Arriva una decisiva risposta alle audizioni in Commissione Antimafia degli ex ufficiali del ROS Mario Mori e Giuseppe De Donno, seguite dalla puntata di Report in cui sono emerse le presunte pressioni esercitate da Mario Mori per vedere nominati uomini di sua fiducia come consulenti dell’organismo presieduto da Chiara Colosimo. Oggi Palazzo San Macuto è stato infatti teatro dell’audizione dell’ex Procuratore di Palermo Gian Carlo Caselli. Il quale, in poco più di un’ora, ha completamente ribaltato la narrazione dei ROS su diversi punti cruciali in merito alle indagini sulle causali delle stragi del 1992. Documenti alla mano, Caselli ha confutato le tesi di Mori e De Donno, su cui sin da subito si sono chiaramente allineati Colosimo e Fabio Trizzino – legale dei figli di Borsellino -, che vedono il presunto interesse del giudice palermitano al dossier “mafia-appalti” dei ROS come elemento scatenante dell’accelerazione del progetto omicidiario nei suoi confronti. Un duro colpo per la linea della maggioranza in Commissione Antimafia, messa a dura prova dalle intuizioni e dai collegamenti operati da Caselli.
Il rapporto mafia-appalti
Uno dei punti più discussi e su cui Mori e De Donno hanno costruito parte delle loro argomentazioni riguarda il rapporto mafia-appalti, prodotto dai ROS alla Procura di Palermo nel febbraio ’92, al centro dello scontro tra carabinieri e magistrati. Nel suo intervento, Caselli ha sottolineato che «Mori, De Donno e Trizzino sostengono due tesi: la prima è che mafia-appalti è causa della morte di Borsellino; la secondo è che mafia-appalti muore a sua volta (sabotata), per l’archiviazione indebita e compiacente, richiesta da pm “felloni” in piena estate ’92, quando tutti pensano solo a riposo, svago e divertimento. Ma le due tesi in contemporanea sono come un cane che si morde la coda-innescano un corto circuito. Neanche il sanguinario Riina farebbe uccidere qualcuno perché non si occupi di una cosa che sta già scomparendo da sola». Pur di denigrare la procura di Palermo, si prospettano due tesi contradditorie che si annullano vicendevolmente: conta solo accusare la Procura di qualcosa…».
Le vere cause
Afferma Caselli che Borsellino è sicuramente stato ucciso dalla mafia per «vendetta postuma» e per «soffocarne il metodo», forse anche «per impedirgli di comunicare alla Procura di Caltanissetta il vasto e prezioso materiale raccolto di cui non faceva mistero», senza dimenticare «l’intervista rilasciata da Borsellino due giorni prima di Capaci a una TV francese, a lungo tenuta nascosta dalla nostra Tv di Stato perché riguardava fatti imbarazzanti riferibili à personaggi eccellenti», ovvero Berlusconi, Dell’Utri e lo “stalliere” di Arcore (in realtà mafioso del clan di Porta Nuova) Vittorio Mangano. «Ma nulla, proprio nulla, che possa consentire di concentrarsi esclusivamente sulla pista mafia-appalti, che è invece la scelta operata, con una sorta di presunzione dogmatica, da Mori, De Donno e Trizzino». Tra le altre piste evidenziate da Caselli in vista di accertamenti legati a possibili connessioni con via D’Amelio, ci sono anche «la paura che alla lunga in Procura avrebbe comandato più Borsellino che Giammanco», la “pista nera” indicata tra gli altri dal pentito Lo Cicero poco prima della morte di Borsellino in relazione alla bomba di Capaci (se n’è recentemente occupata la trasmissione Report), le «piste segnalate alla Commissione da Roberto Scarpinato», che vedono il loro fulcro nella commistione di interessi tra mafia, eversione nera, politica e servizi deviati. Nonché, citando quanto riportato dal pentito Cancemi, la creazione di «nuovi legami politici» di Cosa Nostra nell’era post-Tangentopoli. Tradotto: tutte le piste fortemente invise a Colosimo, Mori, De Donno e Trizzino.

