domenica 14 Dicembre 2025

La storia dimenticata dei nativi americani che lottarono in Italia contro il nazifascismo

Il tenente Ernest Childers, il tenente Jack Montgomery e il tenente Thomas Van Barfoot sono tre soldati statunitensi che hanno ricevuto la medaglia d’onore al Congresso per le azioni compiute durante la seconda guerra mondiale, nel corso della Campagna d’Italia condotta dagli Alleati per liberare la penisola dal nazifascismo. Seppure possa sembrare un fatto degno di non troppo conto, la provenienza dei militari rivela un dettaglio poco conosciuto: questi tre soldati erano nativi americani, i primi dei propri popoli a ricevere la più alta onorificenza che si possa ottenere negli Stati Uniti. Childers era un Creek, Montgomery un Cherokee, Van Barfoot un Choctaw. I tre erano parte di un gruppo di nativi americani all’interno di un plotone di duemila militari tra canadesi e statunitensi, che hanno partecipato alla Campagna d’Italia. Gli stessi nativi che, a casa propria, per mezzo della politica statunitense di deportazione e concentrazione, vivevano confinati all’interno delle “riserve”. La loro era una storia di brutale colonizzazione e sterminio. Ma, nonostante ciò, vennero in Italia a combattere contro quello stesso male. Sono decine quelli sepolti nella nostra terra, nei cimiteri di Agira, Ortona, Cassino, Roma, Gradara, Cesena, Coriano, Rimini, Ravenna e Villanova di Bagnocavallo.

La Thunderbird Division

Tutti e tre i medagliati appartenevano alla famosa 45esima Infantry Division (Divisione di Fanteria), anche chiamata Thunderbird Division. Simbolo della Divisione era proprio il thunderbird, l’uccello del tuono, simbolo di potenza e protezione. Per uno strano scherzo del destino, il simbolo prima di esso era un rombo rosso con all’interno una croce gialla molto simile a una svastica, omaggio ai nativi americani del sud-ovest degli Stati Uniti. Il simbolo rappresentava i quattro venti, le quattro direzioni, le quattro stagioni, ed era associato anche al simbolo del cerchio, dell’alternanza e dei cicli. Adottata nel 1924, il simbolo venne sostituito nel 1939, per evitare qualunque associazione con il regime nazista.

Più di 44.000 nativi americani statunitensi hanno prestato servizio militare durante la seconda guerra mondiale, su tutti i fronti del conflitto, dal Pacifico all’Atlantico. Molti sono coloro che sono stati onorati ricevendo medaglie: Cuore Viola, Medaglia Aerea, Distintivo del Volo, Croce, Stella di Bronzo, Stella d’Argento e Medaglia d’Onore del Congresso, come nel caso di Childers, Montgomery e Van Barfoot.

Il 22 settembre 1943, nel Comune di Oliveto, in provincia di Salerno, il tenente Childers, con un piede rotto, con il fucile in braccio e le granate in tasca, avanzò su una collina, contro le due postazioni nemiche di mitragliatrici. Nel percorso individuò e uccise due cecchini nemici che gli sparavano addosso. Una volta arrivato in cima alla collina riuscì, con le granate prima e il fucile poi a catturare due “nidi” di mitragliatrici, uccidendo le squadre nemiche di entrambe le postazioni. Per questa azione, ricevette la medaglia all’Onore.

Nella notte tra il 21 e il 22 febbraio 1944, vicino a Padiglione, nelle Marche, nel tentativo di frenare l’avanzata degli alleati, una grande forza di fanteria tedesca si stabilì formando tre linee di difesa. Prima che il sole sorgesse, il tenente Montgomery si diresse con fucile e granate verso la prima linea, in direzione della postazione della mitragliatrice, conquistandola immediatamente. Così fece anche per la seconda linea. Dopo qualche ora, quando ormai era giorno, Montgomery giunse fino alla terza linea di difesa tedesca e conquistò la postazione della mitragliatrice. In totale, il tenente nativo americano uccise 11 tedeschi e fece 32 prigionieri. Poco dopo fu colpito da frammenti di mortaio che lo ferirono gravemente, ma si salvò. Per queste sue gesta fu insignito dell’onorificenza più alta.

