giovedì 28 Marzo 2024

L’Italia diserta il summit mondiale sull’abolizione delle armi atomiche

È iniziata ieri la prima Conferenza degli Stati parti del Trattato per l’abolizione delle armi nucleari (Tpnw), prevista dal 21 al 23 giugno a Vienna e a cui parteciperanno esponenti di oltre cento nazioni, tra cui Germania, Olanda e Belgio, presenti come Stati osservatori insieme ad Australia e Norvegia, anch’essi Paesi Nato. Grande assente risulta, invece, l’Italia che, nonostante possieda basi militari nucleari straniere sul suo territorio, non ha inviato nessun rappresentante ufficiale del governo. Il nostro Paese, infatti, fa parte del cosiddetto “nuclear sharing”, ossia quel gruppo di nazioni che pur non disponendo di una propria tecnologia nucleare, ospitano testate di Stati alleati.

Il Tpnw è stato inizialmente ratificato da 61 Paesi – ora saliti a 65 – e promosso da Ican (International Campaign to abolish nuclear weapon – Campagna internazionale per abolire le armi nucleari), comitato che ha organizzato la Nuclear ban week e vincitore nel 2017 del Premio Nobel per la pace. Proprio nel 2017, il Trattato è stato negoziato e approvato presso le Nazioni Unite, senza la partecipazione al voto, tra gli altri, di Italia, Francia, Germania, Stati Uniti, Russia e Ucraina, ed è entrato in vigore il 22 gennaio 2021 come strumento di diritto internazionale. Con esso i Paesi firmatari si impegnano, tra l’altro, a non sviluppare, acquisire, immagazzinare e utilizzare armi nucleari e comunque a non minacciare con ordigni atomici.

L’Italia è l’unico Paese europeo che ospita testate nucleari americane a non partecipare ufficialmente all’evento. Una decisione che ha suscitato una critica piuttosto dura da parte del presidente del comitato Ican Daniele Santi che ha affermato che «la scelta di non partecipare alla conferenza di Vienna dimostra una mancanza di coraggio politico», con un chiaro riferimento alle posizioni di politica estera italiana sempre più schiacciate su quelle statunitensi. Oltre all’Italia sono assenti anche, per ragioni evidenti, la Nato e le grandi potenze atomiche, mentre hanno preso parte all’evento i delegati di più di 80 Paesi, alcuni sopravvissuti ai test nucleari, rappresentanti della società civile e parlamentari a titolo personale, tra cui Laura Boldrini.

Ad aggravare ulteriormente la posizione italiana, oltre alla non partecipazione al summit in questione, vi è anche il fatto che Roma sta compiendo ulteriori passi avanti verso la proliferazione di armi nucleari: il 16 giugno, infatti, alla base militare di Ghedi è stato consegnato il primo cacciabombardiere F-35, in grado di bombardare con la nuova versione di bombe nucleari B61-12 e che l’Aeronautica Militare ha deciso di dare in dotazione al gruppo dei Diavoli Rossi. Si tratta di un ulteriore elemento che rende l’Italia uno degli obiettivi più sensibili nel caso si dovesse ampliare il conflitto in est Europa. Proprio quest’ultima questione dovrebbe indurre le grandi potenze ad abbassare i toni dello scontro e a trovare un’intesa sulla riduzione degli armamenti, considerate le forti tensioni che potrebbero esplodere in ogni momento, conducendo a una catastrofe umanitaria senza precedenti.

Inoltre, la scelta di non partecipare alla Conferenza sottolinea, una volta di più, la giravolta politica del M5S e in particolare del suo (ormai ex) leader politico Luigi di Maio, il quale nel 2017 aveva sottoscritto proprio il Parliamentary Pledge dell’Ican impegnandosi, dunque, a favore della non proliferazione di armi nucleari: ora, invece, fa parte – come Ministro degli esteri – di un governo che si sta muovendo nella direzione contraria. Di conseguenza, anche la volontà di giungere alla pace in Ucraina, esternata spesso dal governo e dal Premier Mario Draghi appare una volontà solo di facciata.

Nel Tpnw sono previste, inoltre, anche procedure per i Paesi con armi nucleari che vogliono aderire al Trattato, finalizzate ad uno smantellamento degli arsenali. Tuttavia, come prevedibile, nessuna potenza nucleare ha aderito e a firmare sono stati solo Stati con scarso peso geopolitico come Giamaica, Botswana e Uruguay. Tuttavia, particolarmente grave resta la non adesione di Roma che subisce fin dal dopoguerra una vera e propria occupazione militare straniera che non di rado incide negativamente sugli interessi nazionali e alla quale – ormai – dopo più di settant’anni sarebbe ora di porre fine.

[di Giorgia Audiello]

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