giovedì 6 Novembre 2025
Home Blog Pagina 233

Nei mari italiani sono sommerse decine di navi piene di rifiuti tossici

1

Nell'unica fotografia disponibile e non sparita nel nulla, il volto tumefatto, con le palpebre e il naso gonfi, dovrebbero confermare che il capitano di fregata Natale De Grazia è morto per un attacco di cuore. L'ufficiale della Marina aveva 39 anni e stava indagando per conto della Procura di Reggio Calabria sui traffici di rifiuti nucleari e tossici nel Mar Mediterraneo. In particolare, indagava sulle cosiddette «navi a perdere», secondo la definizione di un indagato. Queste venivano riempite di fusti pieni di scorie e di veleni e, in seguito, affondate in qualche punto imprecisato in mezzo ...

Questo è un articolo di approfondimento riservato ai nostri abbonati.
Scegli l'abbonamento che preferisci 
(al costo di un caffè la settimana) e prosegui con la lettura dell'articolo.

Se sei già abbonato effettua l'accesso qui sotto o utilizza il pulsante "accedi" in alto a destra.

ABBONATI / SOSTIENI

L'Indipendente non ha alcuna pubblicità né riceve alcun contributo pubblico. E nemmeno alcun contatto con partiti politici. Esiste solo grazie ai suoi abbonati. Solo così possiamo garantire ai nostri lettori un'informazione veramente libera, imparziale ma soprattutto senza padroni.
Grazie se vorrai aiutarci in questo progetto ambizioso.

I bombardamenti israeliani a Gaza non risparmiano nemmeno gli ospedali da campo

1

Dopo aver distrutto l’ultima struttura ospedaliera funzionante nel governatorato di Nord Gaza, Israele passa agli ospedali da campo. Ieri, un attacco dell’aviazione israeliana ha colpito il cancello di un ospedale da campo nel sud della Striscia, uccidendo un bambino e ferendo altre nove persone tra pazienti e membri del personale sanitario. In generale, gli attacchi continuano indiscriminatamente su tutta la Striscia: tra il tramonto di ieri e l’alba di oggi, Israele ha ucciso almeno 23 persone, bombardando edifici residenziali, tende e strutture adibite a ospitare i rifugiati. Nel frattempo, i negoziati per un cessate il fuoco sembrano in una fase di stallo. Il comitato delle Forze Islamiche e Nazionali palestinesi, coalizione che riunisce diverse sigle palestinesi, ha ribadito che non si può parlare di pace senza fornire la garanzia che Israele fermi le proprie aggressioni su Gaza, mentre Hamas ha annunciato che, in seguito a un attacco israeliano, ha perso contatto con l’ostaggio israelo-americano al centro delle trattative.

Gli attacchi dell’esercito israeliano stanno coinvolgendo tutta la Striscia. Dal tramonto, a nord, Israele ha attaccato la struttura sanitaria di Al-Maamadani, uccidendo un bambino. Sempre a nord, gli attacchi si sono concentrati a Jabaliya e a Beit Lahia e hanno ucciso un numero ancora ignoto di persone. Nel centro della Striscia, gli attacchi notturni si sono concentrati su Gaza City, prevalentemente nei quartieri orientali della capitale. Qui, a partire dalle 18 di ieri, si sono verificati almeno 27 attacchi che hanno portato all’uccisione di 15 persone. In particolare, sono stati colpiti in modo massiccio i quartieri di Shuja’iyya e di Tuffah, bersagliando strade, appartamenti e tende per sfollati. A sud, oltre all’attacco presso l’ospedale da campo a Khan Younis, si sono verificati attacchi a Rafah e nella stessa Khan Younis che hanno ucciso rispettivamente 2 e 4 persone. Dall’alba di oggi, gli attacchi sono ricominciati con la stessa intensità. I bersagli principali sembrano essere sempre il governatorato di Nord Gaza e Gaza City. A Jabaliya, l’aviazione israeliana ha ucciso almeno 10 persone in seguito a un bombardamento su un edificio residenziale. A Gaza City, invece, sono state uccise almeno 3 persone, tra cui la fotogiornalista Fatima Hasoona.

