sabato 20 Aprile 2024

Google, Meta e Amazon accusate di fare lobby occulta nell’UE

Gli europarlamentari Social-Democratici Paul Tang, René Repasi e Christel Schaldemose hanno presentato un reclamo al registro della trasparenza del Parlamento europeo per denunciare come diverse Big Tech abbiano praticato strategie di lobby occulte al fine di influenzare le negoziazioni del Digital Services Act (DSA) e del Digital Markets Act (DMA), proposte di legge che andranno a definire la futura web governance dell’Unione Europea. Le accuse sono state formalizzate giovedì scorso, 13 ottobre, e dovranno prossimamente essere tradotte in un’investigazione ufficiale da parte delle autorità preposte.

Qualora le denunce fossero effettivamente comprovate, i tre politici chiedono che alle aziende citate venga inibito l’accesso alle istituzioni UE così da evitare che queste possano ulteriormente influenzare coloro che vanno a definire il percorso democratico dell’Unione. Stando a quanto riportato da Politico, quest’ultimo requisito sarebbe ancora più gravoso di quanto non possa già superficialmente sembrare.

Secondo le carte intercettate dalla testata, le aziende incolpate sono infatti otto – cinque gruppi di lobby e tre imprese tech -, alcune di altissimo profilo. Si parla di SME Connect, Allied for Startup, Connected Commerce Council, Computer & Communications Industry Association, IAB Europe e, soprattutto, di Google, Amazon e Meta. Un elenco tanto altisonante da risultare quasi incredibile, tuttavia il trio di politici ha condiviso l’articolo di riferimento sui propri social, comprovandone la legittimità. La formalizzazione del DSA e del DMA è già stata oggetto di una forte pressioni di lobby da parte dei cosiddetti “gatekeeper” digitali, tuttavia queste nuove illazioni suggeriscono che le Big Tech avrebbero rinforzato i propri sforzi affidandosi alle opportunità offerte da alcune associazioni minori, le quali si sono ben guardate dal denunciare l’identità dei propri finanziatori.

Anche ammesso che il DSA e il DMA non possano più essere ritoccate, Tang, Repasi e Schaldemose vogliono assicurarsi dunque che l’intervento illegittimo delle imprese tecnologiche non finisca con l’interferire con gli argomenti digitali che l’Europa deve ancora discutere, primi tra tutti l’Artificial Intelligence Act e le norme che andranno a definire gli equilibri tra tutela della privacy e la lotta alla pedopornografia. Questo presupposto dovrà ovviamente scontrarsi con le tempistiche della burocrazia, le quali potrebbero incappare peraltro nella reticenza dei soggetti sotto accusa, realtà aziendali che si sono già assicurate di smentire ogni coinvolgimento, giurando di aver pienamente abbracciato le leggi sulla trasparenza dell’Unione Europea.

Il Digital Markets Act e il Digital Services Act prevedono l’imposizione di pene multimiliardarie alle grandi aziende tecnologiche che, rispettivamente, abusano della propria forza per portare avanti politiche commerciali anticompetitive e tollerano la diffusione di contenuti illegali sui propri portali. Il DMA dovrebbe entrare in pieno vigore entro il 2023, mentre il DSA dovrà attendere il 2024, tuttavia ambo le norme potrebbero fortemente intaccare l’attuale modello di monetizzazione adoperato dai colossi quali Google, Amazon e Meta.

[di Walter Ferri]

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