mercoledì 20 Agosto 2025

Lotta al contante e controllo sociale nell’era del dominio digitale

La decisione del governo di centro-destra di innalzare il cosiddetto tetto al contante da 2000 a 5000 euro e di rimuovere l’obbligo di accettare pagamenti col Pos sotto i 60 euro si è infranta contro il fuoco di sbarramento della Commissione Europea, mettendo ben in evidenza quella che è una tendenza sempre più consolidata alla demonizzazione della cartamoneta, ossia del denaro contante, dietro l’argomentazione della lotta all’evasione fiscale. Una caccia spietata al bar che non batte lo scontrino della colazione da tenersi nello stesso Paese dove la più grande famiglia industriale – quella degli Agnelli – detiene 16 società in paradisi fiscali e dove decine di multinazionali non versano un euro a fronte di profitti miliardari.

Come ammette anche la Banca Centrale Europea e la stessa Bankitalia «l’unica forma di moneta legale è la moneta contante»: quest’ultima è la sola a dover essere accettata obbligatoriamente per legge come mezzo per estinguere un debito o per finalizzare un contratto di compravendita. La moneta elettronica, invece, non ha corso legale, ma è ad accettazione volontaria e rientra all’interno del più ampio progetto di digitalizzazione promosso dalle istituzioni europee e, più in generale, dall’approccio tecnocratico, non privo di venature distopiche, che caratterizza buona parte delle nazioni occidentali, ma anche la Cina “comunista”, geopoliticamente avversaria dell’Occidente atlantista. Il dominio tecnologico è dunque trasversale, indipendente dal collocamento sullo scacchiere internazionale e comune tanto ai sistemi liberali quanto a quelli definiti “autocratici”.

In Italia, il grimaldello usato per incentivare i pagamenti elettronici è quello della lotta all’evasione fiscale, dando per scontato che le transazioni digitali riducano il “gap Iva”. Tuttavia, alcuni recenti studi smentiscono tale correlazione che è alla base di tutte le iniziative per promuovere i pagamenti digitali, fino a raggiungere l’obiettivo dell’eliminazione totale del contante che, secondo alcuni, sarebbe una tendenza dei tempi. Da notare però che, su questo punto, le visioni nell’Ue sono molto eterogenee: in Paesi come Germania, Finlandia, Ungheria, Irlanda, Cipro e Lussemburgo, ad esempio, non vi sono limiti al contante, mentre in Grecia si ha il tetto più stringente, fissato a 500 euro. Nel mezzo vi sono Francia, Spagna e Svezia con un limite di 1.000 euro; il Portogallo con un tetto massimo di 3.000 euro e la Croazia che ha fissato il limite massimo a 15.000 euro.

