giovedì 28 Marzo 2024

Allargare la prospettiva: il conflitto in Ucraina visto dalla Cina 

La Cina ha riconosciuto la genesi e le criticità storico-geografiche di questa crisi fin dall’inizio. Anzi, si potrebbe dire che le preoccupazioni di Mosca sono state a lungo condivise da Beijing. Ci riferiamo a provocazioni, minacce, interferenze e interventi militari posti in essere dal sistema USA-Nato in tutto l’arco eurasiatico, che tocca o lambisce i confini russi e cinesi. Come approfondito da una letteratura estesa, tre decenni di rivoluzioni colorate e cambi di regime, tentati o realizzati attraverso vari pretesti, rientrano pienamente ed ufficialmente nelle strategie di lungo termine degli apparati militari, di sicurezza e intelligence, statunitensi. Inoltre, Beijing continua a non accettare i cicli sanzionatori avanzati unilateralmente da Washington e che hanno di fatto alterato i regimi commerciali mondiali violando costantemente l’ordine incentrato sul WTO. 

La Cina non ha cambiato le proprie posizioni, neanche a seguito dello scoppio della guerra tra Russia e Ucraina. Essa non può non criticare l’attuale conflitto, in quanto foriero di un nuovo processo di destabilizzazione in Europa e in Eurasia che va contro i propri interessi ed il proprio operato, volto a realizzare, al contrario, una crescente integrazione intercontinentale. Beijing, da sempre sostenitore del principio di non interferenza, è diventato il primo partner commerciale di circa 140 paesi nel mondo, tra cui Russia ed Ucraina. Uno dei principali corridoi eurasiatici della Via della Seta passa attraverso l’Ucraina. Pertanto, la Cina, a differenza degli Stati Uniti, non ha alcun interesse a vedere la destabilizzazione di un’area così cruciale per i suoi legami con l’Europa. Tuttavia, i fatti persuadono del fatto che, anche quando la situazione ucraina sarà risolta, le tendenze globali rimarranno quelle a cui abbiamo assistito negli ultimi decenni: la continua crescita dell’Asia (in collaborazione con Africa e America Latina) e un’Europa sempre più vittima della propria subordinazione a Washington. Da questo punto di vista la Cina suggerisce all’Europa di sviluppare una propria autonomia politica nell’ambito delle vicende internazionali. 

In merito alla riorganizzazione degli equilibri mondiali, possiamo asserire che la direzione, già segnata, è quella di una riduzione di fatto del peso dell’Occidente a livello politico ed economico mondiale a favore di una nuova multipolarità, il cui consolidamento passerà tuttavia attraverso altri conflitti. A questo punto si tratterà di capire quale sarà l’entità del danno generato dalla volontà dell’Occidente di rimanere l’unico polo dominante. Indubbiamente, la crisi ucraina è un banco di prova che solleva grande preoccupazione. Se guardiamo alla destabilizzazione globale generata nei decenni dall’egemone in declino e dai suoi più stretti alleati, possiamo asserire che un mondo più influenzato dalla Cina sarà caratterizzato da maggiore cooperazione e minore competizione (o iper-competizione distruttiva). Ed il principio del rispetto reciproco tra i diversi sistemi politici, che oggi non è soddisfatto, potrebbe divenire una pietra angolare delle relazioni internazionali.

La partnership sino-russa  

Per quanto riguarda il legame sino-russo, su cui tanto si specula, possiamo ricordare innanzitutto che esso sia particolarmente forte e che non si romperà a causa di questa guerra in Europa. Legami e complementarietà energetiche, commerciali, finanziarie e valutarie sono andate molto avanti. Ma anche i legami nell’ambito della sicurezza regionale si sono sviluppati. Un esempio di questo è la collaborazione tra la Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai (SCO) – cioè l’organismo intergovernativo che riunisce Cina, Russia, India, Pakistan, Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan e Uzbekistan e ospita in qualità di osservatori altri paesi importanti come Iran e Bielorussia – e l’‘Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva (CSTO), ovvero l’alleanza militare che lega Russia, Armenia, Bielorussia, Kazakistan, Kirghizistan e Tagikistan. La proposta cinese per la risoluzione dell’attuale crisi sembra essere equilibrata ed in linea con un approccio pacifico alle relazioni internazionali, coerente con la propria cultura diplomatica almeno sin dai tempi di Zhou Enlai. La Cina tiene conto degli interessi di tutte le parti coinvolte, dando forma ad un approccio pragmatico, orientato alla pace, ampio, complesso e non manicheo. Perché non c’è una soluzione facile, veloce ed a buon mercato alla risoluzione di problemi storico-politici e geostrategici accumulatisi nel tempo. A meno che non intervengano gli Usa, coloro i quali avrebbero avuto, secondo Beijing, le più grandi responsabilità nel provocare questa crisi. 

