lunedì 29 Aprile 2024

Dl Caivano: l’inasprimento delle pene è davvero la soluzione al disagio giovanile?  

I recenti stupri avvenuti a Caivano e Palermo hanno acceso i riflettori mediatici e politici sulle condizioni in cui versano le periferie italiane e su diverse tematiche collegate ai problemi sociali di questi luoghi, come la dispersione scolastica e la criminalità giovanile. Il Governo Meloni ha cavalcato subito il sentimento del discorso pubblico ed ha messo in campo delle disposizioni che vanno ad inasprire le pene per i minori e così, il 7 Settembre, è stato approvato dal Consiglio dei Ministri un decreto-legge (Decreto Caivano), contenente “misure urgenti di contrasto al disagio giovanile, alla povertà educativa e alla criminalità minorile”

In sintesi, con il nuovo decreto-legge, (che in quanto tale sarà approvato come misura d’urgenza all’interno del Consiglio dei ministri, senza essere discusso e votato dal Parlamento), si rende più facile l’accesso al carcere per i minori, si estende l’applicabilità del cosiddetto daspo urbano ai maggiori di 14 anni, aumenta di 1 anno la durata massima del foglio di via obbligatorio, si potenzia la facoltà di arresto in flagranza e la pena per il reato di spaccio di stupefacenti di lieve entità. Le altre misure repressive introdotte riguardano la possibilità del questore di vietare l’utilizzo dei cellulari ai soggetti di età superiore ai 14 anni, la reintroduzione della custodia cautelare per i minorenni imputati che tentano la fuga o anche semplicemente in via precauzionale perché potrebbero fuggire, ed infine si introduce una nuova fattispecie di reato che prevede il carcere fino a 2 anni per i genitori che non mandano a scuola i figli in età di obbligo scolastico.

In buona sostanza si cerca di rendere più dura la pena anche per i minori di 18 anni, rendendola più simile a quella degli adulti, una visione sintetizzata dalle parole di Matteo Salvini: «Se un ragazzo spara deve pagare come un adulto». Ma queste misure sono realmente necessarie per contrastare dei fenomeni delicati e complessi che – è dimostrato – sono legati al disagio dei giovani e alla loro precarietà, non solo lavorativa, ma del loro intero progetto di vita?

Secondo quanto dichiarato dalla Garante dei diritti per l’infanzia e l’adolescenza Carla Garlatti al Sole 24 Ore, l’inasprimento delle pene non è la soluzione perché «non è un deterrente e non può combattere il problema della recidiva». Secondo la Garante, invece, servirebbero «degli interventi educativi massicci», mentre il carcere per i genitori che non mandano i figli a scuola «potrebbe essere addirittura una misura controproducente, soprattutto per determinate categorie di reati, perché gli autori provengono già da famiglie che appartengono ad un contesto marginale, e la circostanza che il genitore o i genitori vadano in carcere potrebbe gettare la famiglia in una situazione ancora peggiore».

Ci sono molti studi empirici, inoltre, che evidenziano la stretta relazione, anche in termini causali, tra disuguaglianza nella distribuzione dei redditi e criminalità. Uno studio pubblicato da ricercatori della Banca Mondiale nel 2022 su The Journal of Law and Economics, per esempio, ha individuato una relazione positiva tra disuguaglianza e criminalità, sia all’interno delle nazioni che tra diversi paesi. Da un punto di vista teorico, i risultati empirici trovano conforto in molti orientamenti che derivano dalle teorie dell’economista Gary Becker, che teorizza come la disuguaglianza nei redditi sarebbe uno dei maggiori vettori della criminalità. 

Anche in Italia sono stati condotti degli studi per indagare la relazione tra squilibri distributivi e criminalità, come quello di Fabio Clementi e Enzo Valentini dal titolo Disuguaglianza, povertà e criminalità. Una ricognizione in ambito italiano. L’analisi, condotta utilizzando l’Archivio Unico degli Indicatori Regionali dell’ISTAT e i dati sulla distribuzione del reddito di Banca d’Italia per gli ultimi decenni, fornisce numerosi elementi di riflessione. Infatti, specialmente per le regioni del Sud e le isole maggiori, emerge che le variabili che interpretano la criminalità presentano una correlazione positiva con la disuguaglianza di reddito: peggiore è la distribuzione del reddito, maggiore è l’incidenza di fatti criminali.

Ci sono anche molte analisi che dimostrano l’inefficacia della pena detentiva rispetto alla recidività del reo. Il libro Abolire il carcere, scritto a più mani da ricercatori ed esperti in diritto penale, sociologia e filosofia, sostiene che “il carcere non costituisce un efficace strumento di punizione, dal momento che quanti vi si ritrovano reclusi sono destinati in percentuali elevatissime, più del 68%, a commettere nuovi delitti”. Nel libro vengono inoltre analizzati altri ordinamenti in cui la reclusione non ha la centralità indiscussa e non è utilizzata come strumento principale per rieducare il colpevole. 

In Italia, l’82,6% dei condannati sconta la pena in carcere e l’indice di recidiva è molto alto, mentre in Paesi come Francia e Inghilterra la percentuale dei colpevoli reclusi scende addirittura al 24%, e con essa la recidività, soprattutto grazie al lavoro fatto all’esterno e alle pene non detentive. Come si può pensare, allora, che questo sistema punitivo e carcerario possa funzionare con i giovani più poveri ed emarginati?

Inoltre, rispetto all’abbandono scolastico, sarebbe giusto iniziare a fare una riflessione più profonda sul fatto che la scuola, ed il futuro in generale, non retroagiscono più come promessa e motivazione, come affermano diversi psicoanalisti dell’infanzia e dell’adolescenza tra cui Galimberti e Benasayag, i quali criticano il modello della scuola attuale incentrato su logiche imprenditoriali e della performance. Il problema culturale di fondo – ritiene una parte cospicua di teorici ed educatori – è che la società e la scuola dovrebbero prima di tutto educare e non istruire. Il filosofo e psicanalista Umberto Galimberti afferma ad esempio che i sentimenti non sono innati, ma sono un prodotto culturale, e quindi si imparano. In questa ottica servirebbe quindi imparare a sentire sé stessi e gli altri, e la scuola dovrebbe proprio coltivare la soggettività e la personalità dei bambini e dei ragazzi, non distruggerla.

Visto in questa ottica, il dl Caivano del governo appare quindi una misura che punta a risolvere con la repressione e l’inasprimento delle pene un problema che invece ha radici prettamente sociali, economiche ed educative.

[di Gioele Falsini]

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4 Commenti

  1. I Giovani non vanno puniti ma inseriti, occorre che i comuni abbbiano l’obbligo legale di creare attività che permettano ai giovani di partecipare alla vita sociale nel Comune, senza chiedere aiuto alla Chiesa che deve solo guidarli nella fede.

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