Parlare di lavatrici non è propriamente l’argomento più glamour da affrontare. E nemmeno quello più di moda. Eppure, quando la cura degli abiti può influire sulla nostra salute e sull’ambiente che ci circonda, prende un senso diverso, inserendosi alla perfezione tra i temi della sostenibilità e della vita lenta. Prendersi cura dei capi che abbiamo, con l’idea di farli durare il più a lungo possibile, è il primo passo verso un armadio consapevole (e un’ottimizzazione dei costi). Il lavaggio è un compito talmente automatico al quale si presta poca attenzione; eppure, con poche accortezze, si possono evitare un sacco di sprechi e limitare, in parte, la fastidiosa questione delle microplastiche.
Il problema delle microplastiche da abbigliamento
Il campanello di allarme per le microplastiche dei vestiti è stato lanciato per la prima volta nel 2011 dall’ecologista Mark Browne, durante uno studio condotto presso l’Università di Dublino con il quale scoprì che l’85% delle fibre presenti nelle acque erano materiali realizzati dall’uomo, derivanti da tessuti sintetici come il poliestere e l’acrilico. Si rese conto, tra l’altro, che un singolo capo può arrivare a liberare in un lavaggio più di 1.900 microfibre. Mettendo poi a confronto vari materiali, Mark ha notato come, su un carico da sei chilogrammi, abiti in tessuti misti cotone/poliestere rilasciano quasi 138mila fibre, contro le oltre 496mila del poliestere e le quasi 729mila dell’acrilico. La micro-dimensione di queste particelle fa si che fluiscano indisturbate dentro i filtri delle lavatrici (che non sono state progettate per questa evenienza), passando attraverso gli impianti di trattamento delle acque reflue e finendo direttamente nel mare. Microplastiche singole, ma anche accompagnate da metalli pesanti e sostanze chimiche (metalli pesanti, formaldeide, anti-batterici, ecc), che finiscono di intossicare le acque.
Poiché il poliestere è la fibra più utilizzata al mondo, dal fast fashion al lusso, e valutati i volumi produttivi attuali, il problema c’è ed è reale. Aggravato dal fatto che le tecnologie non sono in grado di intrappolare queste piccole particelle, disperdendole a più non posso a ogni risciacquo di lavatrice. Non c’è da stupirsi se vengono trovate un po’ ovunque, dai mari ai laghi di montagna, dai pesci al sangue umano, fino alla placenta.
Non sono ancora stati condotti studi approfonditi sugli effetti reali sulla salute umana (sono in corso), ma di sicuro la plastica in circolo non è un toccasana. Ecco perché, invece di aspettare in maniera passiva che i brand decidano di ridurre l’uso di materiali sintetici (speranza vana) o che la tecnologia sviluppi lavatrici casalinghe in grado di acchiappare micro-plastiche durante i lavaggi (pare che Patagonia e Samsung ne abbiano sviluppata una insieme in grado di ridurre del 54% il rilascio di piccole particelle), è bene rimboccarsi le maniche e agire almeno tra le mura domestiche.
Lavatrici e cura dei tessuti per farli durare più a lungo
Cercare di fare meno lavaggi. Meno ma meglio vale anche in questa occasione, dove bisogna sfatare il mito che indossare le cose una volta e poi gettarle nel cesto dei panni sporchi sia una cosa buona e giusta. I capi possono anche essere messi a prendere aria, passati con il vapore o smacchiati a mano laddove possibile. Re-fresh, che insieme a Re-use, Re-cycle, Re-duce, è un ottimo quarto comandamento. Quando è il momento di fare la lavatrice, meglio a pieno carico (i capi sfregano meno tra di loro, mantenendo l’integrità dei tessuti), e a basse temperature.
Una temperatura troppo alta non giova alle fibre (facendole deteriorare rapidamente), quindi meglio attrezzarsi anche con detergenti appositi, attivi anche in acqua fredda. Detersivi che, mentre puliscono, fanno anche danni, perché spesso sono a base di petrolio e contengono svariati ingredienti tossici, come la candeggina, cloro e le fragranze sintetiche, che sono dannosi sia l’ambiente e sia per corpo. Meglio controllare le etichette dei saponi e fare scelte accurate anche in questo senso.
Ogni fibra poi, ha le sue preferenze (per questo motivo controllare le istruzioni di lavaggio sulle etichette ha sempre il suo perché) e ha bisogno di accortezze per durare più a lungo nel tempo. Il cotone, come tante fibre naturali, tende a restringersi, quindi sempre meglio lavare ad acqua fredda (30°) o tiepida. I jeans meno si lavano meglio è (nel caso al contrario, a 30° e con le zip chiuse); ma per una rinfrescata veloce funziona anche infilarli in una busta e metterli nel freezer per annientare i germi (eliminando cattivi odori). Anche la lana non gradisce lavaggi frequenti: meglio un ciclo delicato della lavatrice ogni tanto, usando detergenti appositi o meglio ancora a mano. Fibre semi-sintetiche come viscosa, modal e lyocell, vanno lavate a basse temperature, volendo anche a mano, con sapone e senza ammorbidente; avendo l’accortezza di non strizzarla e torcerla troppo perché si potrebbe deformare. Per tutto quello che riguarda la famiglia dei sintetici, dal pile al poliestere passando per l’acrilico, per limitare il rilascio di microplastiche, si possono usare sacchi per il bucato o palline (washingball) appositamente studiate per catturare le fibre durante il lavaggio (alcune arrivano ad acchiapparne fino al 90%). Si tratta di soluzioni a breve termine che in ogni caso tamponano il problema senza risolverlo del tutto. Per lo stesso motivo è sconsigliato l’uso dell’asciugatrice. Uno strumento nato per “semplificare la vita” (anche se l’aria mi sembra decisamente più semplice, e gratuita!), ma che consuma molta energia oltre a danneggiare le fibre e logorare gli abiti più rapidamente.
Per consumare meno, far durare le cose più a lungo e per un approccio più sostenibile, si può iniziare anche dalla lavatrice.
[di Marina Morgatta]
Ottimo articolo, che mi conferma ancor di più la scelta di mantenermi abbonato a L’Indipendente. L’allontanamento dal consumismo è un tema difficile che nessun giornale si prende la briga di affrontare, banalmente perchè è inviso agli sponsor pubblicitari, che vendono prodotti.