domenica 10 Novembre 2024

I referendum sulla giustizia del 12 giugno di cui nessuno parla: facciamo chiarezza

Il 12 giugno, data in cui i cittadini italiani potranno recarsi alle urne per esprimersi in merito ai referendum sulla giustizia, si avvicina a grandi passi. I quesiti, promossi dalla Lega e dal Partito Radicale, sono stati ufficialmente depositati alla Corte di Cassazione nel giugno 2021: quelli redatti dai promotori erano in origine sei, ma uno di essi, riferito alla responsabilità civile dei magistrati, è stato considerato dalla Corte Costituzionale inammissibile “per il suo carattere manipolativo e creativo” e per una “mancanza di chiarezza” nei primi giorni dello scorso marzo. I cinque referendum che hanno ottenuto il via libera da parte della Consulta riguardano invece l’abolizione dell’obbligo della raccolta firme per i magistrati che si candidano al CSM, la valutazione sulla professionalità dei magistrati da parte dei “non togati”, la separazione delle carriere tra giudici e pm, la limitazione delle misure cautelari e l’abolizione della legge Severino sull’incandidabilità e la decadenza dei condannati. 

Per un voto più consapevole, analizziamo nel dettaglio le materie oggetto dei cinque quesiti e gli effetti che le eventuali vittorie dei “sì” produrrebbero sulla normativa. Ricordiamo che, trattandosi di referendum abrogativi, come afferma l’art. 75 della Costituzione “la proposta soggetta a referendum è approvata se ha partecipato alla votazione la maggioranza degli aventi diritto, e se è raggiunta la maggioranza dei voti validamente espressi”.

Elezioni del Consiglio Superiore della Magistratura

Il testo del quesito: «Volete voi che sia abrogata la Legge 24 marzo 1958, n. 195 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento del Consiglio superiore della Magistratura), nel testo risultante dalle modificazioni e integrazioni ad esso successivamente apportate, limitatamente alla seguente parte: articolo 25, comma 3, limitatamente alle parole “unitamente ad una lista di magistrati presentatori non inferiore a venticinque e non superiore a cinquanta. I magistrati presentatori non possono presentare più di una candidatura in ciascuno dei collegi di cui al comma 2 dell’articolo 23, né possono candidarsi a loro volta”?».

[Aula del Consiglio superiore della magistratura]
Il CSM è l’organo che amministra la giurisdizione e garantisce l’autonomia e l’indipendenza della magistratura. È previsto dalla Costituzione italiana, che ne delinea composizione e compiti. Tre cariche dello Stato, in ragione della funzione svolta, ne fanno parte come membri di diritto il Presidente della Repubblica (il quale lo presiede), il Primo Presidente della Corte di Cassazione e il Procuratore generale presso la Corte di Cassazione; gli altri 24 componenti sono eletti, per la quota di 2/3, da tutti i magistrati, mentre i rimanenti sono selezionati dai membri delle due Camere parlamentari, riunite in seduta comune, che possono sceglierli tra professori universitari in materie giuridiche e avvocati che esercitino la professione da almeno 15 anni.

Attualmente, a un magistrato che ambisca a candidarsi al CSM viene richiesto di raccogliere dalle 25 alle 50 firme di altri magistrati che lo sostengono. Se vincesse il “sì”, quest’obbligo verrebbe meno.

Valutazione dei magistrati

Il testo del quesito: «Volete voi che sia abrogato il Decreto Legislativo 27 gennaio 2006, n. 25 (Istituzione del Consiglio direttivo della Corte di cassazione e nuova disciplina dei Consigli giudiziari, a norma dell’articolo 1, comma 1, lettera c) della legge 25 luglio 2005 n. 150), risultante dalle modificazioni e integrazioni successivamente apportate, limitatamente alle seguenti parti: art. 8, comma 1, limitatamente alle parole “esclusivamente” e “relative all’esercizio delle competenze di cui all’articolo 7, comma 1, lettere a)”; art. 16, comma 1, limitatamente alle parole: “esclusivamente” e “relative all’esercizio delle competenze di cui all’articolo 15, comma 1, lettere a), d) ed e)”?».

