venerdì 3 Maggio 2024

Cos’è il Grande Reset

Nonostante i tentativi grotteschi da parte del mainstream di relegarlo a teoria complottistica, il Grande Reset è un piano preciso, ufficiale e ben documentato, sul quale istituzioni internazionali, filantropi, organizzazioni non governative e grandi aziende private collaborano apertamente.

Il tema è molto caro al World Economic Forum (WEF), che ha dedicato ad esso il summit del giugno del 2020 e del gennaio 2021, entrambi tenuti da remoto, considerati propedeutici al grande incontro “The Great Reset” da svolgersi ad agosto 2021 a Singapore, poi disdetto causa protrarsi della pandemia. È l’argomento cruciale dei nostri tempi, spartiacque del nuovo corso della storia, tanto che la rivista americana più venduta al mondo, il TIME, a ottobre 2020- in collaborazione proprio con il WEF – ha riservato la sua copertina e l’intero numero a esso, con il contributo di esponenti delle istituzioni internazionali, del mondo economico e delle comunicazioni, passando per gli influencer. Sono questi, infatti, gli attori dello scacchiere mondiale, i cosiddetti stakeholder, capaci, secondo la cultura alla base di quella che è a tutti gli effetti una nuova ideologia, di recepire gli interessi della popolazione mondiale e di guidarla verso il raggiungimento del bene comune di cui si autoproclamano portatori.

Il ritorno alla normalità? “Mai”

A spiegare nello specifico quale sarà la nuova direzione intrapresa dall’umanità, che “grazie” all’avvento della pandemia sarà in grado di resettare le proprie abitudini, gli stili di vita e il modo di pensare, è lo stesso fondatore del WEF, Klaus Schwab, ingegnere ed economista tedesco, che nel luglio del 2020, solo pochi mesi dopo l’inizio della crisi del Covid, ha dato alle stampe il suo Covid-19, The Great Reset. Emblematico un passaggio del libro, che racchiude l’essenza e l’irrevocabilità di quanto stiamo vivendo: “Molti di noi si stanno chiedendo quando le cose ritorneranno alla normalità. La risposta in breve è: mai”. La crisi che stiamo vivendo – ormai da troppo tempo anche per essere definita tale – è il grimaldello per accelerare la realizzazione di un disegno già predisposto: occorre fare tabula rasa di tutto quanto esistito finora, ossia prima di Febbraio 2020, segnando di fatto l’inizio di una nuova era, quella pandemica.

La dottrina della shock therapy

“Soltanto una crisi – reale o percepita – produce vero cambiamento… il politicamente impossibile diventa politicamente inevitabile”1: è la celebre affermazione di Milton Friedman che racchiude la logica della shock economy, al cuore della politiche di intervento neoliberiste.

Ci sono cambiamenti così radicali e destabilizzanti che per essere imposti alla società, senza che questa opponga resistenza, devono essere introdotti con immediatezza e tempestività: una situazione di forte crisi e disagio da parte della popolazione rappresenta la soluzione ideale perché vengano accettati.
Dal colpo di stato di Pinochet in Cile nel ’73, dove le redini economiche del Paese vennero immediatamente prese dai Chicago boys e dal loro maestro, Milton Friedman in persona, fino alla ricostruzione post tsunami in Thailandia, affidata ai grandi investitori internazionali, alla privatizzazioni selvagge nelle cosiddette Tigri asiatiche durante la crisi finanziaria del 1997-1998, passando per le riforme repentine e drastiche imposte alla Russia post sovietica: sono infiniti gli esempi di questa metodologia di governo, come ci racconta la giornalista canadese Naomi Klein nel suo libro Shock Economy.
Oggi stiamo assistendo all’inedita applicazione del metodo friedmaniano su scala planetaria. Lo stato di panico diffuso tra la popolazione mondiale per un virus sconosciuto proveniente dalla Cina, sebbene non così pericoloso e letale come le grandi pestilenze del passato, ha creato l’humus ideale per introdurre cambiamenti sostanziali.
Le nuove abitudini di vita imposte dalle restrizioni dei governi alle popolazioni con il fine dichiarato di contrastare la pandemia, hanno indotto quella spinta necessaria per accelerare un processo che altrimenti avrebbe richiesto molto tempo e avrebbe generato forme di resistenza da parte dei cittadini.

