giovedì 25 Aprile 2024

La polizia USA cerca di usare la musica come arma di censura

Quando si pensa alle autorità che “sparano” a tutto volume brani pop sotto forma di arma politica è facile che la mente corra alle occasionali battaglie musicali che avvengono al confine tra le due Coree, tuttavia anche gli Stati Uniti sembrano incappati in una loro personale crociata portata avanti a colpi di Taylor Swift.

Da mesi sta infatti prendendo piede una strada abitudine tra i membri delle forze dell’ordine, ovvero quella di lanciarsi in improbabili dj set non appena qualcuno inizia a filmare le loro manovre. Il perché di un simile comportamento antiprofessionale è di facile spiegazione: dal tragico, ma rivoluzionario, episodio dell’uccisione di George Floyd, sempre più cittadini statunitensi hanno preso l’abitudine a riprendere e a postare sui social l’attività della polizia.

Le persone hanno ormai paura degli abusi perpetrati dalle forze dell’ordine, tuttavia queste, piuttosto che denunciare i colleghi che si macchiano di crimini, preferiscono spesso intensificare i loro sforzi nell’ostacolare la produzione di immagini non affini alle narrative ufficialmente adottate dai vari dipartimenti.

Gli stratagemmi classici spaziano dall’oscurare fisicamente la macchina da presa all’infangare il discorso internettiano, tuttavia questa nuova tendenza musicale non fa che sottolineare quanto gli attriti tra cittadini e forze armate si stiano progressivamente intensificato.

Pur di rendere difficoltosa la documentazione dei fatti, la polizia USA ha infatti deciso di sfruttare la forza dei diritti d’autore per manipolare gli algoritmi dei social, cosa che a sua volta si può tradurre in oscurantismo e in danni per coloro che riportano gli accadimenti attraverso le registrazioni video.

Il caricare sui portali internettiani delle clip accompagnate da musica protetta da copyright comporta reclami che non di rado sfociano in ammonimenti, sanzioni o addirittura nella sospensione dei profili accusati di pirateria. Nella maggior parte dei casi, queste draconiane risoluzioni sono messe in atto da sistemi automatizzati che sono ben lungi dall’essere in grado di contestualizzare ciò che stanno analizzando, una peculiarità che risulta vulnerabile agli abusi.

A oggi, l’implementazione di questa strategia è stata portata avanti in maniera grossolana e goffa, tuttavia le autorità sembrano credervici molto e YouTube, azienda che su tutte è la più coinvolta in questo schema, si è dimostrata restia al voler reagire all’insidia.

Attivisti e manifestanti si stanno organizzando di conseguenza, suggerendo alle persone di disattivare i microfoni dei loro apparecchi o, in alternativa, di destreggiarsi nel montaggio di diverse riprese, così che l’audio sia disturbato quanto basta da non essere immediatamente identificabile. Un palliativo, più che una soluzione, che però dovrebbe essere in grado di minare l’efficacia della censura.

[di Walter Ferri]

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