venerdì 13 Dicembre 2024

Un’indagine di Essere Animali dimostra che l’allevamento ittico intensivo è insostenibile

Molte sono le associazioni che, negli ultimi anni, si sono battute contro il dramma vissuto dagli animali all’interno degli allevamenti intensivi, documentando le violenze a cui in particolare polli e maiali sono spesso soggetti nel corso della loro vita e prima della macellazione. Le violenze, però, riguardano anche altre specie. Lo ha efficacemente dimostrato l’ultima inchiesta di Essere Animali, che ha certificato con materiale video le enormi sofferenze degli animali e le irregolarità nei controlli veterinari all’interno di un allevamento di trote, storioni e anguille della provincia di Treviso. Questo prezioso documento costituisce l’ennesima riprova di quanto il sistema dell’allevamento ittico intensivo sia altamente insostenibile, come molte ricerche e inchieste hanno negli ultimi anni dimostrato ponendo l’accento non solo sulle inaudite sofferenze patite dagli animali, ma anche sulle ricadute ambientali del fenomeno.

Le immagini diffuse da Essere Animali, girate da un ex dipendente dell’allevamento, testimoniano le macroscopiche irregolarità delle condotte degli operatori nelle varie fasi della loro attività. Nella fase degli abbattimenti, si vedono gli addetti posizionare i morsetti dei cavi elettrici direttamente sulle branchie degli animali, parte del corpo estremamente sensibile, nonché sbattere vigorosamente per terra esemplari ancora coscienti. Le immagini hanno catturato anche le parole del responsabile della produzione, ripreso di nascosto, che ammette come gran parte delle trote allevate nell’impianto non vengano stordite, bensì fatte morire per asfissia. «Per legge l’animale non dovrebbe soffrire, per non soffrire gli metti la corrente, lo abbatte e muore. Qua alle trote non mettiamo mai la corrente… resterebbe una macchietta qua nera, ed è brutta da vedere, no?», lo si sente raccontare. Stando alle sue parole, di questa situazione sarebbero ben consci i veterinari, che avrebbero omesso di contestare le pratiche illecite e avrebbero avvisato l’azienda prima di procedere con i controlli. «Ormai il nostro veterinario lo conosciamo, lui lo sa già. Quando vengono i veterinari per le visite fuori lo sanno già, pescano un po’ prima (dei controlli, ndr)», aggiunge. Durante il soffocamento, i pesci si dimenano ferendosi tra loro. Anche la fase di scarico, che vede i pesci essere direttamente gettati dal serbatoio del camion alle vasche di stoccaggio a grandissima velocità e da un’altezza elevata, è estremamente problematica. Come attestano i video dell’inchiesta, infatti, i pesci subiscono spesso gravi lesioni. Addirittura, in alcuni casi, gli animali sono stati rinvenuti spezzati a metà. Gli operatori agganciano poi alla bocca con un ferro gli animali caduti sul pavimento, scaraventandoli nei cestelli, oppure prendendoli direttamente a calci. Essere Animali ha deciso di denunciare l’allevamento per maltrattamento di animali (art. 544 ter c.p.), abbandono di animali (art. 727, comma 2 c.p.) e numerose violazioni in materia di lavoro, nonché per l’ipotesi di reato in materia ambientale.

Essere Animali ha recentemente lanciato la campagna Acquacoltura Insostenibile, attraverso cui si chiedono maggiori tutele per i pesci allevati e modifiche normative per affrontare le enormi criticità degli allevamenti ittici intensivi. Nel nostro Paese, la produzione di acquacoltura si concentra su tre specie, ovvero l’orata, il branzino e la trota iridea. Il Ministero dell’Agricoltura, a braccetto con le associazioni di produttori di pesce (API) e molluschi (AMA), ha sviluppato una certificazione che consente di etichettare i prodotti ittici da Acquacoltura Sostenibile, che però non garantisce che le problematiche emerse dall’inchiesta sull’allevamento di Treviso siano superate. Nel disciplinare, infatti, non si delinea una chiara definizione di “benessere animale”, inoltre non viene contemplato l’obbligo di stordimento efficace dell’animale in fase di abbattimento, né delineati parametri formali sulle densità massime e sulla qualità dell’acqua nelle gabbie di mare e negli allevamenti a terra. I pesci sono dunque costretti a vivere in condizioni innaturali e stressanti, all’insegna del sovraffollamento e della scarsa qualità dell’acqua e soggetti alla privazione di cibo, nonché all’azione dei parassiti.

A ogni modo, il problema non è solo italiano. Tre anni fa, Essere Animali, in collaborazione con We Animals Media, aveva documentato le pratiche crudeli cui orate e branzini sono sottoposti negli allevamenti intensivi in Grecia, attestando come essi siano immersi ancora vivi in acqua e ghiaccio, dove possono trascorrere decine di minuti in agonia prima di morire. Molti dei pesci arrivavano a passare fino a due anni confinati ad altissime densità in gabbie spoglie, con un tasso di mortalità del 15-20%, dovuto per metà al proliferare di malattie. Come rivelato da una ricerca svolta sempre in Grecia dall’Istituto per la protezione del mare Archipelagos, inoltre, le attività di acquacoltura avrebbero “prodotto ricadute pesanti sugli ecosistemi marini”. I risultati dello studio, condotto attraverso foto, rilievi e campionamenti delle acque e dei fondali, hanno infatti rivelato “un paesaggio morto, con ecosistemi marini danneggiati dalle attività di itticoltura che vi insistono da decenni”, hanno scritto gli autori dell’indagine in un resoconto. Lo scorso ottobre, la CIWF (Compassion in World Farming), organizzazione non profit che opera per la protezione e il benessere degli animali allevati a fini alimentari, aveva diffuso immagini provenienti da un’indagine sotto copertura sugli allevamenti intensivi in Polonia in cui si vedevano pesci ammassati in vasche sovraffollate di acqua sporca – spesso tra feci galleggianti in superficie -, che venivano sventrati mentre erano ancora in vita o schiacciati dai barili. “Questi animali hanno diritto a essere protetti da un’ampia legislazione specie-specifica, ed è per questo che esortiamo l’UE a introdurne una senza ulteriore indugio”, aveva commentato la CIWF. E ora anche l’Italia ha validi elementi per unirsi all’appello.

[di Stefano Baudino]

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