lunedì 6 Maggio 2024

Risultati Invalsi: un maturando italiano su due non capisce cosa legge

I risultati delle prove Invalsi del 2023 fotografano una situazione di forte carenza di competenze da parte degli studenti italiani le cui cause vanno ricercate nell’organizzazione, nell’impostazione di metodo e nei programmi della scuola italiana. I risultati sono leggermente migliorati rispetto a quelli del periodo pandemico (2020-2022), ma è ancora presto per parlare di un’inversione di tendenza rispetto ai dati allarmanti ottenuti durante la cosiddetta DAD (didattica a distanza).

Quest’anno le prove hanno coinvolto oltre 12.000 scuole per un totale di oltre un 1.000.000 di allievi della scuola primaria (classe II e classe V), circa 570.000 studenti della scuola secondaria di primo grado (classe III) e oltre 1.000.000 di studenti della scuola secondaria di secondo grado. In base ai risultati ottenuti, metà dei giovani che termina le scuole superiori non è in grado di comprendere quello che legge (solo il 51% degli studenti, un punto percentuale in meno rispetto al 2022, raggiunge almeno il livello base, con un divario tra Nord e Sud che raggiunge la quota di ben 23 punti percentuali); in Matematica il 50% degli studenti (invariato rispetto al 2022) raggiunge almeno il livello base con un divario tra le aree del Paese che raggiunge i 31 punti, anche se c’è un leggero progresso al Sud e nelle Isole. In inglese il 54% degli studenti raggiunge il B2 nella prova di lettura (+2% rispetto al 2022) e il 41% in quella di ascolto (+3% sul 2022 e + 6% dal 2019). «È giusto dire che assistiamo ad un effetto “long Covid”, è una immagine appropriata», ha detto il presidente di Invalsi Roberto Ricci, secondo il quale «si fatica a tornare ai livelli pre-covid».

Secondo il ministro dell’Istruzione Valditara, l’elemento più preoccupante che emerge è il divario tra nord e Mezzogiorno: in alcune regioni del Mezzogiorno solo uno studente su due delle scuole medie comprende correttamente quello che legge e addirittura due studenti su tre (il 35-40%) non sono capaci di leggere e comprendere un testo in inglese. Si presentano forti evidenze di disuguaglianza di opportunità di apprendimento nelle regioni del Mezzogiorno sia in termini di diversa capacità della scuola di attenuare l’effetto delle differenze socio-economico-culturali sia in termini di differenze tra scuole e, soprattutto, tra classi. Per questo Valditara ha proposto un’Agenda Sud in dieci punti «che prevede l’individuazione di scuole dove maggiori sono le fragilità del contesto sociale per abbandoni, insuccesso formativo e assenze. Iniziamo con 240 scuole. Investiremo risorse importanti. È un passaggio che vedrà più insegnanti in ogni scuola soprattutto per le materie più critiche come matematica, italiano, inglese». Il ministro ha anche aggiunto che ci sarà una «formazione specialistica per docenti che insegnano in queste scuole con una retribuzione aggiuntiva per le attività extracurricolari». Si tratta di un progetto che, tuttavia, stride con quello di autonomia differenziata e regionalizzazione della scuola.

Tra le cause dello scarso apprendimento degli studenti italiani si adducono soprattutto gli effetti a lungo termine del periodo pandemico. Tuttavia, anche prima dei confinamenti sanitari e della DAD, sebbene leggermente migliore, la situazione scolastica non era rosea: tra i motivi vanno citati soprattutto il precariato degli insegnanti, l’eccessiva burocratizzazione delle istituzioni scolastiche che prevede sempre più protocolli e linee guida, piuttosto che concentrarsi sulla formazione sia dei docenti che degli studenti. Non va trascurata, inoltre, la leggerezza con cui si concedono valutazioni sufficienti a studenti impreparati che ha portato alla cosiddetta “dispersione implicita”: si tratta di studenti che terminano il ciclo di studi scolastico senza possedere le competenze di base necessarie. Nel 2019 la dispersione scolastica implicita si attestava al 7,5%, per salire al 9,8% nel 2021; dopo un lieve miglioramento nel 2022 (9,7%), il 2023 conferma un più rilevante calo della dispersione implicita che si attesta all’8,7%.

Per quanto riguarda i giovani che abbandonano prematuramente gli studi, se i dati degli anni futuri saranno in linea con quelli delle stime Invalsi attuali, la dispersione scolastica degli studenti tra i 18 e i 24 anni si avvicinerà al traguardo prescritto dal Pnrr (10,2%) alla fine del 2025. La situazione scolastica italiana appare, dunque, tutt’altro che promettente senza un ripensamento dalle basi del ruolo degli insegnanti, dei programmi di apprendimento e dell’essenza stessa della scuola, intesa come luogo di formazione culturale e non di esclusiva preparazione al mondo del lavoro. Una scuola ridotta nei principi, negli obiettivi, nell’organizzazione e nell’organico alla stregua di un’azienda ha portato – stando alla validità delle prove Invalsi – a risultati di certo non incoraggianti.

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