Lotta al contante ed evasione fiscale

Sebbene in Italia una parte della classe politica e degli organi di stampa mainstream diano pressoché per scontato che la riduzione dell’uso del contante aiuti a combattere l’evasione fiscale, è la stessa Banca Centrale Europea a mettere in discussione questo “teorema”: in una lettera inviata dall’Istituto di Francoforte nel 2019 agli allora presidenti della Camera (Roberto Fico), del Senato (Elisabetta Casellati) e al ministro dell’Economia (Roberto Gualtieri) del governo Conte II, infatti, la BCE pretendeva di essere consultata in merito al decreto legge n. 124 del 26 ottobre 2019 che stabiliva l’abbassamento della soglia del tetto al contante a 2.000 euro fino al 31 dicembre 2021 e a 1.000 euro a partire dal primo gennaio 2022. Secondo la BCE, infatti – come scritto nero su bianco nella missiva – «le limitazioni ai pagamenti in contanti devono rispettare il corso legale delle banconote in euro sancito negli articoli 128, paragrafo 1, e 282, paragrafo 3, del TFUE. […] Si dovrebbe quindi dimostrare chiaramente che tali limitazioni permettano, di fatto, di conseguire la dichiarata finalità pubblica della lotta all’evasione fiscale». In altre parole, quello che si da per assodato, è invece qualcosa che – a detta della BCE – deve ancora essere dimostrato. A riguardo sono stati condotti diversi autorevoli studi dai quali emerge che l’uso delle transizioni elettroniche incide in maniera minima sull’evasione fiscale: nella “Relazione per orientare le azioni del governo volte a ridurre l’evasione” redatta dai tecnici del MEF (Ministero Economia e Finanza), emerge che incentivare le carte è «in linea teorica, un’utile precondizione per il contrasto all’omessa fatturazione», ma che – al contempo – le esperienze pratiche dimostrano che il vero deterrente per l’evasore è «la probabilità percepita di un controllo». Ciò significa che anche qualora si disponesse di una ingente quantità di dati sui pagamenti elettronici, questa non sarebbe comunque immediatamente disponibile per orientare l’attività di controllo. Di conseguenza, è solo un’intensa attività di controllo che riesce a colpire l’evasione. In merito, sempre i tecnici del MEF riportano l’esempio dell’ esperimento sul cashback voluto dal governo Conte: quest’ultimo ha effettivamente incentivato i consumatori all’uso delle carte, sebbene ad un costo assai elevato per le casse statali, ma «non sembra aver conseguito effetti significativi sul recupero dell’evasione», si legge. Inoltre, sulla base dei dati forniti dalla BCE, il coefficiente di correlazione tra pagamenti tracciati e riduzione dell’evasione sarebbe positivo, ma con un valore (0,52) assolutamente irrisorio, tale da non potere statisticamente confermare il collegamento supposto, che si raggiunge con un punteggio almeno pari a 5. Del resto, è stata la stessa BCE a sottolineare, nella lettera inviata al governo Conte II, di ritenere «sproporzionata la riduzione della limitazione ai pagamenti in contanti» di Grecia e Spagna, fissata rispettivamente a 500 e 1.000 euro.

Oltre a ciò, è fondamentale ricordare come a sottrarre ingenti risorse allo Stato sia l’evasione delle grandi multinazionali, le quali senza dubbio non compiono le operazioni di elusione fiscale attraverso lo spostamento di banconote cartacee: secondo uno studio intitolato I profitti persi delle nazioni dei ricercatori Thomas Tørsløv e Ludvig Wier dell’Università di Copenaghen e Gabriel Zucman dell’Università di Berkeley in California, nonché direttore dell’Osservatorio fiscale Ue, nel 2018 (ultimi dati disponibili) sono stati spostati verso i paradisi fiscali 31,7 miliardi di dollari (27,12 miliardi di euro), quasi 7 miliardi di dollari in più rispetto ai 25 miliardi del 2015. La perdita di gettito fiscale per le casse dello stato italiano arriva così a 7,6 miliardi di dollari (6,5 miliardi di euro), circa il 20% delle entrate totali. I paradisi fiscali dell’Unione europea fanno perdere all’Italia quasi il totale delle entrate mancanti che le imprese multinazionali dovrebbero versare: 6,6 mld di dollari (5,65 mld di euro). E il principale indiziato è il Lussemburgo, che da solo fa perdere all’Italia 3,2 miliardi di dollari di tasse (2,74 miliardi di euro). A mero titolo di esempio, la Pfizer Italia Srl – la divisione italiana dell’omonimo colosso farmaceutico – è indagata per avere evaso 1,2 miliardi di tasse in Italia, distraendo i fondi verso altre divisioni estere negli Stati Uniti e nei Paesi Bassi.

