domenica 28 Aprile 2024

India: il governo e gli indipendentisti del Manipur firmano uno storico accordo di pace

Dopo quasi sessant’anni di scontri e lunghi negoziati, il 29 novembre il Fronte Unito di Liberazione Nazionale (UNLF), uno fra i più solidi e radicati gruppi estremisti armati indiani, con sede nello Stato nordorientale di Manipur, ha firmato uno storico accordo di pace e di non violenza con il Governo centrale e quello della regione che abitano. Un passo cruciale – è la prima volta che un gruppo di ribelli della valle di Manipur acconsente ad una tregua simile – in direzione di quella stabilità che in uno Stato tormentato dai conflitti manca da tempo.  

Nonostante al momento il patto preveda in gran parte la sospensione delle operazioni di guerriglia da parte di entrambi i fronti – forze di sicurezza governative e UNLF -, Amit Shah, Ministro degli Interni indiano, ha già dato al gruppo «il benvenuto ai processi democratici», augurando loro «tutto il meglio nel viaggio sulla via della pace e del progresso». 

L’UNLF, costituita nel 1964, sotto la guida di Arambam Samarendra Singh, ha avuto fin dalla sua fondazione l’obiettivo di rendere lo Stato di Manipur indipendente dall’India. Un traguardo che nel giro di pochi anni il gruppo ha deciso di inseguire portando avanti una lotta armata, finalizzata alla ‘liberazione’ della regione dal Governo centrale. 

Il Ministro degli affari interni indiano considera l’organizzazione illegale – insieme ad altre sette – ai sensi della Unlawful Activity (Prevention) Act del 1967, la legge antiterrorismo del Paese, che ha di fatto bandito l’esistenza di gruppi che hanno l’obiettivo dichiarato di secessione del Manipur dall’India attraverso la lotta armata. Le associazioni che si muovono in questa direzione sono accusate di “incitare gli indigeni del Manipur alla rivolta” e di essere “impegnate in attività pregiudizievoli alla sovranità e all’integrità dell’India”, così come di “impiegare mezzi armati per raggiungere i propri obiettivi”, attaccando e uccidendo civili, polizia e forze di sicurezza, o colpendoli spesso con intimidazioni ed estorsioni.  

Sebbene negli anni l’UNLF e gli altri gruppi si siano indeboliti, perdendo la centralità all’interno del panorama indipendentista, di recente il loro rinvigorimento e l’attività portata avanti dai militanti è stata motivo di preoccupazione al livello nazionale e internazionale.  

Se da una parte tutta la storia dell’India è stata segnata da violenze e tensioni, generate soprattutto da motivi religiosi – come la contrapposizione tra la maggioranza indù e la minoranza musulmana – in Manipur la questione è più complicata. Lo Stato (Membro dell’Unione indiana dal 1949), situato nella zona nord-orientale dell’India e confinante con il Myanmar, che ospita circa 3 milioni di persone, è infatti dilaniato dalla consistente diversità e molteplicità etnica presente al suo interno, sebbene la componente religiosa abbia sempre il suo peso specifico. Una trentina di gruppi differenti uniti dalla voglia di autodeterminazione e indipendenza, che ha generato continui scontri con l’esercito.  

Il controllo del suo territorio è prevalentemente conteso tra la comunità dei Meitei – circa 53% della popolazione, di religione induista – e i Kuki, minoranza etnica di fede per la maggioranza cristiana. Realtà profondamente diverse, per cui l’integrazione con l’India costituisce una minaccia a identità e tradizioni proprie.  

L’accordo siglato tra l’UNLF e i Governi, oltre a porre fine alle ostilità che negli anni hanno causato la morte di centinaia di persone, da entrambe le parti, potrebbe aprire la strada ad altre ‘collaborazioni’. La speranza delle amministrazioni è infatti che anche altri gruppi armati, con sede nella valle di Manipur, siano incoraggiati a partecipare al processo di pace. Intanto il Ministero ha dichiarato che, da parte sua, sarà costituito un comitato di monitoraggio della pace per l’applicazione delle prime regole concordate (non ancora rese note).

[di Gloria Ferrari]  

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