Nel frattempo, i negoziati per il cessate il fuoco risultano fermi. Israele insiste nella presentazione del suo personale piano di pace, chiedendo a tutte le firme palestinesi di abbandonare le armi, cedere il controllo della Striscia al proprio esercito e portare avanti il piano di deportazione di Trump. Le organizzazioni palestinesi che rientrano nelle Forze Islamiche e Nazionali hanno sostanzialmente rifiutato qualsiasi proposta che preveda il disarmo senza ottenere in cambio la certezza che Israele cessi i suoi attacchi. Tra le firme palestinesi che rientrano nel comitato è presente anche Hamas, che tuttavia non si è ancora espressa in prima persona. Da stamattina, inoltre, pare che sia scomparso l’ostaggio israelo-americano Edan Alexander dopo che Israele ha lanciato un «attacco diretto» sul luogo in cui era trattenuto. Non sono ancora presenti aggiornamenti sul suo stato, e né Israele né gli Stati Uniti hanno ancora rilasciato dichiarazioni.

All’8 aprile, data dell’ultimo aggiornamento dell’ONU, Israele ha distrutto o danneggiato il 92% delle case, l’82% delle terre coltivabili, l’88,5% delle scuole e, in generale, il 69% di tutte le strutture della Striscia. In totale, dall’escalation del 7 ottobre, l’esercito israeliano ha ucciso direttamente oltre 51.000 persone, anche se il numero totale dei morti potrebbe superare le centinaia di migliaia, come sostenuto da un articolo della rivista scientifica The Lancet e da una lettera di medici volontari nella Striscia.

Alessandria: Solvay patteggia per la devastazione ambientale a Spinetta Marengo

1
Una manifestazione di comitati e cittadini contro il silenzio delle istituzioni e le ricadute dello stabilimento produttivo Solvay a Spinetta Marengo

A Spinetta Marengo, in provincia di Alessandria, Solvay sta riuscendo nel tentativo di non arrivare al processo per disastro ambientale colposo, negoziando patteggiamenti che metteranno tutto a tacere. L’ultimo di questi è giunto proprio dal Comune di Alessandria, capoluogo di provincia, che ha accettato il risacrimento di 100 mila euro proposto dalla multinazionale Syensqo (ex Solvay): considerato il numero di cittadini, si tratta di appena un euro ad abitante. Una cifra meno che irrisoria, a fronte del danno comportato dall’azienda, che per anni ha contaminato le acque della zona con i PFAS, sostanze chimiche in grado di accumularsi nell’organismo umano senza degradarsi e associate tumori, disturbi ormonali e patologie cardiovascolari. Il patteggiamento di Alessandria potrebbe ora spalancare le porte ad altri previsti e attesi, ovvero quelli della Regione Piemonte e del ministero dell’Ambiente.

Così, il processo contro contro Solvay (Syensqo) ad Alessandria, nell’ambito del quale le istituzioni pubbliche, i comitati e le associazioni ambientaliste si erano dichiarate parti civili, non vedrà probabilmente mai la luce. Il primo a patteggiare era stato il Comune di Montecastello: come spiegato dal giornalista e attivista Lino Balza nell’ambito dell’inchiesta de L’Indipendente, il Comune ha accettato circa 100 mila euro di risarcimento, nonostante fosse stato accertato il danno da inquinamento eccessivo da PFAS che ha comportato la chiusura del proprio acquedotto. La settimana scorsa, anche il Comune di Alessandria ha accettato una proposta di risarcimento da parte della multinazionale Syensqo (ex Solvay), pari anch’esso a 100 mila euro – l’equivalente di un euro ad abitante. Il processo per disastro ambientale colposo vedeva tra gli imputati gli ex direttori dello stabilimento di Spinetta, Stefano Bigini e Andrea Diotto. Come riporta Rete Ambientalista, il Sindaco di Alessandria, Giorgio Abonante, ha dichiarato che tale cifra sarà utilizzata per il «monitoraggio ambientale del Comune» e per far «fronte ai lavori straordinari che interesseranno i cimiteri cittadini».

