione già decimata dalla guerra. In seguito agli oltre 15mila bambini uccisi dai raid dell’esercito israeliano, nel giro di una sola settimana sei neonati palestinesi sono morti per ipotermia. Dopo i pesanti raid che hanno distrutto abitazioni e ospedali, infatti, centinaia di famiglie sono ammassate in tende di fortuna, che negli ultimi giorni hanno subito allagamenti a causa delle forti piogge che hanno colpito l’area.

[di Stefano Baudino]

Sardegna, Todde dichiarata decaduta: a rischio il posto da presidente

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Il collegio regionale di garanzia elettorale ha emesso una dichiarazione di decadenza da consigliere regionale per Alessandra Todde, che rischia di perdere anche la carica di presidente della Regione. Di preciso, il collegio avrebbe rilevato inadempienze sulle spese sostenute durante la campagna elettorale del 2024: Todde avrebbe infatti mancato di distinguere adeguatamente le spese e non avrebbe indicato il mandatario elettorale, il soggetto incaricato di garantire la validità degli atti della campagna elettorale. La decisione non è definitiva e deve essere approvata dal consiglio regionale. Todde, inoltre, ha annunciato che «impugnerà l’atto nelle sedi opportune».

Libano, scontri al confine tra esercito e forze siriane

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Si registrano scontri al confine tra Libano e Siria, nei pressi di Ma’arboun a Baalbek. Da quanto si apprende i jihadisti della nuova amministrazione siriana avrebbero attaccato le postazioni dell’esercito libanese, ferendo diversi soldati. A precedere l’attacco sarebbe stata la chiusura del confine da parte delle nuove autorità siriane, con conseguente accesso negato ai cittadini libanesi, in risposta all’arresto di tre siriani operato dall’esercito di Beirut. Il Libano ha schierato rinforzi nella regione, mentre HTS ha inviato una delegazione per mediare e calmare la situazione. Gli scontri sono ancora in corso.

L’Ecuador autorizza la costruzione di una base militare USA nella riserva delle Galápagos

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Sebbene in contrasto con l’attuale Costituzione, il presidente dell’Ecuador, Daniel Noboa, eletto a capo della coalizione neoliberale e filoamericana Acción Democrática Nacional, ha approvato una risoluzione che consente lo sfruttamento delle isole Galápagos, dichiarate Patrimonio dell’Umanità dall’UNESCO nel 1978, da parte delle forze militari statunitensi. Queste ultime potranno inoltre godere di privilegi, immunità ed esenzioni simili a quelle previste dalla Convenzione di Vienna per i diplomatici. L’accordo, in contrasto con il divieto costituzionale di istituire basi militari straniere sul territorio nazionale, autorizza l’impiego di navi, personale militare, armi, equipaggiamenti e sottomarini statunitensi nell’arcipelago, con l’obiettivo dichiarato di «combattere il traffico di droga, la pesca illegale e altre attività marittime illecite nella regione», oltre a «prevenire conflitti violenti tra gruppi narco-terroristici che si contendono le rotte di esportazione della droga».

Storicamente, l’Ecuador ha già ospitato basi statunitensi in tre occasioni: due durante la Seconda Guerra Mondiale e una agli inizi del XXI secolo. Con la stipula dell’accordo, Noboa spera di consolidare una partnership strategica con gli Stati Uniti, ma il prezzo da pagare per l’intero Paese potrebbe essere alto in termini di consenso e credibilità internazionale. E non solo. Diverse organizzazioni per la salvaguardia ambientale hanno espresso profonda preoccupazione per le conseguenze di tale decisione. La costruzione di infrastrutture militari e la presenza di attrezzature pesanti potrebbero causare danni irreparabili all’ecosistema delle isole. Inoltre, la firma dell’accordo violerebbe un altro articolo della Costituzione ecuadoriana, il numero 258, che vieta qualsiasi attività in grado di mettere a rischio l’equilibrio ecologico delle Galápagos, un patrimonio naturale unico al mondo situato a 906 chilometri a ovest della costa continentale dell’Ecuador.

