martedì 30 Aprile 2024

USA e Israele si scontrano sul futuro di Gaza

Gli USA hanno espresso la loro contrarietà circa la rioccupazione della Striscia di Gaza da parte di Israele una volta terminato il conflitto con Hamas: pochi giorni fa, infatti, il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu aveva dichiarato che al termine della guerra Israele avrebbe assunto «a tempo indeterminato il controllo della sicurezza nella Striscia di Gaza». Un’intenzione non condivisa dal segretario di Stato americano Antony Blinken che ieri, in occasione della riunione dei ministri degli esteri del G7 a Tokyo, ha espresso la sua visione in merito: «Per ottenere una pace e una sicurezza durature nella regione, gli Stati Uniti consigliano a Israele di non trasferire con la forza i palestinesi di Gaza e di non rioccupare il territorio, anche se bisognerà evitare che sia usato come base per il terrorismo», ha affermato, aggiungendo che «Israele dovrebbe anche evitare d’imporre assedi o blocchi alla Striscia di Gaza, e anche di ridurre il suo territorio». Blinken, del resto, aveva già fatto intendere il “piano” degli Stati Uniti per Gaza alcuni giorni fa, quando nel suo tour in Medioriente aveva incontrato a Ramallah il presidente palestinese Abu Mazen, nella speranza che l’Autorità Nazionale palestinese (ANP) fosse disponibile a governare l’enclave una volta cessati i combattimenti. L’intento, dunque, sarebbe quello di «riunire la Striscia di Gaza alla Cisgiordania, che attualmente è sotto il controllo dell’Autorità Nazionale Palestinese», ha detto Blinken. Un’idea che certamente non piace al governo sionista oltranzista di Netanyahu che non ha mai nascosto il proposito di impedire la riunificazione dei territori palestinesi e, soprattutto, un accordo tra l’ANP e Hamas.

Sul piano militare, l’esercito israeliano prosegue la sua offensiva nella Striscia e la sera del 7 novembre il ministro della difesa israeliano Yoav Gallant ha affermato che «le truppe israeliane sono ormai presenti nel cuore della città di Gaza, il centro di comando dei terroristi di Hamas». L’esercito dello Stato ebraico secondo le ultime notizie avrebbe preso il controllo del nord della Striscia, conquistando una roccaforte di Hamas dopo dieci ore di combattimenti, motivo per cui si registra un massiccio esodo di palestinesi da nord verso sud: «Se ne stanno andando perché hanno capito che Hamas ha perso il controllo del nord e che il sud è più sicuro», ha dichiarato il portavoce dell’esercito israeliano Daniel Hagari in una conferenza stampa. Un altro portavoce, Avichay Adraee, ha reso noto che oggi Israele aprirà nuovamente la strada Salah-al-Din al traffico da nord a sud per i civili palestinesi tra le 10 e le 16. Lo stesso ha fatto sapere che circa 50.000 cittadini di Gaza hanno utilizzato il corridoio per dirigersi verso il sud della Striscia. «Non ascoltate quello che dicono i leader di Hamas dai loro alberghi all’estero o dai sotterranei che hanno organizzato per sé e per i loro familiari», ha avvertito, «per la vostra sicurezza, spostatevi a sud, oltre Wadi Gaza». L’Ufficio per il coordinamento degli affari umanitari (OCHA) ha stimato che 72.000 persone sono fuggite dall’apertura di un corridoio di evacuazione il 5 novembre scorso ma i movimenti sono continui. Al contempo, al-Jazeera riferisce che sono in corso negoziati mediati da Qatar, Egitto e Stati Uniti per un cessate il fuoco umanitario di tre giorni in cambio del rilascio di una dozzina di ostaggi di Hamas, sei dei quali sarebbero americani. Ieri Israele ha nuovamente bombardato il campo profughi di Jabalia, nel Nord della Striscia, uccidendo decine di palestinesi.

Netanyahu ha ribadito che non ci sarà alcun cessate il fuoco senza il rilascio degli ostaggi: anche su questo punto, dunque, le richieste statunitensi di pause umanitarie non avrebbero sortito alcun effetto. L’unica concessione fatta da Israele sarebbero delle piccole pause tattiche nei combattimenti a Gaza. La tela diplomatica che gli Stati Uniti stanno cercando di tessere in Medioriente, dunque, non è affatto il linea con la visione di Netanyahu e con quella del sionismo religioso oltranzista: «Israele deve evitare che, a guerra ultimata, l’ANP finisca per controllare la Striscia di Gaza. Solo il controllo israeliano e la completa smilitarizzazione della Striscia ripristineranno la sicurezza» ha affermato Simcha Rothman, deputato di Sionismo Religioso e presidente della commissione Legge della Knesset, rivelando le vere intenzioni di Israele per il probabile “dopo Hamas” nella Striscia. Israele ha interrotto formalmente l’occupazione di Gaza nel 2005, ma il suo controllo sull’enclave è proseguito comunque, in quanto Israele controlla tutto ciò che entra e esce dal territorio, compresi i suoi abitanti. Per questo, in un’intervista ad al-Jazeera, Michael Lynk, fino allo scorso anno relatore speciale delle Nazioni Unite sulla situazione dei diritti umani nei territori palestinesi occupati, ha affermato che non si tratterebbe di rioccupazione, ma «di occupazione in una nuova forma». Secondo alcuni esperti, nello scontro tra USA e Israele sul futuro di Gaza, la soluzione più probabile sarebbe quella di costituire una Forza internazionale di pace, composta da truppe arabe e occidentali sotto l’egida dell’ONU, per preservare la sicurezza dopo la fine delle ostilità. Il tutto prevederebbe poi un piano per far sì che subentri l’amministrazione dell’ANP. Rimarrebbe però l’opposizione dello Stato ebraico che in diverse dichiarazioni e in alcuni rapporti pubblici, non ha mai nascosto le sue vere intenzioni: riportare di fatto Gaza sotto il controllo israeliano. Le speranze americane di tessere una tela diplomatica in Palestina e instaurare l’amministrazione dell’ANP sulla Striscia sono quindi molto ridotte.

[di Giorgia Audiello]

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