La moneta legale e la moneta scritturale bancaria

Per capire l’importanza sociale e giuridica delle banconote, nonché l’illegittimità del provvedimento che obbliga l’accettazione dei pagamenti con il Pos, è necessario conoscere la differenza sostanziale tra moneta legale e moneta scritturale: quest’ultima era spiegata chiaramente su una pagina web del sito della Banca d’Italia, poi rimossa. Accedendo alla pagina oggi ci si trova di fronte a un messaggio di errore, ma consultando quella di archivio si può leggere che «L’unica forma di moneta legale è la moneta contante emessa da una Banca centrale – per l’euro la Banca centrale europea (Bce) – in quanto la sua creazione si basa su rigorose procedure che garantiscono la fiducia generale nella moneta e la stabilità del suo valore nel tempo. La moneta scritturale bancaria è una forma di moneta privata. La moneta bancaria è emessa dalle banche [commerciali N.d.A] e accettata da tutti perché convertibile in moneta legale. Le banche, insieme ad altri prestatori di servizi di pagamento autorizzati, offrono a famiglie e imprese strumenti di pagamento (assegni, carte di pagamento, bonifici) che possono essere utilizzati per trasferire moneta bancaria o prelevare moneta contante». Abolire il contante o ridurne la possibilità di utilizzo, dunque, significa abolire o limitare l’unico strumento legale di pagamento a favore di una moneta privata, ossia offerta come servizio a pagamento dal circuito bancario e finanziario, il quale ne ricava un cospicuo giro d’affari. Per ogni transazione elettronica, infatti, sono previste delle commissioni che rappresentano il costo del servizio fornito dalla banca. Ma oltre ai costi delle commissioni, per gli esercenti ci sono anche i costi fisici del Pos, affittato o acquistato con rate mensili. Il costo delle commissioni, invece, varia in base al circuito scelto: i Pos Nexi, ad esempio, hanno un costo di attivazione che varia tra i 29 e i 99 euro e prevede una commissione unica dell’1,89% per bancomat e carte europee. Il circuito SumUp non prevede dei canoni mensili, né un prezzo di attivazione, mentre tutti i costi delle transazioni sono dell’1,95%. Gli esercenti sono spesso i primi a lamentarsi dei costi delle commissioni, ma anche trascurando il lato economico, è necessario rilevare come le transazioni digitali implichino una dipendenza totale dal circuito bancario e dagli strumenti di pagamento da esso offerti. Il denaro contante, invece – come sostiene la stessa BCE – assicura «libertà e autonomia», l’esatto opposto della dipendenza dalle banche che, non a caso, sono tra le prime a promuovere i pagamenti digitali. La BCE ricorda che «le banconote e le monete sono l’unica forma di denaro che le persone possono detenere senza l’intervento di terzi. Per pagare con il contante non serve avere accesso a particolari dispositivi, a una connessione Internet o alla rete elettrica; quindi, è possibile utilizzarlo anche quando non c’è elettricità o si smarrisce una carta di pagamento». Sono, inoltre, l’unica garanzia di privacy, in quanto «le operazioni in contanti rispettano il nostro diritto fondamentale alla protezione della privacy, dei nostri dati e della nostra identità in tutte le questioni finanziarie».

Moneta elettronica e controllo sociale

Rispetto alle questioni dirimenti della «libertà» e della «privacy», non si può non fare riferimento all’altro grande pericolo che comporta la digitalizzazione dei pagamenti: quello della tracciabilità totale dei movimenti bancari che è lesiva di entrambi. Le transazioni elettroniche, del resto, rientrano nel più ampio contesto del progetto di completa digitalizzazione dei dati dei cittadini promosso da organizzazioni private con un forte ascendente sulla sfera pubblica quali il World Economic Forum (WEF) e risponde all’istanza di controllo sociale proprio dei metodi di governo tecnocratici. In tale cornice, il digitale rappresenta la migliore forma di controllo sociale e commerciale a disposizione dei governi e delle multinazionali. Altresì, i pagamenti digitali sono indispensabili al completamento del programma di identità digitale propugnato dal WEF. In questo modo, tutto ciò che riguarda la vita di una persona sarà contenuto in un lasciapassare elettronico o in un chip e la moneta digitale, così come gli strumenti di pagamento ad essa correlati, potranno essere bloccati semplicemente premendo un pulsante, ma non solo: con il digitale ogni movimento, ogni clic e ogni parametro di ricerca può essere osservato e registrato, incentivando il cosiddetto “capitalismo della sorveglianza” e dando vita a una distopia propria del Grande Fratello orwelliano dove, dietro il pretesto della comodità, della sicurezza e dell’efficienza, tutto può essere strettamente sorvegliato e monitorato.

