venerdì 29 Marzo 2024

L’ONU lancia un piano per proteggere le lingue indigene dall’estinzione

L’Assemblea generale delle Nazioni Unite, con la risoluzione A/RES/74/135, ha proclamato il Decennio internazionale delle lingue indigene per il periodo 2022-2032. La finalità è attirare l’attenzione del mondo sulla critica situazione in cui vertono molte lingue indigene e mobilitare risorse per la loro conservazione, promozione e rivitalizzazione, prevenendone così l’estinzione. È stato stimato, infatti, che nonostante le popolazioni indigene rappresentino meno del 6% della popolazione mondiale, parlino ancora 4000 delle circa 6700 lingue esistenti nel mondo. Gli studi, tuttavia, prevedono che entro la fine del secolo la metà di queste lingue sarà scomparsa: per questo motivo si rendono necessarie iniziative di tutela.

La principale agenzia ONU a seguire i lavori e le attività previste per il Decennio internazionale sarà l’UNESCO, in collaborazione con il Dipartimento delle Nazioni Unite per gli Affari Economici e Sociali (UNDESA) e altre agenzie ONU pertinenti. Dopo il rientro dalla Conferenza sulla biodiversità (COP15) svoltasi a Montreal, infatti, il presidente dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite Csaba Kőrösi ha sottolineato come «Con ogni lingua indigena che si estingue, se ne va anche il pensiero: la cultura, la tradizione e la conoscenza che porta con sè. Questo è importante perché abbiamo un estremo bisogno di una trasformazione radicale nel modo in cui ci relazioniamo con il nostro intorno», aggiungendo che «se vogliamo proteggere la natura con successo, dobbiamo ascoltare le popolazioni indigene e dobbiamo farlo nella loro lingua». Secondo i dati elaborati dalla FAO, infatti, le popolazioni indigene sono custodi di circa l’80% della biodiversità rimanente nel mondo. Nonostante ciò, le lingue indigene spariscono al ritmo di una ogni due settimane.

Le cause alla base della graduale scomparsa delle lingue indigene sono individuabili soprattutto nella discriminazione strutturale cui esse sono state sottoposte insieme ai loro utilizzatori. L’emarginazione delle comunità indigene tocca ancora oggi dei livelli molto alti, soprattutto per via dei cambiamenti climatici e dell’attività deregolamentata di alcune industrie, che implicano migrazioni forzate, svantaggio educativo, analfabetismo e limitato accesso alle risorse. Le difficoltà aumentano per quelle lingue (e, di conseguenza, quelle culture) che si basano sulla tradizione orale. Il rischio è, infatti, che non sia più possibile per gli anziani trasmettere le lingue indigene ai loro figli.

Limitare le possibilità di una popolazione di utilizzare la propria lingua comporta inoltre la limitazione di numerose libertà, tra le quali quella di espressione – anche artistica -, quella di pensiero e di opinione, oltre a impedire l’accesso all’istruzione, alla salute, all’informazione, alla giustizia, ad un’occupazione dignitosa e così via. Come sottolineato da Csaba Kőrösi, inoltre, dal momento che le popolazioni indigene custodiscono la stragrande maggioranza della biodiversità esistente al mondo, perderne le lingue significherebbe perdere anche conoscenze chiave per lo sviluppo di soluzioni innovative per la tutela della differenza biologica e per combattere la fame e i cambiamenti climatici.

«La lingua è l’espressione della saggezza e dell’identità culturale, lo strumento che dà significato alla nostra realtà quotidiana, ereditata dai nostri antenati» ha dichiarato Leonor Zalabata Torres, donna Arhuaco e ambasciatrice delle Nazioni Unite in Colombia. «Ogni volta che una persona indigena pronuncia una parola in una lingua indigena, è un atto di autodeterminazione» ha dichiarato il rappresentante delle comunità dell’Artico, Aluki Kotierk, che specifica come la lingua sia fondamentale per avere accesso a diritti politici, economici, sociali, culturali e spirituali.

[di Valeria Casolaro]

 

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