giovedì 2 Maggio 2024

Alcune cose che l’ingorgo di Suez dovrebbe insegnare per il futuro

Dopo sei giorni di passione per il commercio mondiale la nave Ever Given ha iniziato lentamente a spostarsi ed è stata rimessa in linea di galleggiamento. Per liberarla ci sono voluti 12 rimorchiatori, uniti al lavoro di turbine e macchinari che hanno rimosso 20.000 tonnellate di detriti dal canale e all’aiuto dell’alta marea che ha reso fattibili le operazioni. Un incidente che ha permesso al mondo di capire i limiti non solo del canale in sé, ma di un sistema di trasporto e commercio mondiale che si dimostra insostenibile quanto fragile.

Una nave intraversata è stata sufficiente per bloccare il 12% del commercio mondiale, causando perdite per 9 miliardi di dollari al giorno. Provocando una reazione a catena che dapprima ha fatto schizzare il prezzo del petrolio, e poi ha causato ritardi nella produzione che potrebbero perdurare per diverse settimane, bloccando le consegne di semiconduttori e chip necessari all’assemblaggio di auto, macchinari ed elettrodomestici. Un blocco che è stato vissuto con ancor maggiore apprensione dall’Italia, che ha nel canale di Suez lo snodo vitale per il 40% del proprio import/export, un valore che nel 2020 è stato pari a 83 miliardi di euro.

Il canale di Suez – inaugurato nel 1869 – è innanzitutto vitale per l’Egitto, che per controllarne gli accessi dovette affrontare una guerra contro Francia e Inghilterra nel 1956. Nel 2020, dalle 19.000 imbarcazioni che lo hanno attraversato l’Egitto ha riscosso 5,6 miliardi di dollari in pedaggi. Soldi essenziali per il regime del Cairo, che nel 2015 si è adoperato per raddoppiare la dimensione del canale. Tuttavia alcuni problemi sono strutturali: alcune parti del canale sono troppo strette, altre sono rocciose. Gli incidenti, oltretutto, non sembrano neppure così rari visto che dopo il caso della Ever Given la stampa specialistica ha riportato l’episodio di un’imbarcazione della marina russa, scontratasi con una nave proveniente da Singapore solo poche ore prima.

Negli ultimi anni il traffico marino è cambiato fortemente, sempre più preda di quello che è stato definito gigantismo navale. La dimensione media delle imbarcazioni che attraversano il canale è cresciuta del 12% rispetto ad appena 8 anni fa. La stessa Even Given è lunga 400 metri e con una capacità di quasi 220mila tonnellate. Un vero e proprio mostro marino. Dimensioni che – unite all’automatizzazione di gran parte delle operazioni di guida che permettono di utilizzare equipaggi ridottissimi – hanno permesso ai costi del trasporto via nave di arrivare a pesare meno del 4% sul prezzo complessivo delle merci.

Chiaro quindi che le storture e i rischi del sistema dipendono dalla moltiplicazione in numero e portata delle navi stesse. È un sistema ormai insostenibile che andrebbe ripensato dalla base, ovvero dalla messa in discussione della necessità di trasportare sempre più merci da un capo all’altro del mondo. Ma per tutta risposta governi e aziende di trasporto stanno pensando a come aggirare il problema studiando nuove rotte.

Una delle possibilità sul tavolo è quella di riprendere a circumnavigare l’Africa, come due secoli fa. I convogli marittimi sarebbero così dirottati verso il Golfo di Aden e le coste somale per poi proseguire, una volta doppiato il Capo di Buona Speranza, attraverso il Golfo di Guinea. La navigazione durerebbe almeno una settimana in più, ma il problema è un altro: i due golfi in questione sono infestati dai pirati. Per il futuro, quindi, piuttosto che ripensare il sistema gli attori internazionali sembrano puntare tutto sullo sfruttamento del riscaldamento globale. L’altro tragitto possibile è infatti quello della rotta artica, seguendo la traiettoria che unisce il Mare del Nord all’estremo oriente costeggiando i mari settentrionali della Russia, nell’Oceano Artico. Una rotta fino ad oggi impossibile a causa dei ghiacci artici, ma sempre più attuale a causa del loro scioglimento. Praticamente la dichiarazione di fallimento di un’umanità che alza bandiera bianca di fronte al disastro climatico, limitandosi a banchettare sui suoi effetti prima di esserne travolta.

[di Andrea Legni]

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