Cos’è il World Economic Forum

Più conosciuto come Forum di Davos, dal nome della cittadina svizzera della Alpi dove, prima dell’avvento della pandemia, si svolgeva abitualmente a gennaio, il WEF è il consesso che riunisce i principali esponenti internazionali del mondo della politica, degli affari, dello spettacolo e dei media, per definire le strategie future per guidare gli Stati e i mercati mondiali nella cornice della globalizzazione. Si prefigge l’alto obiettivo di «migliorare la condizione del mondo» e allo stesso tempo si dichiara imparziale e privo di vincoli di natura politica, ideologica o nazionale. Oltre alla sede svizzera, situata nella cittadina di Cologny, conta uffici regionali a New York e Pechino; dal 2012 ha assunto lo status di osservatore presso il Consiglio economico e sociale delle Nazioni Unite. Nella sua attività rientra anche la pubblicazione di documenti di studio e analisi sui temi della crescita economica, della finanza, della sostenibilità ambientale, dello sviluppo sociale e della salute.
La fondazione è finanziata da numerose imprese, per lo più grandi banche d’affari, multinazionali, società leader nel proprio settore o Paese, che hanno un ruolo chiave nell’orientare lo sviluppo futuro. Con vari gradi di adesione, da partner semplice a partner strategico e associato, troviamo nomi come Blackrock, Goldman Sachs, JPMorgan, Accenture, UBS, Microsoft, Deutsche Bank, Facebook, Google, Alibaba, Bill & Melinda Gates Foundation, Astrazeneca, Bayer, Novartis, Huawey, Nestlè, Uber technology, China Railway. Difficile trovare un big che sia escluso.

Nella riunione virtuale tenutasi a giugno 2020 su iniziativa di Carlo d’Inghilterra, il fondatore Klaus Schwab ha affermato: «È arrivato il momento di un grande reset del capitalismo (…) Tutti i Paesi, dagli Stati Uniti alla Cina, devono partecipare, e ogni industria, da quella del petrolio e del gas a quella tecnologica, deve essere trasformata (…) La pandemia ci ha mostrato quanto rapidamente possiamo effettuare cambiamenti radicali nel nostro stile di vita (…) e rappresenta una rara quanto stretta finestra di opportunità per riflettere, ripensare e riorganizzare il nostro mondo”.

La Quarta Rivoluzione Industriale

Lo smartworking, le videoconferenze, gli acquisti on line, la telemedicina, la didattica a distanza, sono tutte novità entrate a gamba tesa nelle nostre vite, destinate a radicarsi fino a divenire nuove abitudini. A prendere piede è la tanto agognata Quarta Rivoluzione Industriale, la digitalizzazione e l’automazione su ampio raggio dell’economia, che grazie al Covid e al distanziamento sociale adottato dai governi ha avuto quella carica propulsiva necessaria per la sua affermazione.

Non si tratta semplicemente dell’evoluzione e della fiducia nel progresso della tecnica, che da sempre caratterizza la storia umana, ma piuttosto di una sua deriva. A differenza delle Rivoluzioni del passato, quella in atto, basata principalmente su intelligenza artificiale e rete 5g, non promette un futuro di crescita per l’economia e di creazioni di nuovi lavori, tanto più in una società improntata al distanziamento sociale e all’isolamento. Lo scenario che si delinea è quello di un futuro in cui le macchine, sempre più umanizzate attraverso i prodigi fantasmagorici delle nuove intelligenze macchiniche, saranno in grado di sostituire l’essere umano anche nelle professioni in cui è richiesto un contributo creativo e intellettivo, traghettandolo dall’era dello sfruttamento lavorativo a quello dell’inutilità.

