domenica 15 Dicembre 2024

Chuck D, dal rap antisistema ad “ambasciatore globale” del Dipartimento di Stato USA

Chuck D, frontman dei Public Enemy, è passato dal cantare Fight the Power a essere ambasciatore artistico nel mondo per conto del governo degli Stati Uniti. Con una piroetta, il leggendario rapper e attivista è finito per schierarsi insieme al Dipartimento di Stato USA, al servizio di Antony Blinken. Gli “ambasciatori della musica globale” di Washington sono figure direttamente modellate dal governo – e dalle sue agenzie – fin dall’epoca della Guerra Fredda, con il fine di utilizzare la musica come arma di softpower per ispirare cambi di regime nei Paesi comunisti e socialisti in giro per il mondo. I tour musicali sono stati utilizzati anche come coperture che la CIA ha utilizzato per assassinare leader stranieri considerati ostili all’impero statunitense. Chuck D è diventato oggi uno strumento nelle mani degli apparati profondi di quel sistema che tanto detestava e diceva di combattere.

Venuto alla ribalta con l’estetica e il messaggio portato dalle Black Panther, Chuck D era considerato il Malcom X dell’hip hop. Proprio il rapper, in una intervista con Historic.ly, ha spiegato le ragioni della sua scelta e di come le Pantere Nere e Malcolm X siano stati di fondamentale importanza per i suoi anni formativi di attivismo politico-musicale. Nella medesima intervista, il frontman dei Public Enemy spiega che la sua decisione ha solamente a che fare con la musica e con l’arte. Quando però gli viene fatto notare che sta veicolando l’arte nera della protesta sociale schierandosi dalla parte del Dipartimento di Stato, risponde: «Non esistono davvero Paesi e nazioni del cazzo. È la tecnologia che lo è diventata. La mia unica cosa, e il mio unico secondo fine, è la musica hip hop, il rap, la cultura artistica, tutto qui! Questa è la mia fottuta religione e la mia fottuta nazione a questo punto. Non mi fido di nessun governo. Sono tutti uguali». Un cortocircuito non semplice da poter risolvere.

Alla fine del giugno scorso, tra una folla di artisti che includeva Herbie Hancock, Armani White, Breland, Denyce Graves, Grace Bowers, Jelly Roll, Justin Tranter, Kane Brown, Lainey Wilson e Teddy Swims, Chuck D era al centro della scena accanto al Segretario di Stato Blinken. «Vorrei ringraziare tutti i membri del Dipartimento di Stato degli Stati Uniti e anche YouTube per avermi invitato a essere un ambasciatore della musica globale degli Stati Uniti», è ciò che il rapper ha detto di fronte ai giornalisti. Durante la conferenza stampa che annunciava l’inaugurazione del progetto, sia Blinken che Lyor Cohen, capo della musica globale di YouTube, hanno costantemente menzionato il programma segreto della CIA utilizzato durante la Guerra Fredda per usare la musica e le arti come armi per il cambio di regime. Cohen ha spiegato che YouTube sta collaborando con il Dipartimento di Stato USA per aiutarli a «sfruttare gli eventi globali», senza specificare con quale fine. «Utilizzeremo i principali raduni internazionali per ispirare l’azione» ha detto Cohen, senza riferire quale tipo di azione – anche se a questo punto è possibile immaginarlo.

Vale infatti la pena ricordare in cosa consisteva il programma segreto della CIA che ruotava attorno agli “ambasciatori della musica globale”. Nina Simone, Louis Armstrong, Dizzy Gillespie ed Ella Fitzgerald sono solo alcuni artisti utilizzati per veicolare il messaggio di una società, quella statunitense, aperta e accogliente. Le reti mediatiche statunitensi come Radio Free Europe/Radio Liberty bombardarono l’Europa orientale con musica trasformata in un’arma sovversiva e controculturale. Voice of America – un’altra rete finanziata dagli Stati Uniti – chiamò il suo programma radiofonico jazz L’ora della libertà. Da notare come in realtà, in quegli anni, gli afroamericani – compresi gli artisti famosi – dovevano fare i conti con una società profondamente e strutturalmente razzista. La CIA ha utilizzato decine di artisti per creare una propaganda favorevole al regime capitalista statunitense e avversa ai sistemi socialisti e comunisti.

Quando non bastava il soft-power, gli agenti segreti statunitensi vi aggiungevano una dose di violenza. Diversi tour degli artisti musicali sono stati utilizzati come coperture per mettere a segno o preparare uccisioni di leader stranieri invisi a Washington. Un esempio su tutti fu l’assassinio di Patrice Lumumba. La CIA si unì al tour di Louis Armstrong del 1960 in Congo, accompagnandolo in tutto il Paese per raccogliere informazioni cruciali su dove si trovasse Lumumba e sulla sua sicurezza. Il giovane primo ministro, carismatico e volenteroso di portare uguaglianza e affrancamento dal suprematismo bianco, fu ucciso pochi mesi dopo. Da allora il Congo è entrato in una spirale di violenza da cui ancora non è uscito e di cui le società occidentali hanno approfittato per continuare a controllare le vaste risorse minerarie della nazione.

[di Michele Manfrin]

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