giovedì 16 Maggio 2024

Perché le potenze mondiali si interessano tanto a cosa succede in Niger?

Il Niger è uno degli Stati più poveri al mondo. Oltre il 70% della sua superficie è ricoperta da deserto e la popolazione, concentrata per lo più nelle zone occidentali del Paese, vive di agricoltura di sussistenza e allevamento. I periodi di siccità sono sempre più ricorrenti e non tutta la popolazione ha accesso all’acqua potabile. Tuttavia, questo Stato desertico costituisce un elemento centrale per gli interessi dell’Occidente. Non solo perché vi si trovano alcune delle riserve di uranio più estese al mondo, oltre a una grande altra quantità di risorse (tra le quali oro e petrolio). Il cuore sabbioso e riarso dal sole di questo Paese è attraversato da alcune delle rotte del contrabbando che giungono fino in Europa: carburante, oro, armi, ma anche medicinali contraffatti ed esseri umani. Il Niger, inoltre, era rimasto uno degli avamposti occidentali in Africa dove le truppe di stanza avrebbero dovuto, almeno nella teoria, collaborare con i governi locali per eradicare la minaccia del terrorismo nella regione del Sahel, legata soprattutto a gruppi affiliati al al-Qaeda e allo Stato Islamico. Non solo fino ad oggi, al netto di numerose operazioni pluriennali sul territorio, i risultati sono stati alquanto deludenti: diversi Stati (l’ultimo è stato il Burkina Faso) hanno di fatto usato questa come una motivazione per cacciare il contingente francese dai loro territori. Ma il vuoto creatosi non è durato a lungo: in ogni spazio interstiziale lasciato libero dalla Francia e dall’Occidente si sono immediatamente insinuate la Russia e le milizie Wagner, scatenando nel Vecchio Continente il timore di un rovesciamento nell’equilibrio delle influenze. E se anche la giunta golpista virasse verso posizioni filorusse, gli equilibri nel Sahel verrebbero definitivamente ribaltati.

L’uranio e le altre risorse

Le ricchezze del Niger, come accennato, sono soprattutto naturali. Il Paese è il settimo al mondo per riserve di uranio, materiale che ha costituito, nel 2022, il 15% delle importazioni francesi e oltre il 25% di quelle dell’Unione europea (è stato il secondo fornitore per l’Ue di uranio naturale, dopo il Kazakistan). Vi è poi una significativa ricchezza in termini di potenziale minerario industriale, per via delle grandi riserve di oro, calcio e fosfati di cui dispone, oltre a carbone, gesso, calcare, sale, argento e stagno. L’assenza di un’industria di trasformazione, tuttavia, fa sì che la popolazione non possa godere delle ricchezze delle quali dispone la propria terra, le quali vengono invece estratte dalle multinazionali straniere per andare ad arricchire i mercati esteri.

Lo scorso 4 maggio, la multinazionale francese Orano (ex Areva, la quale detiene pressoché il controllo del business minerario dell’Africa subsahariana) e il governo nigerino avevano firmato un accordo che autorizzava l’estensione della vita operativa della miniera di Somair, nel nord del Niger, fino al 2040, ovvero 11 anni dopo rispetto alla chiusura attualmente prevista. L’accordo prevedeva il versamento di 26 miliardi di franchi CFA (44 milioni di dollari) in alcuni settori prioritari per il Niger, tra i quali l’istruzione. Il 9 maggio successivo, il Senato francese ha approvato un progetto di legge riguardante “l’accelerazione delle procedure relative alla costruzione di nuovi impianti nucleari in prossimità di siti nucleari esistenti e al funzionamento degli impianti esistenti”.

Il colpo di Stato dello scorso 26 luglio ha fatto temere un blocco delle estrazioni e delle esportazioni del minerale verso la Francia e l’Europa ma, per il momento, la multinazionale ha riferito che non vi è stata alcuna sospensione dell’accordo di partnership e che le attività continuano normalmente nei siti di Arlit e Akokan, così come nella sede centrale di Niamey. Tuttavia, un blocco delle esportazioni dell’uranio nigerino non dovrebbe avere ripercussioni immediate sull’economia francese ed europea. Euratom (l’agenzia per il nucleare europea) ha dichiarato a Reuters che, in caso di blocco delle esportazioni dal Niger, le scorte di uranio in Europa sono sufficienti a far funzionare i reattori per i prossimi tre anni. A medio e lungo termine, invece, ci sono «depositi sufficienti sul mercato mondiale» per coprire il fabbisogno dell’Ue. Entro tre anni, inoltre, il blocco potrebbe diversificare le proprie fonti di approvvigionamento, dal momento che esistono siti di produzione attualmente inattivi in Paesi come il Canada, l’Australia e la Namibia. Ancora una volta, dunque, la partita sembra giocarsi sulle sfere d’influenza. Uno dei pochi settori russi non toccati dalle sanzioni europee, infatti, è proprio quello dell’energia atomica, incluse le forniture di uranio. Un’eventuale stop delle forniture nigerine rivestirebbe di ulteriore importanza il settore russo, con la conseguenza che il Cremlino potrebbe continuare a utilizzare questo potere per aumentare la propria influenza all’estero. Questo soprattutto a fronte del fatto che, nel 2022, le esportazioni di uranio dalla Russia sono aumentate del 20%, con gli acquisti dell’Unione europea che hanno raggiunto i massimi livelli degli ultimi tre anni.