Il CSM è chiamato a valutare professionalmente i magistrati. Per farlo, si avvale dei pareri espressi dal consiglio direttivo della Corte di Cassazione e dei Consigli giudiziari. Entrambi gli organismi sono formati, secondo la medesima logica del CSM, da membri di diritto, da magistrati e da membri “laici” (avvocati e professori universitari).

I Consigli formulano pareri su questioni concernenti l’organizzazione e il funzionamento degli Uffici giudiziari, esercitano la vigilanza sulla condotta dei magistrati e stilano le pagelle relative al loro avanzamento in carriera. Sugli ultimi due aspetti, però, i componenti “laici” non hanno attualmente la possibilità di esprimersi: se vincesse il “sì” potranno farlo, partecipando alla totalità delle deliberazioni del Consiglio direttivo della Corte di Cassazione e dei Consigli giudiziari.

Separazione delle carriere

Il testo del quesito: «Volete voi che siano abrogati: l’Ordinamento giudiziario approvato con regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, risultante dalle modificazioni e integrazioni ad esso successivamente apportate, limitatamente alla seguente parte: art. 192, comma 6, limitatamente alle parole: “salvo che per tale passaggio esista il parere favorevole del Consiglio Superiore della Magistratura”; la legge 4 gennaio 1963, n. 1 (Disposizioni per l’aumento degli organici della Magistratura e per le promozioni), nel testo risultante dalle modificazioni e integrazioni ad essa successivamente apportate, limitatamente alla seguente parte: art. 18, comma 3: “La Commissione di scrutinio dichiara, per ciascun magistrato scrutinato, se è idoneo alle funzioni direttive, se è idoneo alle funzioni giudicanti o alle requirenti o ad entrambe, ovvero alle une a preferenza delle altre”; il decreto legislativo 30 gennaio 2006, n. 26, recante “Istituzione della Scuola superiore della magistratura, nonché disposizioni in materia di tirocinio e formazione degli uditori giudiziari, aggiornamento professionale e formazione dei magistrati, a norma dell’art. 1, comma 1, lett. b), della legge 25 luglio 2005, n. 150”, nel testo risultante delle modificazioni e integrazioni successivamente apportate, limitatamente alla seguente parte: art. 23, comma 1, limitatamente alle parole: “nonché per il passaggio alla funzione giudicante e a quella requirente e viceversa”; il decreto legislativo 5 aprile 2006, n. 160, recante “Nuova disciplina dell’accesso in magistratura, nonché in materia di progressione economica e di funzioni dei magistrati, a norma dell’art. 1, comma 1, lett. a), della legge 25 luglio 2005, n. 150”, nel testo risultante dalle modificazioni e integrazioni ad esso successivamente apportate, in particolare dall’art. 2, comma 4, della legge 30 luglio 2007, n. 111 e dall’art. 3-bis, comma 4, lett. b), del decreto legge 29 dicembre 2009, n. 193, convertito con modificazioni in legge 22 febbraio 2010, n. 24, limitatamente alle seguenti parti: art. 11, comma 2, limitatamente alle parole: “riferita a periodi in cui il magistrato ha svolto funzioni giudicanti o requirenti”; art. 13, riguardo alla rubrica del medesimo, limitatamente alle parole “e passaggio dalle funzioni giudicanti a quelle requirenti e viceversa”; art. 13, comma 1, limitatamente alle parole: “il passaggio dalle funzioni giudicanti a quelle requirenti”; art. 13, comma 3: “3. Il passaggio da funzioni giudicanti a funzioni requirenti, e viceversa, non è consentito all’interno dello stesso distretto, né all’interno di altri distretti della stessa regione, né con riferimento al capoluogo del distretto di corte d’appello determinato ai sensi dell’art. 11 del codice di procedura penale in relazione al distretto nel quale il magistrato presta servizio all’atto del mutamento di funzioni. Il passaggio di cui al presente comma può essere richiesto dall’interessato, per non più di quattro volte nell’arco dell’intera carriera, dopo aver svolto almeno cinque anni di servizio continuativo nella funzione esercitata ed è disposto a seguito di procedura concorsuale, previa partecipazione ad un corso di qualificazione professionale, e subordinatamente ad un giudizio di idoneità allo svolgimento delle diverse funzioni, espresso dal Consiglio superiore della magistratura previo parere del consiglio giudiziario.  