La Repubblica popolare, dunque, sta mettendo in campo le proprie attività diplomatiche, promuovendo la ridefinizione di un sistema di sicurezza europeo più equilibrato e fuori dalla logica dei blocchi. In ultima istanza, la Cina continuerà a rafforzare l’amicizia di ferro con la Russia, traendone eventualmente vantaggio a medio termine, per motivi economici ed energetici, ma non potrebbe mai accettare una destabilizzazione del vicino russo, come Washington auspica, ovvero un cambio di regime. Ma andiamo a vedere il retroterra storico dei rapporti sino-russi, nonché l’evoluzione e il ruolo della Shanghai Cooperation Organization per meglio comprendere questa partnership.  

Un breve excursus storico

I rapporti intercorsi negli ultimi decenni fra la Russia e la Cina sono stati altalenanti. Nel 1950 la Cina firmò il Trattato di amicizia e mutua assistenza con l’URSS, che fu rotto dieci anni dopo a causa della dura critica avanzata dal Partito Comunista cinese al pragmatismo di Chruscev, che intraprese la strada della coesistenza pacifica con gli USA. Sentendosi minacciata dalla superpotenza sovietica, la Cina mantenne un atteggiamento freddo e distaccato fino alla metà degli anni Ottanta, quando riavviò un processo di normalizzazione dei rapporti, sfociato in seguito in una collaborazione più solida. 

Pertanto, a partire dall’inizio del XXI secolo, Russia e Cina hanno firmato un nuovo accordo di amicizia e cooperazione di validità ventennale. Opponendosi continuamente al progetto statunitense di costruzione di un sistema di scudo antimissile in Europa e in Asia (poi regolarmente avvenuto), Cina e Russia hanno spesso mostrato posizioni comuni su numerose questioni e non è un caso che nel 2002 abbiano lavorato insieme alla risoluzione della crisi indo-pakistana e nel 2004 a quella nordcoreana, così come nel 2011 si siano schierate contro l’intervento USA-Nato in Libia ed oggi siano impegnate nell’elaborazione di una strategia comune in Afghanistan. È di pochi giorni fa l’incontro dei ministri degli esteri dei paesi vicini dell’Afghanistan tenutosi in Cina a Tunxi nella provincia di Anhui.

Passati più di venti anni dall’avvio dell’ultima fase di riconciliazione, l’asse sino-russo sembra essere in buona salute soprattutto sul piano geostrategico. Le prime manovre militari congiunte, svoltesi nell’agosto del 2005, hanno rappresentato un fatto storico-politico importantissimo, la cui valenza aumenterà quando tali esercitazioni includeranno anche le forze armate indiane. 

Dalla nostra prospettiva, i recenti movimenti asiatici possono essere letti come una risposta di Beijing e dei suoi nuovi partner alle iniziative intraprese da Washington. Il riavvicinamento sino–russo è infatti una diretta conseguenza degli interventi statunitensi in Iraq e Afghanistan, nonché delle azioni intraprese nelle Repubbliche Centro–Asiatiche. Beijing non accetta peraltro che Washington rifornisca continuamente Taiwan di armamenti sofisticati. In questo quadro si comprende bene il ruolo strategico della SCO, che è oggi assurta al ruolo di vera organizzazione per la cooperazione regionale: favorendo ad esempio lo smantellamento di alcune basi statunitensi nelle Repubbliche Centro–Asiatiche e promuovendo lo sviluppo di un sistema di infrastrutture energetiche e di trasporto più autonomo dall’Occidente. Definito da alcuni asse anti-egemonico, rievocando la dottrina Primakov, la SCO ha avviato tra l’altro una cooperazione stretta con la CSTO, ovverosia la Collective Security Treaty Organization facente capo a Mosca. 

