martedì 15 Luglio 2025

Alta Velocità, condannati dieci No TAV per le proteste al cantiere di Giaglione

Sono comprese tra gli 11 mesi e i 2 anni le pene inflitte agli attivisti del movimento contro la linea ferroviaria ad Alta Velocità in Val di Susa, condannati per gli scontri avvenuti nel luglio del 2020. La sentenza, emessa dal tribunale di Torino, riguarda fatti avvenuti nel cantiere di Giaglione. Le pene interessano dieci attivisti, accusati di avere assaltato il cantiere e ferito dei membri delle forze dell’ordine. Secondo le ricostruzioni della sentenza, la sera del 24 luglio, i manifestati si erano introdotti nel cantiere, e avevano eretto delle barriere lungo gli accessi al luogo; la polizia, incaricata di sgomberare i manifestanti, sarebbe così intervenuta, aumentando la tensione. Durante lo sgombero, sarebbero stati feriti due agenti, tra cui l’attuale questore di Aosta.

Secondo quanto riferito dai No TAV all’indomani dei fatti, la polizia sarebbe intervenuta a varie riprese anche con il fitto lancio di lacrimogeni senza motivo, in un momento in cui non vi sarebbe stata alcuna tensione, mentre i manifestanti cercavano di ricostruire le barricate rimosse dalla polizia nel corso della mattinata. La dinamica è mostrata in un video pubblicato dal Movimento sulle proprie pagine social: trovandosi di fronte una bassa barricata costruita dai cittadini, i poliziotti, in assetto antisommossa, hanno iniziato il lancio in un momento in cui la situazione non era ancora agitata, mirando direttamente ai presenti. Quest’ultima costituisce una pratica estremamente pericolosa, che comporta il rischio di ferite gravi e anche di morte per la persona che viene colpita. Proprio l’anno successivo, secondo quanto riferito dai No TAV (e mostrato all’interno di alcuni video diffusi dal Movimento), una ragazza è rimasta gravemente ferita dopo essere stata colpita in faccia da un lacrimogeno lanciato dalla polizia ad altezza d’uomo. I gas lacrimogeni sono classificati armi chimiche e banditi da convenzioni internazionali ratificate anche dall’Italia, ma nonostante ciò fanno parte dell’equipaggiamento delle forze di polizia e il loro utilizzo è ampiamente diffuso in contesti come quello della Val di Susa. Proprio nel 2020, a fronte dell’utilizzo intensivo di queste armi nel mondo, Amnesty International ha aperto un sito internet di monitoraggio del loro uso da parte delle forze dell’ordine, ricordando come, soprattutto se lanciate ad altezza uomo, costituiscano un rischio letale per i manifestanti.

Di tutto ciò non sembrerebbe esservi traccia nella sentenza della Procura di Torino, la quale ha invece condannato i presenti, tra le altre cose, per il lieve e accidentale ferimento di due membri delle forze dell’ordine durante le operazioni di sgombero delle barricate. L’ex dirigente di polizia (oggi questore di Aosta), Gianmaria Sertorio, e un altro commissario sono infatti rimasti feriti (la prognosi più lunga è stata di tre giorni) a causa dello strattonamento di un palo il quale, spiegano i presenti, avrebbe dovuto fungere da linea divisoria tra le due parti. Nel maggio di quest’anno, l’accusa aveva chiesto complessivamente 37 anni di carcere per i 10 imputati, ma il tribunale aveva disposto la riformulazione dei capi d’accusa al fine di ricostruire in maniera più esatta quanto accaduto.

La militarizzazione della Val di Susa, funzionale alla costruzione dei cantieri dell’Alta Velocità, va avanti da trent’anni circa, ovvero da quando si iniziò a parlare del progetto e, contestualmente, i residenti della valle si mobilitarono per impedire lo scempio del territorio. In trent’anni sono stati creati cantieri, cementificati chilometri di territorio, incarcerati decine e decine di cittadini in protesta, ma non è stato costruito nemmeno un metro dell’opera principale, mentre su alcune delle aziende coinvolte nei lavori si allunga anche l’ombra della mafia. Da quanto il ministro dei Trasporti, Matteo Salvini, ha (per l’ennesima volta) inaugurato l’inizio dei lavori di scavo nel tunnel di base, nel dicembre del 2023, non sono stati scavati nemmeno due chilometri del tunnel di base (su 12,5 complessivi in carico alla parte italiana), ovvero l’opera principale, che dovrebbe bucare la montagna per collegare la città di Torino con quella di Lione. La fine dei lavori è prevista, al momento, per il 2033. Nel frattempo, la repressione della valle prosegue senza sosta.

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Valeria Casolaro

Ha studiato giornalismo a Torino e Madrid. Dopo la laurea in Scienze della Comunicazione, frequenta la magistrale in Antropologia. Prima di iniziare l’attività di giornalista ha lavorato nel campo delle migrazioni e della violenza di genere. Si occupa di diritti, migrazioni e movimenti sociali.

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