martedì 7 Maggio 2024

Spagna: sinistra e indipendentisti trovano un (precario) equilibrio di governo

A più di tre mesi dalla celebrazione delle elezioni generali, la Spagna ancora non ha un governo, ma la situazione sembra muoversi verso un Sánchez-ter. Il Partido Socialista Obrero Español e la nuova formazione di sinistra Sumar hanno stipulato un accordo che vede come presidente Pedro Sánchez, ma per raggiungere i 176 seggi necessari alla formazione del nuovo governo hanno bisogno dell’appoggio dei partiti indipendentisti baschi e catalani. A rallentare gli accordi è la richiesta da parte di JuntsxCat di un’amnistia verso i condannati per il processo contro il referendum della Catalogna del 2017 e la possibilità di una nuova votazione entro il 2027. Il termine ultimo per la celebrazione dell’investitura è il 27 novembre: se non si dovesse raggiungere un accordo entro questa data, la Spagna tornerebbe alle urne il 14 gennaio del 2024. 

Quando il 29 maggio, all’indomani delle elezioni amministrative e comunitarie, Pedro Sánchez annunciò lo scioglimento delle camere e le elezioni generali per il 23 luglio, era evidente da parte della sinistra l’urgenza di un rinnovamento istituzionale, vista la drammatica débacle di Podemos e la nascita della formazione progressista e femminista Sumar, rappresentata dalla ministra del lavoro Yolanda Díaz. Le elezioni, con un’affluenza del 66,59%, hanno visto Alberto Nuñez Feijóo, rappresentante del PP, come il candidato più votato, ma il Partido Popular, anche con i voti conseguiti dall’alleato VOX, non avrebbe ottenuto i seggi sufficienti per instaurarsi al governo, fermandosi a 172. Il PSOE, invece, nonostante l’appoggio dell’alleato Sumar, non avrebbe raggiunto ugualmente i voti necessari per la formazione di un nuovo governo, ma ha potuto contare fin da subito sull’appoggio di numerose formazioni autonomiche. Difatti, i voti ottenuti dai partiti indipendentisti Esquerra Republicana, Junts, PNV ed EH Bildu avrebbero permesso la formazione di un governo del PSOE a trazione pluripartitica, raggiungendo 178 seggi e quindi la maggioranza assoluta.

Il 24 ottobre PSOE e Sumar hanno presentato il proprio patto indirizzato verso una nuova riforma del lavoro, l’attuazione di politiche a favore del diritto alla casa e varie riforme in ambito sociale, in linea con l’operato dell’ultimo governo.

Junts, principale fautore del referendum sull’indipendenza della Catalogna, ha marcato fin da subito le condizioni per un eventuale appoggio alla sinistra nazionale. Ricoprendo nuovamente il ruolo di ago della bilancia nell’equilibrio politico della nazione spagnola, ha avanzato delle condizioni ben definite in cambio dell’appoggio a Pedro Sánchez nel Congresso. Nel corso degli ultimi mesi, infatti, le trattative si sono indirizzate verso la proposta di una legge a favore dell’amnistia verso i crimini commessi dai condannati dal Procés, che prevederebbero quindi anche la possibilità di rimpatrio dell’ex presidente di Junts, Carles Puigdemont. La sera del 30 ottobre sul profilo X del PSOE è stata pubblicata una foto ritraente Carlos Cerdán, segretario dell’organizzazione del Partito Socialista, e Carles Puigdemont riuniti in una delle sale dei deputati dei parlamentari europei di Junts a Bruxelles, affiancata da un comunicato atto a segnalare l’ambiente rilassato dell’incontro in cui si è conversato sui negoziati.

La sera del 31 ottobre Esquerra Republicana ha comunicato su X il raggiungimento di un accordo con il PSOE finalizzato allo «sblocco verso la legge d’amnistia», aperta non solo ai politici condannati dal Procés, ma anche ai militanti dello Tsunami democràtic, movimento popolare di protesta nato in seguito alle sentenze della Corte Suprema spagnola e a sua volta condannato per terrorismo. Ma questo governo sarà all’altezza del precedente? A riguardo si pronuncia Pablo Iglesias, fondatore di Podemos, ex vicepresidente e attualmente patron di Canal Red, una piattaforma di comunicazione indipendente, attraverso la quale esprime una profonda incertezza nei confronti dell’operato di questo governo. L’ultima legislatura del PSOE, caratterizzata da riforme sociali, ha avuto la possibilità di contare su una maggioranza assoluta composta da partiti di sinistra nazionale e indipendentista.

In questo caso, nonostante gli accordi si basino su un doppio gioco che vede Sánchez come il candidato più popolare contro l’avanzare dell’estrema destra e i partiti indipendentisti come pedine fondamentali per un terzo mandato, nel momento in cui l’investitura si concluderà con successo Sánchez si troverà tra le mani una maggioranza composta non solo da partiti che hanno tra i propri obiettivi la totale indipendenza, ma anche da formazioni politiche fortemente conservatrici che plausibilmente ostacoleranno le numerose riforme progressiste previste dal patto PSOE-Sumar. L’indipendentismo istituzionale incalza, ma ai fini di un nuovo mandato non sembra essere un problema. Assalito da continui attacchi provenienti dalla destra spagnola, sarebbe forse il caso per Pedro Sánchez di tenere alta la difesa contro più probabili fuochi amici.

[di Armando Negro]

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