Le isole Galápagos ospitano un ecosistema fragile e specie endemiche che richiedono una protezione costante. Secondo molti esperti, l’installazione di una base militare rappresenta una minaccia per il delicato equilibrio ambientale dell’arcipelago, proprio ora che gli sforzi di conservazione cominciano a dare i primi frutti. Nel 2022, ad esempio, l’ex presidente Guillermo Lasso aveva annunciato la creazione di una nuova riserva marina al largo delle Galápagos, istituita per espandere la già esistente Riserva Marina delle Galápagos, creata nel 1998 e che ricopre circa 138 mila chilometri quadrati. Si tratta di un vero e proprio corridoio sicuro per alcune specie marine in via d’estinzione e per la biodiversità ittica, fondamentale anche per il sostentamento delle popolazioni locali.

Le critiche sono arrivate anche da altri settori della società ecuadoriana. L’ex vicecancelliere Fernando Yépez ha definito l’accordo un atto di «sottomissione» agli interessi strategici degli Stati Uniti. Ha inoltre invitato l’Assemblea Nazionale a esaminare attentamente gli accordi di cooperazione in materia di sicurezza, per garantire che rispondano agli interessi del Paese e non a quelli di una potenza straniera. Anche l’ex candidato presidenziale Andrés Arauz ha espresso indignazione, definendo le Galápagos un «paradiso ecologico che rischia di essere trasformato in una base militare al servizio degli interessi statunitensi». Arauz ha denunciato pubblicamente la decisione come una rinuncia alla sovranità nazionale.

La presenza militare statunitense nelle Galápagos si inserisce in un contesto geopolitico più ampio. Dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, gli Stati Uniti hanno stabilito una rete di basi militari in America Latina come parte della loro strategia di controllo geopolitico. Queste basi sono spesso collocate in regioni strategiche o ricche di risorse naturali. Anche in questo caso, l’arcipelago delle Galápagos, grazie alla sua posizione nel Pacifico, rappresenta un punto chiave per il controllo delle rotte marittime e delle risorse della regione.

[di Gloria Ferrari]

 

Urbanistica del transito e del consumo: la città come non-luogo

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Marc Augé, antropologo e filosofo francese, negli anni Novanta coniò il termine «non-luogo» per definire tutti quegli spazi che hanno la prerogativa di non essere identitari, relazionali o storici. Fanno parte dei non-luoghi sia le strutture necessarie per la circolazione accelerata delle persone e dei beni (tangenziali, autostrade, aeroporti etc.), sia i mezzi di trasporto, i grandi centri commerciali, gli outlet e tutti quegli spazi in cui milioni di individualità si incrociano senza entrare in relazione, sospinti dal solo desiderio frenetico di consumare o di accelerare le operazioni quotid...

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Crisi del gas: in Transnistria chiudono le industrie, mentre in Europa i prezzi salgono

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La decisione del governo di Kiev di non rinnovare l’accordo quinquennale con Gazprom per il transito del gas russo attraverso l’Ucraina sta già facendo sentire i primi effetti negativi sui mercati e sulle nazioni europee. Nonostante Bruxelles abbia rassicurato che l’UE è pronta a compensare la perdita grazie ai terminali di GNL (gas naturale liquefatto) in Germania, Grecia, Italia e Polonia, il prezzo all’ingrosso del gas ha raggiunto il livello più alto in più di un anno e nella regione separatista della Transnistria, in Moldavia, le industrie sono state costrette a chiudere. La regione russofona che si è separata dalla Moldavia negli anni Novanta è il territorio che sta pagando maggiormente le conseguenze per l’interruzione delle forniture di gas russo, ma anche le nazioni europee rischiano di subire un’impennata dei prezzi energetici, sebbene di minore entità rispetto alla crisi energetica che ha colpito l’Europa tra il 2022 e il 2023. Da parte sua, la Commissione europea ha garantito che «L’Ue è ben preparata ad affrontare la fine del transito del gas attraverso l’Ucraina, grazie agli sforzi di collaborazione della Commissione e degli Stati membri».