Inoltre, come successo in Canada e più recentemente in Iran, i governi possono utilizzare il blocco dei conti bancari come mezzo per sedare le proteste e reprimere le manifestazioni di dissenso. In Iran, Hossein Jalali, membro del Consiglio islamico iraniano, ha fatto sapere che il governo sarebbe intenzionato a bloccare i conti bancari delle donne che rifiutano di indossare il velo, avvertendole preventivamente con un messaggio sullo smartphone: qualora non obbedissero si vedrebbero private della possibilità di utilizzare il loro denaro. È chiaro, dunque, che l’abolizione del contante – questo l’obiettivo finale della progressiva limitazione della cartamoneta – renderebbe i cittadini completamente subalterni alle istituzioni pubbliche e bancarie stabilendo un sistema di controllo e valutazione delle persone totalizzante, simile al sistema di crediti sociali cinese. Iran, Cina, Canada: sono solo alcuni dei Paesi in cui il sistema digitale ha palesato il suo lato più dispotico e coercitivo, confermando anche la sua trasversalità tanto alle “democrazie liberali”, quanto ai “regimi autoritari”.

Il trionfo del dominio digitale è la conseguenza più diretta e tangibile del culto tecno-scientifico contemporaneo che è presentato come sinonimo di progresso e avanzamento sociale, ma che in realtà racchiude in se stesso – dal punto di vista teorico-filosofico – la volontà di dominio sul reale. La tecnica, infatti, è per definizione la conoscenza applicata alla natura – e all’uomo – per piegarla ai propri scopi e – per questa ragione – è la proiezione per eccellenza della volontà di potenza sconfinata dell’uomo secolarizzato, sintetizzato nell’immagine del superuomo nietzschiano. Uno dei più grandi filosofi che ha affrontato la questione della tecnica, Martin Heidegger, considerava l’agire tecnico come l’ultimo gradino del progetto occidentale di dominio sulla natura e del suo sfruttamento: e poiché la sfera digitale rappresenta il culmine dell’ambito tecnico, essa è anche la più pervasiva e la più efficace dal punto di vista del controllo. Di conseguenza, l’identità digitale e i pagamenti elettronici rappresentano il passo più significativo in questa direzione, minacciando la libertà, già molto ridotta, dei popoli. Dietro il luccichio sfavillante del progresso tecnologico – promosso dall’intellighenzia progressista liberal internazionale – si nascondono, dunque, insidie trascurate e ignorate dai più: l’evoluzione tecnologica e dei pagamenti digitali, infatti, viene incentivata, da un lato, cavalcando la lotta all’evasione fiscale e, dall’altro, esaltando l’idea del progresso fine a se stesso e oscurandone al contempo gli aspetti più controversi e potenzialmente coercitivi. Del resto, come scriveva Max Horkheimer ne L’eclisse della ragione: «Il cieco sviluppo della tecnica rafforza l’oppressione sociale, e a ogni passo lo sfruttamento minaccia di trasformare il progresso nel suo contrario, la barbarie completa».

[di Giorgia Audiello]

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15 Commenti

  1. Non sono d’accordo, il blocco dei conti da parte del governo è plausibile in altre nazioni non da noi, oltre al fatto che il contante NON è vietato, ha solo dei limiti. Inoltre e tutte le maggiori autorità in fatto di lotta alle mafie e alla corruzione hanno constatato che questo è un punto cruciale da mantenere, così va fatto

    • ..non era plausibile neppure che un over 50 non potesse lavorare, suo diritto costituzionale, se non inoculato. Questa sarebbe una nazione dove non potrebbe accadere un blocco dei conti? Ormai non dò più fiducia alla nostra democrazia.

  2. Sono considerazioni interessanti ma non vedo alternative all’indispensabilità del Conto Corrente e al crescente uso dei pagamenti digitali. Sono d’accordo come sopra suggerito a mantenere l’accortezza contadina quindi ad avere anche contante “sotto il materasso” e, a mio giudizio, rapporti con più banche … fidarsi è bene ma non fidarsi troppo è meglio.