L’accordo stipulato tra il Comune di Alessandria e Solvay ha un peso differente rispetto a quello realizzato con il Comune di Montecastello (274 abitanti), in quanto Alessandria è capoluogo di provincia e gode senz’altro di maggiore peso politico. E se l’istituzione pubblica più vicina al cittadino si arrende allo strapotere della multinazionale, il rischio è che questo possa costituire un apripista per la Regione Piemonte e il ministero dell’Ambiente, enti più grandi ma anche più lontani dalla cittadinanza. Contattato telefonicamente da L’Indipendente, Balza ha riferito che la notizia del patteggiamento tra Solvay e Regione Piemonte potrebbe arrivare tra non molto e che la cifra (irrisoria anch’essa) dovrebbe aggirarsi sui 500.000 euro.

A fronte di ciò, tuttavia, rimane il fatto che l’emergenza eco-sanitaria non avrà fine – e, probabilmente, rimarrà anche senza colpevoli, grazie al potere della multinazionale. Un potere che, spiega Balza, può arrivare a rompere anche il fronte di protesta. Le associazioni Medicina Democratica, WWF e ProNatura non avrebbero infatti rifiutato pubblicamente il patteggiamento offerto da Solvay ai comitati e alle associazioni ambientaliste che nel procedimento giudiziario si sono dichiarate parte civile, come invece fatto da Movimento di lotta per la salute Maccacaro, Greenpeace, Legambiente, ComitatoStopSolvay, Anemos, e Vivere in Fraschetta. Nel frattempo, sottolinea Blaza, Ilhham Kadri, Presidente di Syensqo (ex Solvay), avrebbe ricevuto 27,5 milioni di euro in bonus negli ultimi due anni, in attesa di quello da 7,5 milioni di euro che potrebbe ottenere ad inizio anno prossimo. Nel frattempo, l’ambiente viene devastato e le persone si ammalano e muoiono. E tutto continua come se niente fosse.

Perù, ex presidente condannato a 15 anni di carcere

0

L’ex presidente del Perù, Ollanta Humala, è stato condannato a 15 anni di carcere con l’accusa di corruzione. In particolare, Humala è accusato di aver ricevuto fondi illeciti dall’impresa edile brasiliana Odebrecht durante la campagna elettorale del 2011, che lo vide vincitore. Humala è stato presidente del Paese tra il 2011 e il 2016 ed è il leader del Partito Nazionalista Peruviano. Anche la moglie, Nadine Heredia, è stata condannata a 15 anni con l’accusa di riciclaggio. Odebrecht è la maggiore compagnia edile del Sud America e lo scandalo giudiziario ha coinvolto altri Paesi del continente, tra cui Argentina, Venezuela e Colombia.

PFAS, qualcosa si muove: l’Unione Europea li limita a cominciare dai giocattoli

0

L’Unione europea sembra essere finalmente prossima a dotarsi di nuove regole che garantiranno l’assenza di sostanze tossiche PFAS nei giocattoli prodotti o importati. Il Consiglio e il Parlamento europei hanno infatti siglato un accordo politico sulla base di una precedente proposta della Commissione. Il nuovo regolamento, in attesa di approvazione formale, vieterà l’uso di sostanze nocive, come le sostanze perfluoroalchiliche e polifluoroalchiliche PFAS, ma anche degli interferenti endocrini e dei bisfenoli, nei giocattoli dell’UE. Tutti i prodotti disporranno di un passaporto digitale per impedire l’ingresso sul mercato, anche online, di giocattoli non sicuri in questo senso. Si tratta di una prima mossa, ancora limitata, che avviene dopo anni di inazione, con le lobby della plastica che hanno bloccato ogni azione contro le sostanze dannose.