Nel dettaglio, il prezzo del metano per la consegna di febbraio nei Paesi Bassi è aumentato fino al 4,3% giovedì – il giorno dopo che Gazprom ha interrotto le forniture in seguito al mancato rinnovo del contratto – prima di scendere all’1,9% in più, attestandosi a 49,83 euro per megawattora. L’aumento dei prezzi è dovuto soprattutto alla speculazione finanziaria, dato che il gas è quotato alla borsa di Amsterdam Dutch Ttf, e non alla carenza di approvvigionamenti energetici. Tuttavia, questa potrebbe non essere l’unica ragione: gli analisti di Deutsche Bank, infatti, hanno affermato che «Vale la pena tenere a mente che i prezzi sono ancora ben al di sotto dei livelli visti per tutto il 2022. Ma lo stoccaggio di gas europeo ha chiuso il 2024 al livello più basso degli ultimi tre anni e il recente aumento dei prezzi è destinato ad aumentare ulteriormente le pressioni inflazionistiche», come riferito dal Guardian. A opporsi alla decisione del presidente ucraino Volodymyr Zelensky di non rinnovare l’accordo con Gazprom è stato soprattutto il premier slovacco Robert Fico, secondo cui l’interruzione delle forniture avrà un «impatto drastico su tutti noi nell’Unione europea, ma non sulla Federazione Russa». La Slovacchia, insieme a Austria, Repubblica Ceca e, in misura minore, Italia, faceva ancora affidamento su una parte considerevole di gas russo, avendo un contratto a lungo termine con Gazprom, e ha calcolato che acquistare gas altrove gli costerebbe 220 milioni di euro in più in spese di trasporto. Nonostante ciò, Zelensky ha affermato in un post su X che l’interruzione completa di tutte le forniture dalla Russia «è una delle più grandi sconfitte di Mosca», auspicando un maggiore afflusso di GNL americano in Europa.

Ben più seria è, invece, la situazione in Transnistria, dove le conseguenze dello stop al gas russo non si sono limitate a un aumento dei prezzi, ma hanno determinato la chiusura delle industrie e la mancanza di riscaldamento e erogazione di acqua calda nelle abitazioni. «Tutte le imprese industriali sono inattive, ad eccezione di quelle impegnate nella produzione alimentare, ovvero quelle che garantiscono direttamente la sicurezza alimentare della Transnistria», ha dichiarato a un canale di informazione locale Sergei Obolonik, vice primo ministro della regione. Il leader della Transnistria filorussa, Vadim Krasnoselsky, ha affermato, invece, che la regione possiede riserve di gas sufficienti solo per dieci giorni e che la centrale elettrica principale è passata dal gas al carbone e dovrebbe essere in grado di fornire elettricità ai residenti nei mesi di gennaio e febbraio. Mosca forniva circa due miliardi di metri cubi di gas all’anno alla Transnistria, un territorio con circa 450.000 abitanti. Il direttore della compagnia nazionale moldava del gas Moldovagaz, Vadim Ceban, ha dichiarato che la sua azienda è disponibile a aiutare la regione separatista ad acquistare il gas da altri Paesi europei come la Romania. Tuttavia, questo andrebbe contro gli interessi della Transnistria: il territorio filorusso, infatti, per diversi anni non ha pagato nulla a Gazprom, grazie a un tacito accordo con Mosca, secondo quanto riferito dall’agenzia di stampa Reuters.

Con l’interruzione delle forniture di gas attraverso il gasdotto russo-ucraino, l’UE sta ripetendo la stessa strategia applicata negli ultimi anni contro il Cremlino, che però si è dimostrata lesiva degli interessi europei. È, infatti, proprio a causa degli alti costi energetici che l’industria tedesca – cuore economico dell’UE – è crollata con un effetto domino sulle altre principali economie dell’UE. Ora, un eventuale ulteriore aumento dei prezzi del gas, anche minimo, non farebbe altro che peggiorare le condizioni dell’industria del Vecchio continente.

[di Giorgia Audiello]

Truffe online, nel 2024 sottratti 181 milioni di euro

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Nel 2024 sono stati registrati 18.714 casi di truffe online, con un incremento del 15% rispetto al 2023, quando ne vennero trattati 16.325. In questo arco temporale sono cresciute anche le somme sottratte, passate da 137 a 181 milioni di euro. In aumento le frodi, pari a una somma di circa 48 milioni di euro (+20% rispetto all’anno scorso). A rivelarlo è il rapporto 2024 della Polizia postale sulla lotta al crimine informatico.