La lotta al terrorismo

La presenza di un elevato numero di gruppi terroristici (in rapida espansione) rende quella del Sahel una regione estremamente instabile. Come dichiarato dallo stesso Josep Borrell, l’interesse nell’eradicare questi gruppi riguarda sì la tutela delle popolazioni locali ma, più in generale, quella degli interessi dell’Europa e del mondo. «La destabilizzazione del Sahel costituisce una minaccia diretta per l’Unione non solo in termini di sicurezza e terrorismo, ma anche in molti altri ambiti, come i traffici di ogni genere» ha spiegato l’Alto rappresentante Ue. Tuttavia, nonostante l’imponente dispiegamento di forze da parte dell’Occidente (e in particolare della Francia) da oltre un decennio, la lotta contro i gruppi terroristici in queste zone si può sostanzialmente considerare, ad ora, fallita.

Il numero di missioni e di truppe dispiegate nel Sahel in un decennio è enorme: tra di esse si possono contare l’operazione Barkhane, nell’ambito della quale ha operato il contingente francese; il dispositivo Sabre; la Missione multidimensionale integrata delle Nazioni Unite per la stabilizzazione in Mali (MINUSMA, strumento dell’ONU); la Forza congiunta G5-Sahel; la Missione internazionale di sostegno al Mali sotto conduzione africana (MISMA, composta dalle truppe dell’ECOWAS e della CEEAC, la Comunità economica degli Stati dell’Africa Centrale); la missione EUCAP Sahel Niger. Secondo alcuni analisti, il fallimento delle operazioni è dovuto in buona parte al fatto che l’intervento occidentale si è basato su stereotipi, tralasciando quasi del tutto uno studio dei territori approfondito al punto di permettere di poter intervenire in maniera mirata. In alcuni contesti, di fatto, il risultato è stato il deterioramento della governance e il moltiplicarsi dei colpi di Stato, oltre che il dilagante malcontento della popolazione. «Le recenti crisi dimostrano chiaramente, soprattutto nel contesto saheliano, che il ruolo degli attori stranieri e internazionali può essere efficace e avere un impatto reale solo se accompagnato da diagnosi e approcci locali» ha dichiarato Niagalé Bagayoko, politologa e Presidente dell’African Security Sector Network (ASSN). In un contesto simile, l’eventuale abbandono delle truppe francesi del territorio nigerino (insieme a quelle italiane e statunitensi) comporterebbe una ulteriore perdita di controllo sul territorio.

Il traffico di migranti

Tra i «traffici» che più interessano l’Unione europea, quello dei migranti è di certo uno dei principali. Il Niger, infatti, è storicamente crocevia dei flussi migratori che, partendo dall’Africa occidentale, raggiungono le coste nordafricane e poi l’Europa. Il golpe del 26 luglio può alterare di molto gli sforzi compiuti dagli Stati europei per raggiungere un accordo con il governo di Niamey riguardo il controllo dei flussi. Lo sa bene il ministro degli Esteri Tajani che, nel corso di un’intervista rilasciata a La Stampa, ha dichiarato che «Il problema della nuova ondata di immigrati è già realtà. Ogni giorno che passa, se non si raggiunge un accordo, la situazione rischia di peggiorare. Se ci sarà una guerra in Niger sarà una catastrofe. Soprattutto per chi scappa».

Nel 2022, Ue e Niger avevano stretto un “partenariato operativo” per contrastare il traffico di migranti, il quale prevede una serie di azioni da mettere in campo per controllare le migrazioni, da un lato (con misure quali accordi tra il governo nigerino e Frontex), e dissuadere i migranti a partire dall’altro. Accordi di questo genere sono fondamentali per l’Europa che cerca di contenere il flusso di migranti in arrivo lungo le coste meridionali del continente. Accordi di questo genere permettono all’Europa (e all’Italia) di esternalizzare le proprie frontiere, di fatto impedendo ai migranti di giungere fisicamente nel Paese di destinazione (violando così un loro diritto fondamentale). Gli ingenti contributi che il Niger e altri Stati africani hanno ricevuto dall’Europa hanno fatto sì che, nel tempo, il flusso di migranti attraverso questi snodi chiave sia di fatto rallentato. I migranti, loro malgrado, sono una potente merce di scambio quando si tratta di siglare accordi internazionali.

