lunedì 29 Aprile 2024

L’ex Ilva uccide ma è intoccabile: anche il governo Meloni vara lo scudo penale

Dopo l’approvazione del Parlamento del “Decreto Ilva” dello scorso marzo, che ha reintrodotto lo scudo penale relativo a sanzioni interdittive, misure cautelari e sequestro preventivo per gli amministratori dell’ex-Ilva, con un emendamento al Decreto Infrazioni presentato dal ministro Raffaele Fittoapprovato definitivamente dalla Camera – il governo ha ulteriormente esteso le maglie dello scudo penale per le opere che dovranno portare alla decarbonizzazione. Nel testo è inoltre previsto che, anche ove la confisca degli impianti disposta dalla Corte d’Assise di Taranto al termine del processo di primo grado originato dall’inchiesta “Ambiente Svenduto” divenisse definitiva, attraverso l’introduzione di una sorta di salvacondotto l’impianto di Taranto potrà comunque continuare a produrre. Il tutto nonostante nella sentenza di primo grado i giudici abbiano scritto chiaramente che gli impianti dell’acciaieria abbiano messo “in pericolo concreto la vita e l’integrità fisica” dei lavoratori e dei cittadini.

Nel frattempo, è emerso che tra le misure escluse dai finanziamenti del PNRR, dal valore complessivo di 16 miliardi, è presente anche il miliardo di euro destinato al progetto del preridotto (Dri) per lo stabilimento ex Ilva di Taranto – inserito nel piano decennale di decarbonizzazione dello stabilimento – che è stato dirottato sui Fondi di sviluppo e coesione. Ad annunciarlo è stato il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, Gilberto Pichetto, in occasione della sua audizione alla Commissione Ambiente della Camera. «Io per primo – ha riferito – ho chiesto lo spostamento», dal momento che «non c’è la certezza di riuscire a spendere tutto, in una realtà complicata, entro il 2026».

Quella dell’estensione dello scudo penale non è l’unica misura significativa contenuta nel Decreto Infrazioni, con cui l’Esecutivo interviene su diverse procedure di infrazione e pre-infrazione pendenti sullo Stato italiano in campo ambientale sulla qualità dell’aria, sull’esposizione a radiazioni ionizzanti e in campo energetico. Nel testo dell’emendamento presentato da Fitto, infatti, si prevede che i progetti per la decarbonizzazione passino dal ministero delle Imprese e del Made in Italy alla Presidenza del Consiglio, esautorando dunque il ruolo del ministro Adolfo Urso. Inoltre, viene sensibilmente ridotto il raggio d’azione del Comune di Taranto per quanto riguarda le ordinanze di tutela ambientale e salute pubblica che colpiscano Acciaierie d’Italia. Con le nuove norme, dunque, il sindaco di Taranto Rinaldo Melucci – che in diverse occasioni era intervenuto per far ridurre le emissioni nocive dell’impianto (in particolare quelle di benzene) – potrà intervenire solo nel caso in cui sussistano situazioni di pericolo in base all’autorizzazione integrata ambientale.

Il processo “Ambiente Svenduto” è al momento fermo a un (pesantissimo) verdetto di primo grado, emesso nel maggio 2021, con cui la Corte d’Assise di Taranto ha condannato 26 persone tra dirigenti, manager e politici. Nelle motivazioni della sentenza, si legge che i Riva, famiglia che controllava l’Ilva, “hanno posto in essere modalità gestionali illegali” e “disastrose”, non adattando lo stabilimento “ai sistemi minimi di ambientalizzazione e sicurezza” per porre rimedio a “problematiche di cui avevano consapevolezza sin dal 1995”. Secondo i giudici, è stata così messa “in pericolo concreto la vita e l’integrità fisica” dei lavoratori e dei cittadini. Nella sentenza si legge inoltre che ad insabbiare tutto avrebbe contribuito il “condizionamento, spinto sino alla corruzione, dei soggetti pubblici deputati ai controlli, delle istituzioni e della stampa”. Lo scorso giugno, inoltre, la Corte d’Appello di Lecce ha mandato a processo sei persone, tra dirigenti ed ex dirigenti dell’ex-Ilva, con l’accusa di omicidio colposo per la morte di un bambino di Taranto, Lorenzo Zaratta, deceduto nel 2014 per un tumore al cervello a soli 5 anni.

Lo scorso gennaio, poi, Arpa Puglia (l’Agenzia Regionale per la Prevenzione e la Protezione Ambientale), in una nota indirizzata ad Acciaierie d’Italia e ai commissari straordinari aveva evidenziato come “l’intera rete di centraline di qualità dell’aria e il sistema di monitoraggio lungo tutto il perimetro dello stabilimento hanno registrato un concomitante incremento delle concentrazioni di benzene», sostanza chimica organica altamente nociva e classificata dall’agenzia internazionale per la ricerca sul cancro nel gruppo 1, ovvero tra le sostanze con una sicura capacità di generare il cancro nell’uomo. Arpa ha dunque chiesto ai destinatari del comunicato di adottare “tutti i possibili interventi” per ridurre le emissioni.

Pochi giorni fa, a Taranto, è andata in scena una protesta di piazza organizzata dall’associazione Genitori Tarantini e da altri movimenti, che hanno duramente attaccato i decreti cosiddetti “salva-Ilva” e richiamato l’attenzione sull’emergenza ambientale e sanitaria. Alla manifestazione erano presenti molti genitori che hanno perso figli per malattie che ritengono legate all’inquinamento. Su un grande manifesto fatto affiggere in viale Magna Grecia si leggeva «L’urlo dei tarantini: se ci volete morti, sparateci». Molti attivisti si sono presentati alla conferenza stampa tenuta in loco dai promotori bendati e con un bavaglio alla bocca, al fine di simboleggiare il “silenziamento” delle loro istanze da parte di media e istituzioni.

[di Stefano Baudino]

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