Gli PFAS sono una vasta famiglia di composti chimici utilizzati per rendere più resistenti un’ampia gamma di prodotti industriali, quali tessuti impermeabili, padelle antiaderenti, imballaggi alimentari, schiume antincendio e cosmetici. La loro struttura chimica li rende estremamente stabili, il che significa che non si degradano facilmente nell’ambiente. Numerosi studi scientifici hanno poi collegato l’esposizione agli PFAS a patologie tumorali, disfunzioni endocrine, immunodeficienze e alterazioni nello sviluppo fetale. La contaminazione è ormai ampiamente diffusa e queste sostanze sono state rinvenute praticamente ovunque, acque potabili dell’UE comprese. Motivo per cui numerose associazioni ambientaliste e sanitarie chiedono da anni una messa al bando totale degli PFAS in tutti i settori. Secondo le organizzazioni, è ormai evidente che misure parziali, come il divieto nei soli giocattoli, non siano sufficienti a contrastare una minaccia così pervasiva e duratura. La prima nazione a muoversi in autonomia e in modo relativamente più incisivo è stata la Francia, che ha ufficialmente messo al bando tutti i tessuti e i cosmetici contenenti PFAS. La nuova normativa dà inoltre concreto seguito al principio “chi inquina paga”, introducendo per le aziende una tassa sugli scarichi idrici industriali.

Tuttavia, la necessaria e auspicata messa al bando totale è ancora lontana, complici le pressioni di diversi gruppi industriali, come rivelato dall’inchiesta giornalistica “Forever Lobbying Project”. L’indagine ha mostrato come le lobby dell’industria della chimica di sintesi abbiano esercitato un’influenza determinante nel rallentare qualsiasi proposta di divieto totale. Secondo l’indagine, in particolare, ci sarebbero state diverse pressioni sui funzionari europei e sulle campagne di pubbliche relazioni per minimizzare i rischi legati ai PFAS. Il team ha raccolto oltre 14.000 documenti, evidenziando una massiccia campagna di lobbying e disinformazione ben orchestrata. La società civile comunque è determinata ad ottenere la messa bando completa e rapida di tutte le sostanze PFAS in Europa. Senza un argine all’influenza delle lobby, il diritto alla salute rischia però di restare subordinato agli interessi dell’industria.

[di Simone Valeri]

Trump toglie i fondi ad Harvard perché rifiuta di allinearsi su dissenso e diritti

8

Il Dipartimento dell’Istruzione degli Stati Uniti d’America ha tagliato i fondi all’Università di Harvard dopo che l’ateneo si è rifiutato di modificare le proprie politiche sui diritti degli studenti e l’autonomia dell’istituzione. A dare il via libera è stata la task force contro l’antisemitismo, che ieri, lunedì 14 aprile, ha rilasciato un comunicato in cui annuncia il congelamento di 2,2 miliardi di dollari in sovvenzioni pluriennali e di 60 milioni di dollari in contratti pluriennali con l’Università. A scatenare le frizioni è stata anche la richiesta di istituire una commissione esterna in linea con le politiche federali per «indagare» su tutti gli «atti di antisemitismo» verificatisi nell’istituto dal 7 ottobre 2023 a oggi, con la quale il rettore avrebbe dovuto collaborare fornendo informazioni personali sugli individui accusati. Tra le richieste, anche quella di rafforzare la governance di ateneo, centralizzandone i poteri, rispettando le linee governative e riducendo lo spazio di manovra a studenti, docenti e dipartimenti.

La richiesta di cambiare le politiche di ateneo è pervenuta al rettore dell’Università, Alan Michael Garber, lo scorso 11 aprile. Nella lettera, inoltrata dal Dipartimento dell’Istruzione, l’amministrazione statunitense avanza diverse richieste all’ateneo, minacciando di tagliare i finanziamenti federali. La prima è quella di attuare riforme alla governance e alla leadership dell’Università, nell’ottica di una forte centralizzazione. Il governo statunitense chiede ad Harvard di ridurre il potere di docenti di ruolo e non, studenti, facoltà, e ricercatori impegnati in cause attiviste, contrastando il decentramento dell’istituzione a favore dell’applicazione delle «modifiche indicate nella presente lettera», che si collocano in piena continuità con le politiche federali. Tra di esse, infatti, viene inclusa la cancellazione dei programmi di diversità e inclusione in ogni forma, anche per quanto riguarda le limitazioni al linguaggio d’odio.