Replacing Human

In Cina è già attivo il progetto “Replacing Human with robot” e non solo esistono fabbriche e banche gestite unicamente da robot, ma persino una app, Pig An Good Doctor, che collega gli utenti con una rete di 40mila medici in tutto il Paese e si avvale di un assistente di intelligenza artificiale per rispondere alle domande dei pazienti. Il modello cinese, magistralmente definito dal filosofo Giorgio Agamben “capitalcomunismo”, è proprio il riferimento del Grande Reset, citato come prototipo dal nostro Klaus Schwab. Lo stesso ingegnere-economista, spiega come la Quarta Rivoluzione Industriale cambierà “non solo ciò che facciamo ma anche ciò che siamo. Influirà sulla nostra identità e su tutte le questioni a essa associate: il nostro senso della privacy, le nostre nozioni di proprietà, i nostri modelli di consumo, il tempo che dedichiamo al lavoro e al tempo libero e il modo in cui sviluppiamo le nostre carriere, coltiviamo le nostre capacità, incontriamo persone e coltiviamo le relazioni”.

Nei documenti ufficiali del Grande Reset pubblicati sul sito del Forum di Davos si dichiara esplicitamente che gli attuali mercati rappresentano un ostacolo allo sviluppo dei nuovi, basati prevalentemente su intelligenza artificiale, farmaceutica, big data, green economy e finanza speculativa a essa collegata, nonché riqualificazione del personale. Quest’ultimo comparto prevede che il lavoratore provveda continuamente ad aggiornare e rivedere le sue competenze, con una pressione al cambiamento tale che la mente umana difficilmente potrà tollerare. In generale, a fronte di una desertificazione del tessuto produttivo che genererà milioni di nuovi disoccupati, i nuovi mercati sono per lo più a bassa intensità di capitale umano.

Vincitori e vinti

Parallelamente all’esplosione della povertà, con 100 milioni di nuovi poveri al mondo a seguito della gestione pandemica secondo le stime della Banca Mondiale, ci sono i grandi vincitori di questa crisi. Si tratta dei giganti dell’economia, la cui capitalizzazione raggiunge cifre pari a quelle dei Pil di interi Stati. A riportare maggiori utile in questo periodo sono stati, oltre al solito Amazon, la Microsoft, che in un solo giorno ha visto triplicare gli utenti della sua app di videochiamate Teams, e Tesla, altro gigante tecnologico. Hanno fatto affari d’oro anche la piattaforma di comunicazione Zoom Video e la cinese Tencent, attiva nel comparto delle chat e dei giochi online, che durante il lockdown hanno tenuto impegnati centinaia di milioni di giovani e non. A vincere è l’economia digitale a scapito di quella reale e, come sempre nel sistema neoliberista, i giganti a scapito dei piccoli, i più ricchi a scapito dei più poveri, con un ulteriore acuirsi di una già insostenibile disuguaglianza.

Il reset delle menti

Se da un punto di vista meramente economico si è creata una scossa destabilizzatrice, che necessiterebbe di un accurato piano di riorganizzazione e di un processo di accompagnamento, sostenuto da investimenti produttivi e capaci di generare lavoro, sul piano umano la rottura è ancora più insanabile. Il perdurare dello stato di crisi – tanto che diventa ormai improprio usare questo termine – supportato da una narrazione improntata al terrorismo mediatico incessante, ha trascinato le popolazioni in uno stato ipnotico di paura costante, con la perdita di razionalità e l’accettazione inconsapevole del defraudamento dei diritti costituzionali e delle libertà fondamentali, calpestate per fini securitari. I cittadini sono sempre più divisi e, con l’ultima trovata della discriminazione sociale in base al possesso o meno di una lasciapassare sanitario, hanno rinnegato ogni principio di solidarietà e di convivenza civile all’interno della comunità.

Quanta energia ci è rimasta?

