giovedì 26 Giugno 2025

Un verbale vecchio di 33 anni porta nuovi possibili elementi sulla strage di Capaci

Paolo Borsellino, poco prima di essere ucciso, stava indagando sui presunti collegamenti tra gli uomini dell’eversione nera e la strage di Capaci. A provarlo è infatti l’emersione di un verbale, risalente a una riunione andata in scena a Palermo il 15 giugno 1992 – tra gli due attentati di Capaci e via D’Amelio – alla quale presero parte cinque magistrati, tra cui proprio Borsellino. Dal documento si evidenzia come i giudici presenti all’incontro si scambiarono informazioni legate alla strage di Capaci e alle intercettazioni disposte nei confronti del pentito Alberto Lo Cicero, braccio destro del boss di San Lorenzo Mariano Tullio Troia – condannato per l’attentato del 23 maggio ’92, detto “‘U Mussolini” per le sue simpatie di estrema destra e, a detta di Lo Cicero, legato al capo di Avanguardia Nazionale Stefano Delle Chiaie – e della sua ex compagna Maria Romeo, in cui si accennava proprio all’attentato in cui morì Giovanni Falcone.

Un nuovo documento

Da alcuni mesi pende una richiesta di archiviazione da parte della Procura di Caltanissetta rispetto alla “pista nera” dietro alla strage di Capaci. Ma il legale Fabio Repici, difensore di Salvatore Borsellino, fratello di Paolo, ha chiesto alla gip Graziella Luparello di interrompere la camera di consiglio e la decisione sulla richiesta dei pm, al fine di «rimediare a un grosso difetto procedimentale che si è creato con la mancata conoscenza (da parte del sottoscritto difensore e, quel che è ancora peggio, della Giudice) di alcuni atti che non solo erano già nella disponibilità della Procura della Repubblica ma che avevano trovato discovery in altro procedimento, che si trova addirittura in corso di istruttoria dibattimentale». Si parla, nello specifico, proprio del verbale del 15 giugno ’92, sfociato dalla riunione a cui presero parte il Procuratore Capo di Palermo, Pietro Giammanco, i procuratori aggiunti Vittorio Aliquò e Paolo Borsellino, il sostituto procuratore Vittorio Teresi e Pietro Maria Vaccara, sostituto procuratore a Caltanissetta. «Convengono i presenti – è scritto nel verbale – sulla opportunità che dette intercettazioni (quelle disposte nei confronti di Lo Cicero e Romeo, ndr) proseguano a cura della procura della Repubblica di Palermo, concernendo esse più ampio tema di indagine, e con l’intesa che ogni elemento che emerga circa l’omicidio del dottor Falcone verrà immediatamente comunicato alla procura della Repubblica di Caltanissetta». «È sconvolgente – ha dichiarato l’avvocato Repici – aver reperito solo a 33 anni di distanza dalla strage di via D’Amelio un documento procedimentale sull’omicidio di Falcone nel quale compare la sottoscrizione di Borsellino».

L’avvocato Repici cita poi una circostanza concernente l’onorevole Guido Lo Porto, membro di spicco del MSI dai primi anni Settanta fino ai primi anni Novanta e Sottosegretario alla Difesa nel primo Governo Berlusconi (’94-’96). Da giovane fu il presidente del FUAN di Palermo e, tra i suoi principali collaboratori, c’era proprio Paolo Borsellino. Poi, nel 1968, venne arrestato insieme al killer neofascista Pierluigi Concutelli per possesso di armi da guerra non dichiarate. Nella sua memoria, Repici scrive che l’allora magistrato Vittorio Teresi, in una relazione di servizio datata primo giugno 1992 «sicuramente nota al dottor Borsellino» mise nero su bianco che Lo Cicero riferì di aver conosciuto «presso la villa del Troia l’on. Lo Porto, che più di una volta si sarebbe intrattenuto a cena dallo stesso, e che un nipote o cugino del Lo Porto sarebbe proprietario di una villa nello stesso complesso». «La riunione del 15 giugno – continua l’avvocato – nella quale le Procure di Caltanissetta e di Palermo parlarono di Lo Cicero e delle sue rivelazioni (e sicuramente, quindi, anche dell’on. Lo Porto), fu di pochissimo precedente all’incontro del dr. Borsellino con la dr.ssa Camassa e il dr. Russo, nel corso del quale il magistrato, di lì a breve ucciso, si lasciò andare a uno sfogo su “un amico” dal quale si era sentito tradito».