Ricordiamo infine che la Russia è un importante fornitore di armi ed energia, mentre la Cina (primo partner commerciale della Siberia orientale) esporta beni industriali e prodotti hi–tech. I contratti in campo energetico sono andati avanti fino a poche settimane fa, accrescendo la rete infrastrutturale asiatica e i legami vitali a lungo termine tra le principali potenze regionali. In questo contesto, l’India, corteggiata costantemente da Washington, rappresenta un attore indispensabile per contenere l’ascesa dell’asse sino–russo e la maggiore integrazione/espansione della SCO. Tuttavia, negli ultimi anni risulta sempre più evidente che l’India non abbia alcun interesse ad assumere una postura anti-cinese nell’ambito dei progetti geostrategici di Washington nella macroregione dell’Indo-Pacifico. 

Evoluzione e ruolo dell’alleanza SCO

Dopo la caduta dell’URSS, sia la Cina che gli USA hanno avviato trattative diplomatiche per avere un ruolo in questi territori, considerati strategici per la loro ubicazione geografica e per la presenza di importanti risorse energetiche. Nonostante i risultati raggiunti dagli USA, con intese di vario tipo, la Cina e la Russia mantengono dei vantaggi storico–geografici evidenti. Nel 1996 e 1997, le nuove Repubbliche Centro–Asiatiche, corteggiate anche da Washington, hanno firmato con Beijing e Mosca due accordi indirizzati all’accrescimento della fiducia reciproca e alla riduzione delle forze militari nelle aree transfrontaliere. Nel giro di pochi anni ciò ha consentito di risolvere le dispute di confine e di consolidare la collaborazione interstatuale in funzione antiterroristica. Col passare del tempo la SCO si va configurando sempre di più come uno spazio di cooperazione strategico-militare ed economico-commerciale, in cui il peso della Cina emerge in maniera preponderante. Non solo sul piano politico-culturale — i principi continuamente affermati da Beijing di “non interferenza”, “non allineamento”, “apertura al mondo” e “rispetto reciproco” sono stati ad esempio inseriti nella Carta costituzionale della SCO — ma anche per quanto riguarda la costruzione di infrastrutture, i programmi di cooperazione economica transfrontaliera e le manovre militari congiunte. Con l’allargamento della stessa e l’entrata di India, Iran e Pakistan, la SCO rappresenta la più grande organizzazione regionale del mondo, che, senza la diretta partecipazione degli USA, include le due economie più dinamiche del Pianeta e alcune significative potenze nucleari. Tutto ciò svela nondimeno l’esistenza di attriti competitivi fra Occidente e Oriente, visto che dalla seconda metà degli anni Novanta, e soprattutto dopo l’intervento in Afghanistan, gli Stati Uniti hanno aumentato la propria azione nella regione — ottenendo ad esempio un’ampia adesione alla “guerra al terrorismo” — per contrastare l’espansionismo sino–russo. 

Alcuni dei fatti che dimostrano l’inedita solidità e ampiezza del ruolo cinese nell’ambito di questo accordo regionale transfrontaliero sono: la realizzazione di nuovi oleodotti e gasdotti, la costruzione di autostrade e ferrovie, il miglioramento delle infrastrutture esistenti, le esercitazioni militari congiunte, la risoluzione di dispute confinarie, i nuovi accordi di libero scambio e la creazione di Zone Economiche Speciali.  

La situazione geostrategica in Asia Centrale è dunque la seguente. Con il collasso dell’Unione Sovietica nel 1991, la Cina ha esteso la sua influenza per affermare una leadership regionale e tentare di frenare allo stesso tempo l’espansionismo statunitense verso Est. In queste dinamiche sia la Russia che l’Iran si sentono a loro agio: entrambe soffrono di un senso di accerchiamento a causa dell’instabilità mediorientale e dell’ex Repubbliche sovietiche, ed entrambe possono contare su un partner sempre più potente per superare i vincoli e le pressioni occidentali. Da una prospettiva opposta, invece, gli Stati Uniti, egualmente interessati al valore strategico di questa regione, hanno costruito dopo l’11 settembre 2001 diverse basi militari per contenere l’influenza cinese. Ciò nonostante, negli ultimi 20 anni la loro presa su questi Paesi è stata ridimensionata. I voti in ambito Onu delle ultime settimane hanno confermato la mancanza di interesse in Asia a seguire le richieste sanzionatorie di Washington verso la Russia.  

[di Fabio Massimo Parenti]

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