sabato 9 Novembre 2024

La multinazionale Intel ci ripensa: almeno per ora non costruirà microchip in Europa

Intel, multinazionale statunitense nota per i suoi microprocessori, ha annunciato l’intenzione di sospendere temporaneamente i progetti espansionistici che l’avrebbero vista protagonista di fabbriche di grandi dimensioni da edificare in Germania e in Polonia.  La mossa tronca i progetti dei due Paesi membri, facendo scomparire improvvisamente migliaia di potenziali posti di lavoro e arrestando giri finanziari da miliardi di euro. Tuttavia, la mossa di Intel rischia anche di danneggiare l’intera zona UE, la quale si trova improvvisamente più vulnerabile e dipendente dai microchip stranieri.

La comunicazione di questa “pausa” è giunta lunedì 16 settembre, ben integrata all’interno di una più ampia comunicazione programmatica firmata da Pat Gelsinger, CEO dell’azienda. Ufficialmente, il testo è stato pubblicato per aggiornare i dipendenti sulla corrente situazione dell’impresa, ma è lampante che il vero obiettivo del dirigente fosse quello di rassicurare gli investitori, i quali si erano dimostrati estremamente delusi dalle prestazioni del secondo trimestre fiscale di Intel. Un’insoddisfazione che ha causato uno storico tracollo in Borsa. In risposta, l’azienda promette ora uno “sviluppo più efficiente della produzione fondiaria Intel”, ovvero di concentrarsi sulla produzione interna statunitense, obiettivo che ha perseguito siglando contratti miliardari con Amazon Web Services e con il Governo USA.

La ricalibratura degli obiettivi ha però preteso dei sacrifici. “Metteremo in pausa i nostri progetti in Polonia e in Germania per approssimativamente due anni, basandoci sulle previsioni di richiesta del Mercato”, scrive Gelsinger. Un “rivediamoci tra due anni”, ma senza che siano siglati impegni o promesse, tutto dipenderà dallo scenario economico-finanziario futuro. Questa incertezza mette ovviamente a repentaglio i progetti di crescita delle due nazioni, ma anche le prospettive dell’Unione Europea, la quale sta cercando di attrarre fonderie di semiconduttori per emanciparsi dalla fornitura di microchip stranieri, in prospettiva di una rivoluzione industriale 4.0. 

Varsavia aveva messo in campo 1,7 miliardi di euro sotto forma di aiuti statali al fine di sostenere il progetto di Intel, dando il via a un investimento totale che era stimato per 4,2 miliardi di euro. Nel giugno del 2023, il Primo ministro polacco Mateusz Morawiecki aveva annunciando l’accordo con l’azienda statunitense come “il più grande investimento nella storia polacca”, nonché un passaggio strategico per rinforzare i “legami transatlantici”. Per la Germania, la situazione è ancora più critica. Berlino aveva offerto aiuti di stato per 9,9 miliardi di euro per aprire due “gigafactory” dalle parti di Magdeburgo. 

Il mastodontico programma avrebbe previsto un flusso di capitalizzazione di circa 30 miliardi di euro, nonché la creazione di circa 3.000 posti di lavoro. Non solo, il Governo tedesco guardava con estremo interesse alla possibilità di prodursi internamente i microchip da dedicare alla strategica e vitale industria automobilistica, attualmente dipendente dai fornitori asiatici. La defezione di Intel giunge peraltro in un periodo particolarmente delicato, visto che proprio in questi giorni lo storico marchio Volkswagen ha esplicitato l’idea di voler chiudere alcuni dei suoi stabilimenti tedeschi, ormai considerati poco profittevoli. 

Intel non è l’unica grande realtà  produttrice di semiconduttori che è entrata in contatto con l’Unione Europea, c’è anche la taiwanese TSMC, tuttavia il suo passo indietro complica considerevolmente la situazione dell’UE. Molti dei Paesi industrializzati sono convinti che puntare sulla digitalizzazione e sull’informatica sia la soluzione definitiva per garantirsi la crescita della produzione, tuttavia questa transizione è condizionata dalle forniture di microchip, la quale è nelle mani di un numero relativamente contenuto di realtà aziendali. L’Europa contava molto su Intel per compensare alle proprie mancanze: nel 2022 l’Europarlamento stimava che la produzione complessiva di semiconduttori in UE si attestano a meno del 10% del Mercato globale, una quota insufficiente a garantire competitività ed efficienza.

[di Walter Ferri]

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