Nel maggio del 1944, nei pressi di Anzio, il tenente Van Barfoot aggirò un campo minato che si trovava di fronte alla posizione tedesca. Arrivato a pochi metri da un nido di mitragliatrice sul fianco tedesco, vi scagliò una bomba a mano. Così entrò nella trincea tedesca e avanzò su una seconda mitragliatrice, uccidendo due soldati e catturandone tre. Senza fermarsi, raggiunse una terza mitragliatrice e qui l’intero equipaggio si arrese a lui. In tutto, Van Barfoot uccise 8 soldati tedeschi e ne catturò 17. Non solo. Quando, più tardi, i tedeschi sferrarono il contrattacco con tre carri armati, Van Barfoot ne distrusse uno con un bazooka e uccise parte del suo equipaggio con il fucile mitragliatore Thompson, mettendo in fuga gli altri due carri armati e i loro equipaggi. Tutto questo gli valse la Medaglia d’Onore del Congresso.

Il ruolo determinante dei soldati nativi americani

Operazione Husky era il nome in codice alleato per designare l’invasione della Sicilia, la quale ebbe inizio il 9 luglio 1943, preceduta nel mese di giugno dall’occupazione delle isole di Lampedusa, Linosa, Lampione e Pantelleria. La Campagna d’Italia, guidata prima dal generale statunitense Dwight Eisenhower e poi dal generale britannico Harold Alexander, fu caratterizzata da una serie di sbarchi e da sanguinose battaglie di logoramento lungo le successive linee difensive approntate dall’esercito tedesco. Le truppe alleate, costituite da contingenti provenienti da molteplici Paesi, furono ostacolate dall’aspro territorio appenninico, dalle difficoltà climatiche e dalla tenace resistenza tedesca che provocarono forti perdite e il lento avanzamento del fronte. Roma non venne liberata fino al 4 giugno 1944. La Linea Gotica fu superata solo nell’aprile 1945 con una massiccia offensiva finale che permise di raggiungere la pianura Padana. E con la firma della resa di Caserta del 29 aprile ’45, e il suo entrare in funzione dal 2 maggio, i combattimenti in Italia ebbero fine. Tutto questo fu reso possibile anche grazie ai nativi americani: non solo degli Stati Uniti, ma anche membri delle tribù canadesi. Una storia poco, se non per nulla conosciuta, illustrata nel testo di Matteo Incerti I pellerossa che liberarono l’Italia.

Ad oggi, i nativi americani, abitanti originari delle terre oggi conosciute come “America” e pre-esistenti all’arrivo dei coloni europei, vivono in una condizione di segregazione, rinchiusi in spazi delimitati (le riserve), privati della possibilità di impiegare la propria lingua, di celebrare le proprie tradizioni, di vivere secondo i dettami della propria cultura e della propria spiritualità. Molti sono i figli che furono strappati con la forza alle proprie famiglie per essere rinchiusi nelle Boarding School, all’interno delle quali subirono violenze indicibili. In molti trovarono la morte, solo per essere poi seppelliti in fosse comuni. Le donne furono sterilizzate – una delle tante modalità nelle quali si declina lo sterminio di un popolo – affinchè fosse loro impossibile concepire figli propri. Molti tra questi, figli di un’oppressione lunga oltre quattro secoli, sacrificarono la propria vita per la liberazione del nostro Paese dallo stesso male che li affliggeva nelle proprie terre. E dal quale, ancora oggi, non esiste liberazione.

[di Michele Manfrin]

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Michele Manfrin

Laureato in Relazioni Internazionali e Sociologia, ha conseguito a Firenze il master Futuro Vegetale: piante, innovazione sociale e progetto. Consigliere e docente della ONG Wambli Gleska, che rappresenta ufficialmente in Italia e in Europa le tribù native americane Lakota Sicangu e Oglala.

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