venerdì 19 Aprile 2024

Costruire un nuovo approccio alla migrazione: intervista ad Andrea Costa

Rifiutare la narrazione convenzionale per ripartire da una basata su numeri concreti: questo il punto da cui partire, secondo Andrea Costa, per comprendere appieno un fenomeno complesso e in continuo mutamento come la migrazione. Presidente dell’associazione Baobab Experience, che dal 2015 offre supporto ai migranti sul territorio di Roma, Costa ha rischiato una condanna fino a 18 anni di carcere per favoreggiamento dell’emigrazione clandestina. Il motivo: aver comprato 9 biglietti dell’autobus per altrettanti migranti che vivevano per strada, per permettere loro di raggiungere il campo della Croce Rossa a Ventimiglia. Il 3 maggio scorso il pm ha fatto cadere tutte le accuse perché “il fatto non sussiste”, tuttavia la vicenda rimane un caso esemplare di quella tendenza alla criminalizzazione di coloro che prestano aiuto umanitario ai profughi, diffusa in Italia negli ultimi anni. Abbiamo raggiunto Costa al telefono per parlare della sua vicenda giudiziaria, ma anche delle possibilità di rivedere del tutto l’approccio alla questione migranti, soprattutto dopo che la guerra in Ucraina ha dimostrato che l’accoglienza è possibile.

Come prima cosa credo sia importante ripercorrere i fatti relativi alla vicenda giudiziaria che l’hanno vista coinvolta e che si è conclusa il 3 maggio scorso. 

La strategia di colpire le ONG e le associazioni che operano nel campo della solidarietà ai migranti nasce in Italia verso la fine del 2016. Vengono prese di mira sia quelle che effettuano i salvataggi in mare in zona SAR sia quelle che in terra aiutano i migranti, anche quelli che si trovano sul nostro territorio solo di passaggio. Nei confronti di Baobab Experience, che dal 2015 operava a Roma con un grosso transito di migranti e che nel 2016 ne aveva aiutati 60-70 mila ad attraversare il Paese, comincia a indagare l’antimafia. Si cerca l’associazione a delinquere e prove del fatto che l’associazione fa quel che fa non per un fine umanitario ma per un fine molto probabilmente economico. Dopo mesi e mesi di pedinamenti e intercettazioni l’antimafia conclude che non vi è reato e mette fine alle indagini. Siamo però arrivati al 2017 inoltrato e personaggi come Matteo Salvini sono in piena ascesa politica. Un solerte giudice della magistratura ordinaria decide, in questo contesto, riaprire le indagini. Di tutti i mesi e mesi di intercettazioni effettuate si attaccano a una telefonata nella quale io organizzo il pagamento di nove biglietti a 8 ragazzi sudanesi e uno del Ciad che si trovavano a Roma ed erano finiti sul marciapiede dopo uno sgombero e che volevano recarsi al centro della Croce Rossa di Ventimiglia. Comincia così l’iter processuale, che viene rallentato nel 2020 a causa di ritardi e rinvii dovuti alla pandemia. Lo scorso 3 maggio arriva la sentenza di assoluzione, non da parte del giudice perché il pubblico ministero, che nel frattempo era cambiato, ha fatto cadere tutte le accuse decretando la non sussistenza del fatto.

Sul sito di Baobab Experience si legge dell’esistenza di una direttiva del Consiglio europeo, la Facilitation directive, volta proprio a stabilire una distinzione tra coloro che forniscono aiuti umanitari ai migranti e i trafficanti di esseri umani, che l’Italia non ha adottato. Può spiegare meglio in cosa consiste? 

Si tratta di una direttiva che nasce negli anni dell’ex Jugoslavia e dovrebbe permettere a Paesi limitrofi di poter aiutare le persone senza incorrere nel reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Dovrebbe permettere di facilitare le operazioni di soccorso e di prima accoglienza, sburocratizzare l’arrivo della persona e così via. Questa direttiva però non è mai stata messa in pratica, fino a quando 74 giorni fa scoppia la guerra in Ucraina e comincia a esserci un serio problema di profughi e rifugiati. I quasi 5 milioni di ucraini, soprattutto donne e bambini, che hanno lasciato il loro Paese riescono così a muoversi senza problemi attraversando le frontiere di Ucraina, Moldavia, Romania, Ungheria e Slovenia fino ad arrivare all’Italia. Cinque frontiere, di cui due non comunitarie -quelle tra Ucraina e Moldavia-, che non hanno sollevato nessuna obiezione di fronte al passaggio di cittadini extracomunitari. Noi siamo molto contenti di questo, però certo stride un po’ con il fatto che mentre per questa cosa qui si riceve il plauso delle istituzioni, delle forze dell’ordine, delle guardie di frontiera, in Italia si rischiano dai 6 ai 18 anni per aver comprato un biglietto dei pullman per andare da Roma a Genova a dei migranti. Io faccio presente che grazie a questa direttiva e a questa gestione emergenziale dei profughi ucraini per esempio questi non pagano i mezzi pubblici, sia all’interno delle città che tra comuni diversi. Quindi io non sarei dovuto andare a processo perché non c’era reato, non avrei dovuto comprare i biglietti a chi fuggiva dalla guerra in Sudan perché in teoria questi vi ha diritto a titolo gratuito.