Per tale giudizio di idoneità il consiglio giudiziario deve acquisire le osservazioni del presidente della corte di appello o del procuratore generale presso la medesima corte a seconda che il magistrato eserciti funzioni giudicanti o requirenti. Il presidente della corte di appello o il procuratore generale presso la stessa corte, oltre agli elementi forniti dal capo dell’ufficio, possono acquisire anche le osservazioni del presidente del consiglio dell’ordine degli avvocati e devono indicare gli elementi di fatto sulla base dei quali hanno espresso la valutazione di idoneità. Per il passaggio dalle funzioni giudicanti di legittimità alle funzioni requirenti di legittimità, e viceversa, le disposizioni del secondo e terzo periodo si applicano sostituendo al consiglio giudiziario il Consiglio direttivo della Corte di cassazione, nonché sostituendo al presidente della corte d’appello e al procuratore generale presso la medesima, rispettivamente, il primo presidente della Corte di cassazione e il procuratore generale presso la medesima.”; art. 13, comma 4: “4. Ferme restando tutte le procedure previste dal comma 3, il solo divieto di passaggio da funzioni giudicanti a funzioni requirenti, e viceversa, all’interno dello stesso distretto, all’interno di altri distretti della stessa regione e con riferimento al capoluogo del distretto di corte d’appello determinato ai sensi dell’art. 11 del codice di procedura penale in relazione al distretto nel quale il magistrato presta servizio all’atto del mutamento di funzioni, non si applica nel caso in cui il magistrato che chiede il passaggio a funzioni requirenti abbia svolto negli ultimi cinque anni funzioni esclusivamente civili o del lavoro ovvero nel caso in cui il magistrato chieda il passaggio da funzioni requirenti a funzioni giudicanti civili o del lavoro in un ufficio giudiziario diviso in sezioni, ove vi siano posti vacanti, in una sezione che tratti esclusivamente affari civili o del lavoro. Nel primo caso il magistrato non può essere destinato, neppure in qualità di sostituto, a funzioni di natura civile o miste prima del successivo trasferimento o mutamento di funzioni. Nel secondo caso il magistrato non può essere destinato, neppure in qualità di sostituto, a funzioni di natura penale o miste prima del successivo trasferimento o mutamento di funzioni. In tutti i predetti casi il tramutamento di funzioni può realizzarsi soltanto in un diverso circondario ed in una diversa provincia rispetto a quelli di provenienza. Il tramutamento di secondo grado può avvenire soltanto in un diverso distretto rispetto a quello di provenienza. La destinazione alle funzioni giudicanti civili o del lavoro del magistrato che abbia esercitato funzioni requirenti deve essere espressamente indicata nella vacanza pubblicata dal Consiglio superiore della magistratura e nel relativo provvedimento di trasferimento.”; art. 13, comma 5: “5. Per il passaggio da funzioni giudicanti a funzioni requirenti, e viceversa, l’anzianità di servizio è valutata unitamente alle attitudini specifiche desunte dalle valutazioni di professionalità periodiche.”; art. 13, comma 6: “6. Le limitazioni di cui al comma 3 non operano per il conferimento delle funzioni di legittimità di cui all’art. 10, commi 15 e 16, nonché, limitatamente a quelle relative alla sede di destinazione, anche per le funzioni di legittimità di cui ai commi 6 e 14 dello stesso art. 10, che comportino il mutamento da giudicante a requirente e viceversa.”; il decreto-legge 29 dicembre 2009, n. 193, convertito, con modificazioni, in legge 22 febbraio 2010, n. 24 (Interventi urgenti in materia di funzionalità del sistema giudiziario), nel testo risultante dalle modificazioni e integrazioni ad essa successivamente apportate, limitatamente alla seguente parte: art. 3, comma 1, limitatamente alle parole: “Il trasferimento d’ufficio dei magistrati di cui al primo periodo del presente comma può essere disposto anche in deroga al divieto di passaggio da funzioni giudicanti a funzioni requirenti e viceversa, previsto dall’art. 13, commi 3 e 4, del decreto legislativo 5 aprile 2006, n. 160? ”?».

