giovedì 25 Aprile 2024

Gli eventi metereologici estremi e la necessità di un piano serio che in Italia non c’è

Come aveva promesso Giorgia Meloni in campagna elettorale, il Governo da lei guidato ha finalmente pubblicato il Piano Nazionale di Adattamento ai Cambiamenti Climatici (PNACC), un documento già redatto da molti Paesi europei che chiarisce la strategia da mettere in atto contro l’avanzamento delle emergenze atmosferiche all’interno del proprio territorio. L’Italia ne era ancora priva, nonostante i dati del 2022 abbiamo ribadito ancora una volta come il nostro Paese sia maggiormente esposto di altri per conformazione geografica agli eventi metereologici estremi, che ogni anno causano danni e vittime civili (29 morti sono nell’ultimo anno). Una buona notizia quindi, ma solo a metà: se l’Italia ha finalmente preso l’iniziativa sul tema va tuttavia annotato come quello presentato dal governo sia tutt’altro che un piano vero e proprio, se con questa parola si volesse intendere – come da dizionario – l’esistenza di un progetto articolato in grado di prevenire o almeno mitigare i danni. Nonostante il ministero dell’Ambiente e della Sicurezza energetica lo abbia pomposamente presentato come un piano volto a “contenere la vulnerabilità dei sistemi naturali, sociali ed economici agli impatti dei cambiamenti climatici e aumentarne la resilienza”.

PNACC

Lo aspettavamo da almeno 4 Governi: nessuno tra Gentiloni, Conte (con il suo Conte Bis) e Draghi era riuscito formalmente a farlo entrare in vigore. Una buona notizia dunque, che purtroppo, però, bisogna dirlo, almeno per ora non porta i benefici che ci aspettavamo. «Un ottimo studio, ma non un piano», lo ha definito Edoardo Zanchini, vicepresidente di Legambiente dal 2011 al 2022. Le sue parole evidenziano infatti le lacune di un documento che avrebbe dovuto offrire soluzioni concrete, e che invece si limita ad elencare le condizioni in cui ad oggi versa l’Italia (e in cui probabilmente si troverà in un futuro non troppo prossimo). Una fotografia sotto gli occhi di tutti. Quello che manca, invece, è una strategia con idee chiare e soprattutto denaro pronto da spendere (la legge di Bilancio da poco approvata non ha previsto alcun fondo per l’adattamento climatico). «Del Piano resta un excel con 361 azioni possibili in 103 pagine e 4 allegati». O meglio, uno studio del clima senza scelte politiche. «Certo, dobbiamo essere contenti dalla qualità degli studi che dimostrano il livello di competenze di cui dispone il nostro paese. Ma tutto questo non basta, perché il governo non può limitarsi a descrivere la possibile governance, senza indicare priorità e nuove risorse», ha commentato Zanchini. L’attuale PNACC di fatto mette in luce tutta la confusione politica che ruota attorno al tema della crisi climatica, mista a non curanza e incredulità.

Non possiamo più permetterci errori

Eppure, mentre i Governi esprimono cordoglio per le colate di fango che periodicamente distruggono intere cittadine e per le alluvioni che trascinano via case e persone, che qualcosa in Italia – come nel resto del mondo – stava cambiando, l’avevamo capito già moltissimo tempo fa. Negli ultimi 40 anni nella nostra penisola italiana frane e alluvioni hanno causato danni per 51 miliardi di euro. Si tratta del dato più rilevante in Europa, secondo quanto riportato dall’EEA (European Environment Agency). Se l’installazione di argini, casse di espansione e sistemi di allerta ha contribuito a ridurre il numero delle vittime, la portata degli eventi estremi è tuttavia in costante crescita: negli anni passati, infatti, in una giornata potevano cadere fino a 100 millimetri di pioggia. Nel corso dell’alluvione che si è abbattuta sulle Marche agli inizi di settembre, invece, ne sono scesi 400, in meno di 8 ore. I dati raccolti dall‘Osservatorio CittaClima di Legambiente dicono che nel 2022 l’Italia ha registrato un incremento del 55% di eventi meteo-idrogeologici rispetto al 2021, con 310 fenomeni che hanno provocato impatti e danni da nord a sud e causato la morte di 29 persone.

Fonte: Legambiente

Nello specifico si sono verificati 104 casi di allagamenti e alluvioni da piogge intense, 81 casi di danni da trombe d’aria e raffiche di vento, 29 da grandinate, 28 da siccità prolungata, 18 da mareggiate, 14 eventi con l’interessamento di infrastrutture, 13 esondazioni fluviali, 11 casi di frane causate da piogge intense, 8 casi di temperature estreme in città e 4 eventi con impatti sul patrimonio storico.