La Svezia apre la caccia al lupo tra le proteste degli animalisti

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In Svezia ha preso ufficialmente il via oggi la caccia al lupo, autorizzata dal governo con l’obiettivo dichiarato di dimezzare la popolazione di questo predatore, nonostante il suo stato di pericolo d’estinzione. Nello specifico, il piano prevede l’abbattimento di 30 esemplari, corrispondenti a cinque interi branchi familiari. La decisione ha suscitato dure reazioni da parte di attivisti ed esperti di conservazione: secondo i critici, infatti, tale operazione violerebbe le normative europee e internazionali, come la Convenzione di Berna, che proibisce di ridurre le specie protette al di sotto di un livello sostenibile.

Attualmente, la popolazione di lupi in Svezia è pari a 375 esemplari, risultando già in calo del 20% rispetto al 2022-2023. Tale diminuzione è stata attribuita all’aumento della pressione venatoria, che ha storicamente contribuito alla precarietà della presenza di lupi nel Paese. La Svezia, infatti, non ha avuto una popolazione riproduttiva stabile di lupi tra il 1966 e il 1983, e la specie è oggi inserita nella lista rossa dell’Unione internazionale per la conservazione della natura (IUCN) come in pericolo. L’esecutivo svedese ha giustificato questa scelta affermando che il nuovo obiettivo è fissare un minimo di 170 lupi per garantire uno «stato di conservazione favorevole», riducendo il limite attuale di 300. Tuttavia, gli ambientalisti avvertono che questa soglia metterà ulteriormente a rischio la sopravvivenza della specie. «Il governo ha ignorato le leggi europee sin dal 2010, autorizzando quote di caccia annuali nonostante la protezione speciale del lupo», ha denunciato Magnus Orrebrant, presidente della Swedish Carnivore Association. La Commissione Europea ha già avviato una procedura di infrazione contro la Svezia, ma finora senza esiti concreti. «Il lupo è diventato un capro espiatorio politico e vittima di disinformazione, declassare la protezione non risolverà le sfide della coesistenza, né aiuterà realmente gli agricoltori», ha dichiarato Léa Badoz, responsabile del programma sulla fauna selvatica presso Eurogroup for Animals. Gli animalisti denunciano anche che questa politica si basa più su pressioni lobbistiche che su basi scientifiche: la Svezia, in particolare, viene accusata di aver preso decisioni in contrasto con gli impegni europei sulla biodiversità, anteponendo interessi economici alla conservazione della fauna.

Questo dibattito si inserisce in un contesto più ampio. La Convenzione di Berna, nel dicembre scorso, ha approvato una modifica che entrerà in vigore nel marzo 2025, declassando i lupi da specie «strettamente protetta» a semplicemente «protetta». Un adeguamento che, seppur con le limitazioni imposte dagli Stati membri poiché ancora «obbligati a garantire che venga raggiunto e mantenuto uno stato di conservazione favorevole per le popolazioni nelle loro regioni biogeografiche», prevede di concedere loro maggiore flessibilità per «affrontare i casi più difficili di coesistenza tra lupi e comunità», inaugurando così un maggiore spazio di manovra per la cattura e l’abbattimento degli animali. Nel frattempo, la Commissione europea sta valutando la possibilità di rivedere la sua direttiva sull’habitat per riflettere il fatto che il numero di lupi è aumentato, in particolare nelle regioni alpine e forestali della Scandinavia e dell’Europa centrale.

Quanto accade in Svezia non è estraneo a ciò che avviene in altri Paesi europei, Italia inclusa. Una questione molto dibattuta in particolare in Trentino-Alto Adige, dove lo scontro tra amministrazione e animalisti si è intensificato negli ultimi anni, in cui sono fioccate le ordinanze di abbattimento, così come i ricorsi e i contro-ricorsi davanti al TAR e al Consiglio di Stato. In ultimo, a novembre, nel Ddl Montagna è stato inserito un emendamento, approvato in Senato, che consentirà di procedere con l’uccisione dei lupi in Italia. La norma “ammazzalupi” – come l’ha definita l’Ente Nazionale Protezione Animali – prevede che le Regioni e le Province possano uccidere ogni anno una certa quantità di esemplari. «La maggioranza – ha dichiarato LNDC Animal Protection – risponde alle logiche di interessi privati di alcune lobby che non hanno alcun rispetto per la vita e l’ambiente. Bisognerebbe invece adottare politiche basate su un approccio scientifico ed etico, che rispettino il diritto alla vita degli animali selvatici e il valore della biodiversità».

[di Stefano Baudino]