  3. Il Ministro delle Finanze della Baviera, in un’ intervista radiofonica di qualche settimana fa sull’ introduzione del limite al contante (10mila €) in Germania ha affermato che la moneta contante garantisce la libertà dell’ individuo e che imporre un limite è un precedente da evitare poiché rappresenta l’inizio di un controllo costante e progressivo…

  4. Ecclesiaste 8:9
    “… su ogni azione che si compie sotto il sole … l’uomo domina sull’altro uomo, a proprio danno…”

  5. Leggendo l’articolo però non capisco una cosa: dopo che mi sono fatto dare lo stipendio tutto in contanti dal mio datore di lavoro, dato per assodato che non posso depositare i soldi sul conto corrente perché c’è il rischio che lo blocchino a loro piacimento, dove li metto sti benedetti contanti? nella cassaforte di casa? e se riuscissi mese dopo mese a risparmiare un po’ dove li metto i risparmi? li sposto dalla cassaforte al materasso? Chiedo perché l’idea che blocchino i conti correnti non è per niente simpatica però leggendo l’articolo non ho capito quale è l’alternativa al fatto di possedere un conto corrente?

    • Credo che un pezzo di risposta sia nell’osservare che:
      – ad oggi i conti possono essere bloccati (per motivi tecnici – cattivo cliente per la tua banca) o per motivi di polizia giudiziaria (sequestro)
      La differenza fra ieri ed oggi ed il domani sarà la capacità di:
      – centralizzare questa decisione
      – rendere immediata la sua applicazione su qualsiasi banca o equivalente
      – ma soprattuto – avere un collegamento veloce fra persona e conto digitale – il digitale permetterà di trattare velocemente enormi moli di dati (già lo Fa in molti altri contesti). Quindi l’esplosione del problema potrebbe tecnicamente avvenire quando associata ad una identità digitale unica lo stato, o chi per esso, avrà a disposizione tutte (in linea di principio) le informazioni che riguardano la persona (compreso dice come e quando spende i soldi).

      Poi è comprensibile una strategia a piccoli passi dove, nel caso di specie – prima disincentivo l’uso del denaro fisico per poi eliminarlo

    • Nei conti correnti (che esistono ormai da parecchio), non si trova il nocciolo del pericolo, se sono per così dire “al servizio del contante”: sono invece le misure sempre più volte a renderli il centro stesso e unico del sistema di scambi economici che dovremko combattere.

  6. Visto che ormai la realtà ha superato la fantascienza e film come Matrix sembrano ormai superati mi chiedo due cose: la prima se come nei film di fantasciena esiste una resistenza che a furia di lottare faccia saltare tutto e la seconda è come sia possibile che la stragrande maggioranza della gente non si renda conto di nulla? Ho notato poi una cosa alquanto scioccante che spesso sono le persone con un grado di istruzione molto elevato ad essere le più condizionate. Senza nulla togliere ai titoli di studio che sono importantissimi, ma questa cosa purtroppo la noto sempre di più; mi chiedo se non sia la scuola le università ecc. a condizionare le persone.

    • Concordo, purtroppo, sul fatto che moltissime persone di mia conoscenza con titoli di studio elevati siano coloro che più facilmente sono condizionabili e abbagliati dalla visione tecnico-meccanicistica del sistema contemporaneo. In parole povere stanno perdendo o hanno già perso il c.d. ” buon senso” e quel minimo di “furbizia” popolar-contadina che per secoli ha protetto i ceti disagiati, di cui inconsciamente ne andranno a fare parte. E lo scrivo da “vecchio” laureato con un paio di master…(viva la resistenza e abbasso la resilienza).

      • Scolarizzazione e intelligenza non sono una la conseguenza dell’altra ,per rimanere sull’esempio del contadino “furbo”vale la pena di ricordare l’adagio che parlava di scarpe grosse e cervello fino …..e quest’ultimo non viene dato da nessun titolo di studio per quanto prestigioso ….lo studio è senza dubbio uno strumento importantissimo ma bisogna saperlo e/o volerlo adoperare altrimenti rimane solo un attrezzo e basta

    • Secondo me non c’entra nulla il grado d’istruzione, io sono laureato ma comunque delle domande me le pongo sempre su questo sistema.
      L’unica resistenza possibile, secondo me, è continuare ad usare il contante il più possibile nei piccoli negozi “sotto casa”, e acquistare sempre meno dalle multinazionali.

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