Tra l’altro quest’anno sono inoltre aumentati i danni causati dalla siccità, che passano da 6 nel 2021 a 28 nel 2022 (+367%). Di più anche quelli provocati da grandinate, che passano da 14 nel 2021 a 29 nel 2022 (+107%), così come i danni da trombe d’aria e raffiche di vento, che passano da 46 nel 2021 a 81 nel 2022 (+76%). Un bilancio critico anche per allagamenti e alluvioni, che passano da 88 nel 2021 a 104 nel 2022 (+19%).

È chiaro che se il Governo vuole finalmente dimostrarsi attento a tali tematiche, ha bisogno di cambiare marcia: deve stanziare delle risorse, stabilire delle priorità e cambiare quelle norme che alimentano fenomeni dannosi – quali l’abusivismo – e incrementano i danni causati dal cambiamento climatico. «Fino ad oggi abbiamo trattato questi episodi con fatalismo, come conseguenza del dissesto idrogeologico, finanziando senza priorità i progetti “cantierabili” inviati dalle Regioni. Il Governo Meloni ha intenzione di cambiare questa pratica disastrosa?». Di casuale invece è rimasto poco e niente, visto che, grazie agli studi epidemiologici, è ormai piuttosto semplice prevedere quando e dove tali fenomeni si abbatteranno e quali siano i territori maggiormente a rischio. Non è più tollerabile il caos e la confusione che, soprattutto negli ultimi due anni, si è creata ad esempio attorno alle concessioni balneari.

Sappiamo da tempo che le nostre coste, da Nord a Sud, saranno presto inghiottite dall’innalzamento del livello del mare. Legambiente ha calcolato che quasi il 50% delle nostre coste sabbiose è attualmente soggetto a erosione, un fenomeno che negli ultimi 50 anni si è mangiato 40 milioni di metri quadrati di spiagge. Nonostante l’evidenza, dati alla mano, fra i partiti la preoccupazione maggiore è quella di salvaguardare le concessioni balneari, «quando un Piano che guarda a cosa succederà nei prossimi decenni dovrebbe piuttosto occuparsi di cosa fare per quei tratti di costa». Se tutte le tematiche saranno trattate guardando agli interessi dei privati, siamo spacciati.

Cosa prevede in sintesi l’attuale PNACC

Nelle circa cento pagine di piano, seguite da quattro allegati, i macro argomenti affrontati, con l’aiuto di Ispra (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale) sono i seguenti: metodologie per la definizione di strategie e piani regionali di adattamento, metodologie per la definizione di strategie e piani locali di adattamento, impatti e vulnerabilità settoriali, e database delle azioni.

Cosa prevede il Piano\Fonte Mite
Cosa prevede il Piano\Fonte Mite

Mentre, nello specifico l’analisi si compone di cinque parti, che sono: il quadro giuridico di riferimento (a livello europeo ma anche nazionale e regionale), il quadro climatico nazionale (che ripercorre il periodo 1981-2010 e riassume quello più recente), l’impatto dei cambiamenti climatici in Italia e vulnerabilità settoriali (dagli ambienti marini alla montagna, compresa agricoltura e produzione alimentare), le misure e azioni di adattamento e la governance dell’adattamento (in cui sono comprese le famose 361 azioni sopra citate).

Gli ultimi tre punti sono stati redatti ipotizzando una serie di scenari futuri, uno tra i quali potrebbe essere ad esempio caratterizzato dalla crescita delle emissioni. Gli obiettivi, schematizzati, sono invece i seguenti:

Obiettivi Pnacc/Fonte Mise
Obiettivi Pnacc/Fonte Mise

 

Se è così importante, perché fino ad ora non abbiamo mai avuto un piano?

«Il Piano di adattamento ai cambiamenti climatici non è un vincolo, ma una risorsa, uno strumento per non pagare in modo sempre più forte lo scotto di una crescita che avviene senza armonia con la natura», aveva commentato a Pagella Politica Roberto Danovaro, docente di Biologia marina ed Ecologia marina presso l’Università Politecnica delle Marche, prima della sua approvazione. Adottandolo si «risparmierebbero molte vite». Almeno per come il Piano era stato pensato. Il Pnacc “originario” è rimasto fra le mani dei Governi italiani per molti anni. È comparso per la prima volta nel 2016 (anche se le prime discussioni risalgono al 2012), dopo l’approvazione della Strategia nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici (Snacc) del 2015, l’anno cioè in cui alla Cop21 di Parigi si iniziava a parlare concretamente di aumento delle temperature globali.