Quindi essendo una direttiva e non una legge viene usata in modo del tutto arbitrario?

Sì, esattamente.

L’Italia, Paese di frontiera dell’area Schengen, ha sempre trattato in modo emergenziale la questione migranti, anche quando i dati chiaramente mostrano che non si tratta di un’emergenza. A smentire questa narrativa è stata proprio la guerra esplosa in Ucraina, che sta mostrando che una forma di accoglienza è possibile e lo è anche organizzarla in tempi brevi. Secondo lei una volta terminata la guerra cambierà qualcosa nel sistema di accoglienza italiano, proprio in ragione di quello che è successo con i profughi ucraini? 

È quello che tutti ci auguriamo, soprattutto nel mondo dell’associazionismo che si occupa di solidarietà e di prima e seconda accoglienza per i migranti. Sarebbe molto importante, perché altrimenti si rischia davvero un effetto quasi di apartheid: sarà un caso ma mentre c’è diffidenza verso il migrante con la pelle scura, lo stesso non accade verso coloro che sono biondi e hanno gli occhi azzurri. Purtroppo invece proprio è come dicevi te, è la narrazione che va ribaltata e rovesciata. Per troppi anni abbiamo sentito slogan populisti, demagogici, nazionalisti che parlavano di invasione, di sostituzione etnica. Non c’è un numero della migrazione precedente alla guerra attuale che eguagli il quantitativo di migranti in arrivo dall’Ucraina ora. Eppure oggi non sentiamo parlare di ucraini che ci invadono, nonostante in due mesi ne siano arrivati in numero quasi equivalente al totale del 2020 e 2021. Nel 2021 sono arrivati 60 mila migranti, buona parte dei quali hanno proseguito il viaggio -perché per molti l’Italia è un Paese di transito e non una destinazione finale-, adesso dall’Ucraina ne sono arrivati oltre 100 mila in 75 giorni. Nessuno, giustamente, parla di invasione. Io credo che la tematica della migrazione la riusciremo ad affrontare in maniera corretta, con tutte le problematiche annesse solo quando inizieremo a trattare il fenomeno per quello che è e non come carburante elettorale per aumentare le paure della gente sotto elezione e strappare qualche voto in nome della sicurezza, tanto a destraquanto a sinistra. Dobbiamo veramente cominciare a raccontare un’altra migrazione e dobbiamo raccontarne la versione più veritiera: non c’è nessuna invasione. La migrazione è un tema che va trattato con polso e senza lassismi, discutendo sui numeri e sui criteri di apertura e chiusura.

Nel contesto di questa gestione emergenziale, che lascia dei vuoti istituzionali importanti, si devono inserire le ONG e le associazioni come Baobab Experience. Qual è il peso di queste organizzazioni private e l’importanza nella gestione dell’accoglienza dei migranti?

Detto sinceramente e al di là di qualsiasi falsa modestia, anche perché non mi riferisco solo a Baobab Experience, il vuoto che queste associazioni hanno riempito in questi anni è una cosa di cui Italia ed Europa si dovrebbero vantare e basta. Nel 2015-16, all’inizio di quella che è stata definita una “crisi migratoria”, il Governo fingeva di non vedere i transitanti  perché non gli conveniva: in caso contrario avrebbe infatti dovuto identificarli e, nel rispetto della Convenzione di Dublino, metterli in centri e dar loro assistenza. Per questo motivo ha preferito chiudere gli occhi e lasciare che fossero le associazioni a fare assistenza in strada, dare cibo e assistenza sanitaria e in qualche modo a indirizzarli verso il nord del Paese. Che volessero incolpare me di favoreggiamento dell’emigrazione clandestina -e non si capisce nemmeno perché sia stata l’Italia a contestare questo reato, perché al massimo sarebbe dovuta essere la Francia a farlo- è assurdo, non ho mica deciso io che i campi della Croce Rossa fossero vicini al confine: uno è a Ventimiglia, vicino al confine con la Francia, uno a Como ovvero vicino al confine con la Svizzera, uno al Brennero ovvero al confine con Austria e Germania…  Non sono le associazioni a decidere le rotte migratorie: sono cose che i migranti stabiliscono con i loro criteri e un loro volere che va sempre tenuto in considerazione. Per tornare alla tua domanda certo, le associazioni hanno riempito un vuoto e io credo che senza di loro ci sarebbe stato più caos, anche a livello di ordine pubblico, che è una questione che preoccupa sempre molto la gente. Inoltre in qualche modo le organizzazioni abbiano contribuito a limitare anche il conto dei danni: pensa alle ONG di mare, a quanta gente in più sarebbe affogata se non avessero effettuato i salvataggi, o a quante persone sono state salvate dalle ONG di terra, in particolare soggetti fragili come le donne nel circuito della tratta o i minori, che spariscono a centinaia sul nostro territorio ogni anno. Si tratta di un terreno delicato nel quale le associazioni penso abbiano fatto solo del bene in questi anni.

