mercoledì 31 Dicembre 2025

ChatGPT si prepara a dar spazio alle opinioni degli inserzionisti

Secondo le grandi aziende promotrici dell’intelligenza artificiale, i chatbot avrebbero dovuto offrire agli utenti un accesso imparziale e universale al sapere, una sorta di verità assoluta capace di inglobare l’intero scibile umano. Nella realtà, però, questi sistemi continuano a riflettere i bias presenti nei dati con cui vengono addestrati e risentono degli interessi di chi li sviluppa e li controlla. Tuttavia, il quadro potrebbe presto peggiorare: OpenAI starebbe valutando di calibrare ChatGPT affinché dia maggiore priorità alle opinioni e ai messaggi degli inserzionisti.

L’indiscrezione è emersa grazie a The Information, testata che ha rivelato come all’interno dell’azienda sia in corso un dibattito su come introdurre un vero e proprio “trattamento preferenziale” per i contenuti sponsorizzati. Considerando quante persone si rivolgono impropriamente all’IA per ottenere pareri medici, politici o psicologici, è facile intuire quanto sia rischioso permettere al miglior offerente di influenzare la forma e la sostanza delle risposte fornite da questi sistemi.

Nonostante i rischi, il report descrive un clima aziendale in cui la discussione ruota attorno a come introdurre contenuti a pagamento senza però alienare gli utenti. OpenAI ha modellato il suo chatbot come il simulacro di un cicisbeo, come una presenza compiacente e accondiscendente, capace di avviluppare gli utenti in fitti scambi testuali; proprio per questo, l’azienda teme che un’integrazione troppo invasiva della pubblicità possa compromettere l’esperienza costruita finora, spingendo gli utenti a voltare le spalle al servizio.

Che OpenAI intendesse introdurre inserzioni nei risultati di ChatGPT era già emerso a inizio dicembre, quando alcuni osservatori hanno iniziato a notare nell’app Android del servizio la comparsa di nuove linee di codice che facevano riferimento a una funzione pubblicitaria in fase di test. Le ragioni di questa svolta sono piuttosto evidenti: pur cercando con ogni mezzo di trasformarsi da organizzazione no‑profit a realtà pienamente commerciale, il modello di business dell’azienda rimane profondamente in perdita. Secondo documenti finanziari citati da The Register, OpenAI avrebbe bruciato almeno 11,5 miliardi di dollari nel solo trimestre luglio‑settembre del 2025. La strategia aziendale punta d’altronde a una crescita estremamente aggressiva che, nelle previsioni più rosee della dirigenza, continuerà a generare perdite almeno fino al 2028.

Si tratta di una strategia ormai consolidata nel settore tech: ampliare rapidamente la base dei propri utenti offrendo prodotti e servizi digitali sottocosto e, una volta conquistata una posizione dominante, iniziare a ridimensionare la qualità o la convenienza dell’offerta. È accaduto con il motore di ricerca Google, sempre più saturo di contenuti “sponsorizzati”, e con i principali servizi di streaming, i quali si proponevano originariamente come alternativa economica e priva di pubblicità alla TV via cavo, salvo poi abbandonare completamente quella promessa in favore di abbonamenti più costosi e dell’introduzione di inserzioni. Si tratta di un decorso tanto comune da essersi meritato un neologismo: “enshittification”, ovvero la “merdificazione” dei servizi.

OpenAI si trova però davanti a un ostacolo evidente: pur godendo oggi di un vantaggio competitivo, non ha ancora raggiunto quel livello di potere che le permetterebbe di trattare con leggerezza i propri utenti. Al contrario, la dirigenza avrebbe persino diramato un “codice rosso” per i rischi posti dalla concorrenza. Un’analisi opinionistica del Wall Street Journal diventata rapidamente virale sostiene che la strategia dell’azienda consista nel diversificare massicciamente i propri investimenti fino a diventare un ingranaggio essenziale dell’economia statunitense. Che l’obiettivo sia il raggiungimento del “too big to fail”, del diventare troppo importante per essere lasciata fallire.. A quel punto, in caso di crisi, OpenAI potrebbe chiedere una mano ai governi per evitare il collasso, ricalcando quanto avvenuto nel 2008 con il salvataggio degli istituti finanziari.

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Walter Ferri

Giornalista milanese, per L’Indipendente si occupa della stesura di articoli di analisi nel campo della tecnologia, dei diritti informatici, della privacy e dei nuovi media, indagando le implicazioni sociali ed etiche delle nuove tecnologie. È coautore e curatore del libro Sopravvivere nell'era dell'Intelligenza Artificiale.

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