L’ultima bozza del Piano, però, è rimasta ferma al 2018, quando la burocrazia ha bloccato il suo avanzamento. In quell’anno la Conferenza Stato-Regioni (attraverso cui governo, regioni e province autonome si coordinano) aveva stabilito che il Pnacc dovesse essere sottoposto a valutazione tecnico-ambientale. Dopo attente analisi e alcune modifiche suggerite, gli organi coinvolti negli accertamenti avevano concesso il via all’approvazione. Quest’ultima però non è mai arrivata, almeno fino a pochi giorni fa. «Sono passati sei anni da quando il Ministero dell’Ambiente ha avviato la procedura e la redazione del rapporto […] quel piano non è stato ancora formalmente approvato […] è inconcepibile» aveva detto il 21 novembre Nello Musumeci, attuale Ministro per la Protezione civile e per le Politiche del mare. Inconcepibile soprattutto perché, a livello europeo, paesi come Francia, Spagna, Germania e Paesi Bassi, hanno adottato un Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici già molto tempo fa. Eppure, anche se «il nostro Paese che ha un livello di criticità complessiva forse superiore a quello di qualunque altro Paese europeo», come ha detto Danovaro, noi non siamo che agli inizi. I dati, invece, avrebbero dovuto metterci una certa fretta, visto che negli ultimi 13 anni in Italia 780 comuni sono stati colpiti da almeno un fenomeno estremo e 279 persone sono rimaste uccise. Tra le regioni più colpite ci sono Sicilia (175 eventi estremi), Lombardia (166), Lazio (136), Puglia (112), Emilia-Romagna (111), Toscana (107) e Veneto (101). Praticamente l’Italia intera. E in generale la probabilità che si verifichino eventi metereologici così aggressivi è aumentata del 9% negli ultimi 20 anni.

I prossimi passi necessari per fare le cose seriamente

Chiariamolo subito: dovremo aspettare ancora un po’ di tempo per vedere il PNACC definitivamente approvato. Prima di renderlo operativo tramite decreto, Gilberto Pichetto Fratin, Ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica dell’Italia, aprirà una consultazione pubblica sul testo, come previsto dalla procedura di Valutazione Ambientale Strategica (e come era già accaduto l’ultima volta, prima dello stallo). A quel punto, solo dopo aver preso in esame tutte le osservazioni che emergeranno, il documento sarà varato.

Il processo dovrebbe completarsi entro marzo prossimo, periodo dopo il quale si procederà tra l’altro all’insediamento dell’Osservatorio Nazionale, un organo che dovrà garantire l’immediata operatività del Piano. Il Governo dice che a questo punto (solo a quel punto!) “l’Osservatorio definirà le priorità, individuerà i soggetti interessati e le fonti di finanziamento, oltre che le misure per rimuovere gli ostacoli all’adattamento”. Tuttavia, come abbiamo già detto, pure nella migliore delle ipotesi, in assenza di una strategia da seguire (non bastano elenchi di dati e grafici) il rischio è di finire ulteriormente fuori rotta. Certo, il fatto che «il piano viene approvato subito dopo una legge di Bilancio che non prevede risorse per l’adattamento climatico», come ha fatto notare l’ex vice presidente di Legambiente, non dà buone speranze. «Se un comune italiano volesse ripensare un quartiere, ridefinire il rapporto con il fiume o la costa per far fronte a questi problemi non avrebbe il supporto economico o tecnico da parte dello stato». Una gestione dell’emergenza controproducente, visto che, a causa della lentezza italiana, negli ultimi nove anni abbiamo speso oltre 13 miliardi di euro per la gestione delle emergenze meteo-climatiche (principalmente per riparare i danni), il 75% dei quali, secondo Legambiente, si sarebbero potuti risparmiare adottando delle politiche di prevenzione.

Alla fine di tutto una cosa è certa, a tal punto che senza di quella quanto detto fino ad ora rimane su carta: «Servono le risorse economiche, non ancora stabilite, per far fronte ai cambiamenti climatici. Se il piano viene definitivamente approvato siamo al primo tempo, ma il secondo tempo è quello che ti permette di vincere la partita. La definizione cioè delle risorse economiche”, ha concluso Stefano Ciafani, presidente nazionale di Legambiente dal 2018.

[di Gloria Ferrari]

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