Baobab Experience come agisce sul territorio?

Noi avevamo centri e presidi che sono stati sgomberati, l’ultima volta è stata l’estate scorsa all’interno della stazione Tiburtina. Poi noi siamo autorizzati ad avere un presidio che comincia alle 18.30 di sera dove diamo la cena e distribuiamo vestiti, tende e coperte. Poi ci sono tutta una serie di attività parallele tra le quali lo sportello in quartiere san Lorenzo, tra le due stazioni, uno studio legale, Baobab for jobs, che aiuta i migranti a compilare i CV e li segnala alle aziende, lo sportello psicologico e sanitario, due progetti di housing… Poi abbiamo progetti al confine tra Bosnia e Croazia, in Romania -ovvero su quella rotta balcanica dove si muore ancora troppo. Abbiamo anche progetti ai confini Nord dell’Italia: Ventimiglia, Como, Brennero e così via. A questo si è aggiunto negli ultimi mesi anche il nostro sforzo in Ucraina, per supportare le persone che prestano aiuto lì e per aiutare i profughi a fuggire nella maniera più sicura possibile.

Ora con l’emergenza in Ucraina non si sente più parlare di migranti e sbarchi sul nostro territorio. I dati mostrano come dal 2015-16 la tendenza è stata una progressiva diminuzione: adesso la situazione qual è?

Gli sbarchi continuano sempre. Magari è cambiata qualche rotta, ma dalla Libia continuano ad arrivare barconi a momenti alterni, in base alle pressioni che i trafficanti e la Guardia costiera libica fanno sulle istituzioni europee per avere maggiori donazioni di soldi o di materiale. Sono cambiate molto le rotte: noi sulla rotta balcanica abbiamo incontrato gente proveniente dall’Africa occidentale, perché ormai gira la voce di cosa avviene nei campi in Libia. Ora molti preferiscono fare il giro lungo, arrivando in Grecia e percorrendo la rotta balcanica. C’è un po’ un impazzimento in questo senso: si incontrano donne dell’Africa subsahariana lungo la rotta balcanica e persone dal Bangladesh e dall’Afghanistan che arrivano dalla Libia, perché magari sono stufi di stare ad aspettare in un campo in Turchia o in Grecia e si muovono in altro modo. È davvero complicato individuare le rotte: la migrazione non si ferma. Se avessimo evitato di trattare come un’emergenza qualcosa che non lo era, se avessimo avuto una politica e una stampa che si fossero occupate più dei problemi reali del Paese nessuno di noi vivrebbe la migrazione così.

Anche perché sembra chiaro che, nonostante la costruzione di muri e barriere, le persone continuino a cercare modi per spostarsi e aggirare l’ostacolo… 

La costruzione dei muri aiuta solo i trafficanti, quelli che si fanno pagare sempre di più per farli scavalcare, passare sotto o aggirare. Più si alzano i muri più si aiutano i trafficanti, più si colpiscono le ONG di terra e di mare che aiutano gratuitamente i migranti più si danno soldi alle varie mafie che gestiscono il traffico. Sembra quasi che si voglia che la cosa resti così.

Da lungo tempo la legislazione sulla migrazione non viene rivista: la Bossi-Fini, per esempio, è del 2002. Si è cercato semmai di inasprirne i caratteri restrittivi, con l’approvazione dei cosiddetti “decreti sicurezza” di Salvini, poi in parte dismessi. Secondo lei in che modo andrebbe migliorata o aggiornata la legge sull’immigrazione?

La legge sull’immigrazione va rivista tutta. I giovani oggi a stento sanno chi siano Bossi e Fini: quello della migrazione è un tema in continua mutazione, non si può gestire con una legge che risale a oltre 20 anni fa fatta da due soggetti che sono fuori dalla politica da anni. Dal 2002 poi si sono alternati governi di ogni tipo, ma nessuno l’ha mai rivista. La prima cosa da fare sarebbe snellire le procedure: non è possibile che ci vogliano un’anno e mezzo o due per sapere se si ha diritto o meno alla cittadinanza. Anche perché il meccanismo è come un cane che si morde la coda: se non hai il permesso non hai la residenza, se non hai la residenza non hai un lavoro, se non hai un lavoro non hai alcuni diritti, se non hai accesso alla scuola non sei cittadino ma se non hai una residenza non puoi accedere ai servizi scolastici e professionali… così è un disastro, si rischia di creare una generazione di migranti che saranno per forza di cose inadeguati. Io sono chiaramente per un sì generalizzato alle richieste di chi fugge dal proprio Paese per venire qui, ma anche fosse un no cerchiamo di velocizzare tutte queste procedure. Oltre che nel metodo la legge è poi sbagliata anche nel merito, perché considera la migrazione come un reato: chi migra è automaticamente in debito verso l’Italia e la giustizia. Siamo noi il Paese più ricco e avanzato, che tra l’altro necessita di manodopera a tutti i livelli, nei lavori umili a quelli più elevati -ricordiamo che siamo un Paese a nascita zero. Bisogna invertire questa narrazione, se no non se ne esce.

[di Valeria Casolaro]

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