L’interesse di Borsellino

Secondo Repici, l’interesse di Borsellino per quanto dichiarato da Lo Cicero è provato da una informativa dei carabinieri dell’8 giugno 1992, redatta da Walter Giustini e Antonio Coscia, a cui era allegato un rapporto del 1988 firmato dal maggiore Mauro Obinu (che poi finirà a processo insieme all’ex ROS Mario Mori, assolto «perché il fatto non costituisce reato», per la mancata cattura di Bernardo Provenzano nel 1995). Il documento concerneva gli affari di Cosa Nostra nel territorio di Capaci e menzionava il mafioso Giuseppe Senzale, «oggetto delle rivelazioni di Lo Cicero della primavera-estate 1992». Repici ricorda che, in una deposizione dell’ottobre 1995, il tenente Carmelo Canale, stretto collaboratore di Borsellino, riferì che lo stesso magistrato «gli aveva fatto cercare un rapporto a firma del maggiore Obinu» poiché «interessato a individuare gli autori della strage di Capaci». L’ex brigadiere Walter Giustini e Maria Romeo hanno raccontato di aver saputo da Lo Cicero della presenza di Delle Chiaie a Capaci. La Procura di Caltanissetta ha bollato come inattendibili le loro dichiarazioni, mandandoli addirittura a processo. La circostanza sarebbe stata però recentemente confermata dal giornalista del Giornale di Sicilia Giuseppe Martorana, che a Report e ad Antimafia Duemila ha rivelato di aver visto Delle Chiaie a Capaci tra il febbraio e il marzo 1992.

Il “filo nero”

Indagini e processi continuano a delineare il «filo nero» che collega mafia, eversione di destra e servizi deviati in stragi e omicidi eccellenti. Proprio durante il processo Mori-Obinu del 2015, il colonnello Michele Riccio rivelò come l’ex infiltrato Luigi Ilardo avesse accusato «ambienti di destra eversiva» in contatto con settori deviati dello Stato di essere i veri mandanti delle stragi del ’92-’93, mascherate da attentati mafiosi per destabilizzare il Paese. Dietro a questi attentati affiorano nomi e sigle come quelle della «Falange Armata», utilizzata per rivendicare azioni eversive presumibilmente affidate a colonne interne agli apparati statali. Figure come Paolo Bellini – ex Avanguardia Nazionale e agente coperto dai servizi, condannato in appello per la strage di Bologna – e Nino Gioè – tramite tra Cosa Nostra e i servizi – confermano la pericolosa convergenza tra terrorismo nero, poteri deviati e mafia, in un intrico che ancora oggi sfida il racconto ufficiale della storia repubblicana. Per non parlare delle agende elettroniche di Giovanni Falcone “manomesse” da mani ignote al Ministero della Giustizia dopo la sua morte, proprio nelle parti in cui il giudice si occupava dei presunti collegamenti tra l’organizzazione paramilitare “Gladio” e i delitti Mattarella, Reina e La Torre. Nonostante questo, la Commissione Antimafia a guida Chiara Colosimo sembra in tutti i modi voler scacciare le “ombre nere” dal novero delle ipotesi legate all’omicidio Borsellino, sponsorizzando la pista del «rapporto mafia-appalti» del ROS come sua unica causale. Le novità emerse, però, potrebbero cambiare il corso delle cose.

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Stefano Baudino

Laureato in Mass Media e Politica, autore di dieci saggi su criminalità mafiosa e terrorismo. Interviene come esperto esterno in scuole e università con un modulo didattico sulla storia di Cosa nostra. Per L’Indipendente scrive di attualità, politica e mafia.

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2 Commenti

    • Personalmente a riguardo, ne ero così sicuro, che insieme a pochissimi illuminati, ho fatto licenziare Tenet dalla CIA a forza di insultarlo sui giornali per l’11 Settembre, causato proprio dalla presa di posizione intransigente contro consigli Italia, poco prima che mi mandasse contro qualcuno di brutto, Bush Jr. lo licenziò in tronco😂

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