Oggi, a determinate condizioni, la legge consente a un magistrato di passare fino a quattro volte dalla funzione requirente (attività di pubblico ministero, svolta dai magistrati che sono chiamati a dirigere le indagini e a rappresentare l’accusa in sede processuale) a quella giudicante (esercitata dai giudici che hanno il compito di decidere le controversie o di pronunciarsi sugli affari di loro competenza) e viceversa.

Se vincesse il “sì”, il magistrato dovrebbe scegliere all’inizio della sua carriera professionale quale delle due strade imboccare, non potendola più cambiare successivamente.

Limiti alle misure cautelari

Il testo del quesito: «Volete voi che sia abrogato il Decreto del Presidente della Repubblica 22 settembre 1988, n. 447 (Approvazione del codice di procedura penale), risultante dalle modificazioni e integrazioni successivamente apportate, limitatamente alla seguente parte: articolo 274, comma 1, lettera c), limitatamente alle parole: “o della stessa specie di quello per cui si procede. Se il pericolo riguarda la commissione di delitti della stessa specie di quello per cui si procede, le misure di custodia cautelare sono disposte soltanto se trattasi di delitti per i quali è prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a quattro anni ovvero, in caso di custodia cautelare in carcere, di delitti per i quali è prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni nonché’ per il delitto di finanziamento illecito dei partiti di cui all’articolo 7 della legge 2 maggio 1974, n. 195 e successive modificazioni.”?».

Le misure cautelari sono provvedimenti limitativi della libertà della persona. Esse possono essere adottate dall’autorità giudiziaria ai danni del soggetto nel corso delle indagini o comunque prima che sia pronunciata una sentenza definitiva di condanna. Affinché possano essere disposte, però, devono ricorrere specifici presupposti, delineati dalla legge: il pericolo di inquinamento delle prove, il pericolo di fuga e il pericolo di reiterazione del reato da parte del soggetto.

Anche se è stato presentato come concernente la sola custodia cautelare, in realtà il quesito interessa anche le altre misure cautelari: arresti domiciliari, obbligo o divieto di soggiorno, divieto di esercitare pubbliche funzioni o una professione, ecc.

Nel caso in cui vincesse il “sì”, verrà abrogata la motivazione della possibile reiterazione del reato da quelle per cui i giudici possono disporre la misura cautelare.

Abolizione della legge Severino

La “Legge Severino”, provvedimento approvato dal Parlamento e poi promulgato nel 2012, disciplina il regime di incandidabilità e di decadenza per i soggetti condannati definitivamente ad almeno 2 anni di carcere per reati di mafia e terrorismo, per delitti commessi da pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione e per reati per cui è prevista la reclusione non inferiore ai quattro anni. Sulla base della norma, essi vengono automaticamente esclusi dalle elezioni comunali, regionali, parlamentari ed europee (nonché dalle cariche di governo) o decadono dalle cariche che già ricoprono. La legge ha fissato ulteriori “paletti” per eletti e amministratori locali: per loro, infatti, si prevede la decadenza o la sospensione anche ove abbiano riportato condanna non definitiva (dunque, in primo grado o in Appello) per i casi di incandidabilità. 

[Paola Severino, Ministro della Giustizia dal 2011 2013, da cui prese il nome la legge 190]
Se vincerà il “sì”, i concetti di incandidabilità e di decadenza verranno abrogati. Sostanzialmente, verrà meno l’automatismo delineato dalla norma: sarà dunque il giudice, chiamato a decidere caso per caso, a poter imporre al soggetto il divieto di ricoprire cariche pubbliche, potendo comminargli come pena accessoria l’interdizione dai pubblici uffici.

[di Stefano Baudino]

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