Il caso Ciancimino
Altro aspetto fondamentale trattato dall’ex Procuratore è la gestione delle dichiarazioni rilasciate in interrogatorio da Vito Ciancimino, ex sindaco mafioso di Palermo, sentito dai magistrati Caselli e Ingroia alla presenza dei ROS dal gennaio 1993. «Soltanto una trentina di anni dopo, Mori e De Donno decidono all’improvviso di accusare Caselli e Ingroia, inventandosi una tesi» all’interno del loro libro “L’altra verità” (Piemme, 2024), ovvero che «non avremmo adeguatamente “sfruttato” per le indagini Ciancimino, col rammarico – dicono i due Ufficiali – che… “il treno passa una sola volta nella vita”. Una ricostruzione su cui punta veementemente il dito l’ex Procuratore, che, dopo aver citato gli insulti e gli improperi messi nero su bianco da Ciancimino nei confronti di Falcone e Borsellino, nonché le «chiacchiere senza apprezzabile fondamento o significato, prive di prospettive concrete processualmente utili» fatte da Ciancimino in interrogatorio, lo inquadra come un personaggio dal comportamento «in totale distonia rispetto ai requisiti occorrenti per riconoscere un potenziale pentito affidabile». Continua Caselli: «Si fa fatica a capire come possano Mori e De Donno (che sostengono di aver avuto un unico scopo: vendicare Falcone e Borsellino) “sponsorizzare” don Vito dandogli un credito postumo quasi incondizionato e scorgendovi una straordinaria opportunità di lotta alla mafia, invece della inaffidabilità e ambiguità che sono i tratti caratteristici del ”corleonese nelle mani dei corleonesi». Nondimeno, ricorda l’ex magistrato, i due ufficiali «se ne escono nel libro con una teoria stupefacente: premesso che forse sarebbe stato impossibile andare a dibattimento, loro “stavano per sbaragliare ciò che non poteva essere sbaragliato”, perché Ciancimino “avrebbe potuto portare le indagini a livelli mai toccati prima”: beninteso, dibattimento escluso, perciò girando a vuoto senza sbocchi di una qualche utilità, avendo gli stessi Mori e De Donno ammesso poco prima che tale livello era di fatto inarrivabile».
Quell’incontro a Carini
Le contraddizioni di Mori e De Donno concernono poi la riunione intrattenuta con Paolo Borsellino alla Caserma di Carini il 25 giugno 1992. Secondo i ROS, l’incontro (segreto) avrebbe avuto come obiettivo il rafforzamento delle indagini sul dossier “mafia-appalti”. Secondo quanto trapela da un verbale datato dicembre 2012 di Carmelo Canale, uno dei principali collaboratori di Borsellino, la riunione, dice Caselli, avvenne invece «su richiesta, ad esso Canale, di Borsellino, che voleva conoscere De Donno, in quanto sospettato da colleghi magistrati di essere autore dell’anonimo Corvo2» (alias che indicava una fonte anonima che avrebbe avuto accesso a informazioni riservate sulla Procura di Palermo). «Ragioniamo come se ancora la versione da cui siamo partiti (riunione a tre preso caserma Carini) non fosse in discussione», dice Caselli: «Emerge un interesse di Borsellino verso mafia-appalti. […] È però necessario e imprescindibile, per poter dare un senso logico al collegamento di mafia-appalti con l’eliminazione di Borsellino, che Cosa nostra conosca tale interesse. Ora, l’assoluta segretezza con cui è stato organizzato e si è svolto l’incontro del 25 giugno è scarsamente se non del tutto incompatibile con la conoscenza che abbiamo detto essere necessaria».
In realtà è tutto semplicissimo, fu tutto comandato dalla CIA per soggiogare ogni tentativo di indipendenza politica dell’Italia e i primi a vendersi furono dentro le istituzioni.
Questi sono i “servitori dello stato”…che pena, e che rabbia!