Siamo nella fase attuativa del punto cruciale del piano, quello del reset delle menti, fondamentale per sostenere il nuovo modello socio-economico. Intanto ci prepariamo, dopo una breve e tormentata pausa estiva, al ritorno alla nuova normalità, fatta di chiusure, lockdown yo-yo, distanziamento sociale e sostituzione dei rapporti reali con quelli virtuali.
Può l’uomo, sopportare tutto ciò e trasformarsi da animale sociale per antonomasia a monade che vive isolato, impaurito e pieno di odio per il prossimo, potenziale untore e nemico? Quanto la nostra mente sarà capace di sopportare tutto ciò e adeguarsi alle nuove abitudini imposte? Dipende da quanta umanità è ancora rimasta in noi e dalla forza e dal coraggio che siamo disposti a investire per difenderla.

[di Ilaria Bifarini]

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9 Commenti

  1. Come si sa benissimo da secoli, un regime ha bisogno di una massa di persone inerti e poco incline alla reazione oltre che predisposte alla manipolazione. In mezzo a queste devono necessariamente esserci i lupi che tengono a bada il gregge in caso di tentativi di fuga. Ecco..io vedo cosi il grande reset. Una occasione straordinaria e ormai palese, per far fuori tutta la parte pensante del pianeta.

  2. Aggiungo, a quanto già detto da Sara, che è di fondamentale importanza (seppur estremamente difficile) riuscire a mantenere la lucidità ed il senso critico che sempre hanno differenziato gli uomini liberi.

  3. Rispondo al dubbio di Luca, su cosa succederà a chi non vuole piegare la testa. A mio parere non ha nessuna importanza cosa succederà, se io sono convinta di difendere un principio, lo faccio e ne accetto le conseguenze. In questo momento dissentire dal Sistema è un atto politico. Ognuno di noi è importante, la prima cosa da tenere a mente è di non avere paura. Chi ci governa vuole spaventarci con le sue menzogne, bisogna resistere, rimanere sulle proprie posizioni, fare disobedienza civile. Bisogna parlare con i colleghi, con gli amici, i conoscenti, spiegare con tanta pazienza come stanno le cose davvero, rispondere ai dubbi e alle fake che si sentono in giro ogni giorno. E’ un lavoro che ognuno di noi può fare, nel suo piccolo, ma che produrrà frutti. Coraggio e andiamo avanti, senza paura!

    • Io ci ho provato. Ma mi sono arresa. Hanno cieca fiducia nel governo e nella sanità. Nella scienza, dicono loro. Le ns sono teorie complottista prive di fondamento…. Si fermano al covid e non vanno oltre. Impossibile che la discussione non sfoci in un feroce litigio. Non abbiamo speranza.

    • Sembrerebbe essere il momento perfetto per attivarci anche da un punto di vista professionale e manageriale, costituendo luoghi e strutture di incontro dove coltivare e tutelare la nostra pensante individualità.

  4. A mio parere la gente si sta piano piano svegliando. Ma dobbiamo fare anche noi la nostra parte e divulgare queste informazioni così che piano piano ci sia sempre più diffidenza da parte dei più verso questi cambiamenti insano.

  5. Concordo in pieno! L’unica domanda che mi pongo è: cosa succederà a chi non vuole inchinarsi alle nuove linee guida? Personalmente , ho quasi 50anni, non me ne curo molto, ma cosa potrà mai succedere ai nostri figli? Tutto questo è inquietante….

    • Secondo me hanno già intrappolato più persone di quante sperassero. Mi hanno deluso soprattutto i più giovani che hanno abboccato in tanti, troppi, a suon di miseri ricatti, avevo molta più stima soprattutto di loro, che hanno dimestichezza con i mezzi che ti permettono di indagare e capire a fondo la situazione reale.

      • Parlando di adolescenti , si, hai ragione. Hanno deluso anche me. Poche idee e si comprano con poco . Io pensavo ai più piccolini, diciamo, sotto i 12 anni. Loro devono essere guidati ed aiutati e dobbiamo pretendere che abbiano un futuro!

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