Il fronte russo

Una delle principali fonti di preoccupazione degli Stati occidentali, a seguito del golpe del 26 luglio scorso, riguarda senz’altro la crescente influenza di Mosca in Africa e nella regione del Sahel. La Russia e le milizie Wagner sembrano infatti stare prontamente occupando tutti gli spazi rimasti vuoti dopo la cacciata della Francia. Il Burkina Faso, liberatosi quest’anno dell’ingerenza francese, ha ricercato nella Russia un nuovo alleato e nelle milizie Wagner un aiuto più concreto di quello francese nella lotta al terrorismo. Un anno prima già il Mali (dove le truppe francesi erano presenti dal 2013 su richiesta del governo come aiuto per contrastare la ribellione Tuareg e i gruppi legati ad al-Qaeda che avevano conquistato le regioni del nord e stavano marciando su Bamako) aveva cacciato l’ex potenza coloniale. Anche qui, fattore determinante è stato il malcontento della popolazione per il fallimento della lotta contro il terrorismo – unito senza dubbio a una certa componente di fastidio per i passati legami coloniali. Insieme alle truppe francesi si erano ritirate anche quelle europee impegnate nella task force Takuba, ed il posto vuoto è stato immediatamente occupato dalle truppe della Wagner.

Secondo l’ADF (Africa Defense Forum), il prossimo obiettivo delle truppe Wagner potrebbe essere il Ciad, Paese ricco di risorse naturali (petrolio compreso). Qui, le milizie Wagner si sono infilate a seguito di alcuni scossoni geopolitici e potrebbero cercare di mettere in atto una nuova modalità e sovvertire il governo. Già nel 2021 l’ex ministro degli esteri del Ciad, Mahamat Bene, aveva riferito alla comunità internazionale che le forze Wagner stavano cercando di accerchiare il suo Paese, addestrando anche le forze ribelli che, nello stesso anno, avevano ucciso l’ex presidente Idriss Déby. Se anche qui la Francia e l’Occidente dovessero perdere la loro presa, gli equilibri della regione sarebbero definitivamente sconvolti.

Le ragioni per le quali l’Occidente segue con attenzione le vicende nigerine degli ultimi giorni sono insomma numerose. E la ribellione delle ex colonie della Françafrique al comando – diretto o indiretto – francese ne sta facendo tremare le certezze.

[di Valeria Casolaro]

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7 Commenti

  1. Secondo “The Intercept” , ufficiali militari addestrati dagli Stati Uniti hanno preso parte a 11 colpi di stato in Africa occidentale dal 2008, inclusi Burkina Faso e Mali.
    Stephanie Savell è co-direttrice del progetto Costs of War presso il Watson Institute for International and Public Affairs della Brown University. È un’antropologa che ha studiato il militarismo statunitense nell’Africa occidentale e oltre. Secondo lei ad Agadez c’è una basi aerea americana costata 100 milioni di dollari. Il mantenimento costa circa 30 milioni di dollari all’anno. Ed è un’installazione massiccia e sofisticata nel deserto del Sahara dove ci sono inoltre 1000 soldati. E i droni statunitensi vengono utilizzati nelle operazioni antiterrorismo statunitensi “post 11/09”. Qui il link per sentire la dottoressa Savel in inglese: https://www.democracynow.org/2023/8/1/niger_coup

  2. Secondo “The Intercept” , ufficiali militari addestrati dagli Stati Uniti hanno preso parte a 11 colpi di stato in Africa occidentale dal 2008, inclusi Burkina Faso e Mali.
    Stephanie Savell è co-direttrice del progetto Costs of War presso il Watson Institute for International and Public Affairs della Brown University. È un’antropologa che ha studiato il militarismo statunitense nell’Africa occidentale e oltre. Ad Agadez c’è una basi aerea americana costata 100 milioni di dollari. Il mantenimento costa circa 30 milioni di dollari all’anno. Ed è un’installazione massiccia e sofisticata nel deserto del Sahara dove ci sono inoltre 1000 soldati. E i droni statunitensi vengono utilizzati nelle operazioni antiterrorismo statunitensi “post 11/09”. Qui il link per sentire la dottoressa Savel in inglese: https://www.democracynow.org/2023/8/1/niger_coup

  3. E la Cina, ormai padrona della maggior parte delle infrastrutture dell’Africa sub-equatoriale, senza spargimento evidente di sangue, sta alla finestra. I politici di Bruxelles, sdraiati nella bambagia, avrebbero urgente bisogno di frequentare un corso di “Realpolitik” invece di accodarsi ciecamente ai guerrafondai degli Usa e della Nato… Pare invece che non abbiano imparato la lezione che le armi non hanno mai risolto alcuna guerra.

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