A tal proposito, il Dipartimento dell’Istruzione chiede di attuare riforme delle ammissioni e delle assunzioni basate sul merito, «dimostrandole attraverso cambiamenti strutturali e del personale». Tutti i dati relativi alle assunzioni e alle ammissioni, si legge nella lettera, «saranno condivisi con il governo federale e sottoposti a un audit completo da parte del governo federale durante il periodo di attuazione delle riforme, che durerà almeno fino alla fine del 2028». Stesso destino per le procedure di ammissione degli studenti internazionali. Il Dipartimento impone infine ad Harvard un drastico cambio nelle politiche studentesche, che va dal rafforzamento dei poteri della polizia d’ateneo e dall’eliminazione dei suoi vincoli operativi per consentirle di agire con maggiore prontezza, al monitoraggio dei gruppi studenteschi, fino al bando e all’espulsione di sigle e studenti coinvolti nelle mobilitazioni a favore dei diritti dei palestinesi. A tal proposito, avanza all’Università la richiesta di collaborare con una commissione esterna approvata dal governo per denunciare i casi di «antisemitismo», che verrebbero valutati dalla commissione stessa.

Le richieste dell’amministrazione Trump sono semplici: eliminare ogni forma di dissenso interno all’Università, adottare una profonda ristrutturazione dell’ateneo in linea con le politiche federali e ridurre l’autonomia dell’istituto, ponendolo sotto costante controllo da parte del governo. Il tutto, prendendo specificamente di mira le politiche di inclusione e l’attivismo per la Palestina. La risposta di Harvard è stata chiara: «L’Università non rinuncerà alla propria indipendenza né rinuncerà ai propri diritti costituzionali». Dopo aver ribadito il proprio impegno contro ogni forma di discriminazione, Harvard ha ricordato che non c’è alcun bisogno di implementare le misure contro l’antisemitismo, già revisionate l’anno scorso. Ha poi affermato che le richieste del governo si collocano in aperta violazione del Primo Emendamento degli USA, quello sulle libertà di cui la federazione si fa garante, tra cui, «come riconosciuto dalla Corte Suprema», l’autonomia delle università dal governo. Harvard, si legge nella lettera, «rimane aperta al dialogo su ciò che l’Università ha fatto e intende fare per migliorare l’esperienza di ogni membro della sua comunità». Tuttavia, continua, «non è disposta ad accettare richieste che vadano oltre l’autorità legittima di questa o di qualsiasi altra amministrazione».

L’attacco all’Università di Harvard non è il primo che viene lanciato dall’amministrazione Trump. Recentemente, il governo ha infatti tagliato i fondi anche alla Columbia University, giustificandolo con l’accusa rivolta all’Università di non aver contrastato adeguatamente episodi di antisemitismo all’interno del campus. Per tale motivo, è stato anche ordinato l’arresto di uno studente Mahmoud Khalil, identificato come il leader del movimento studentesco a sostegno della Palestina.

Piacenza, rivolta in carcere: 9 detenuti denunciati

0

Stamane si è verificata una rivolta nel carcere di Piacenza. Il caos è scoppiato dopo che un detenuto è stato posto in isolamento in seguito ad alcuni comportamenti giudicati scorretti dalla penitenziaria. Un gruppo di detenuti ha dato fuoco a materassi e suppellettili di alcune celle, per poi barricarsi all’interno di una sezione. Sono intervenuti anche vigili del fuoco e 118. Nove detenuti sono stati denunciati. La situazione nell’istituto è da tempo critica: lo scorso anno si sono contati 98 scioperi della fame, 52 casi di abusi di farmaci e alcol, 31 risse e 150 episodi di aggressioni (verbali, minacce e oltraggi) nei confronti degli agenti.

Completata la mappa genetica dei primati: aiuterà a comprendere meglio l’evoluzione

1

Per la prima volta nella storia, i genomi completi delle grandi scimmie sono stati letti da un’estremità all’altra senza errori né interruzioni significative. A rivelarlo è un nuovo studio condotto da un consorzio internazionale di ben 160 ricercatori – tra cui italiani dell’Università degli Studi di Bari Aldo Moro – sottoposto a revisione paritaria e pubblicato sulla rivista scientifica Nature. Utilizzando tecnologie di sequenziamento a lettura lunga e nuovi algoritmi, gli scienziati sono riusciti a mappare integralmente il DNA di scimpanzé, bonobo, gorilla, oranghi e siamango, raggiungendo un’accuratezza mai vista prima: meno di un errore ogni milione di basi. Si tratta di una precisione che ha permesso di rivelare migliaia di geni e regioni del DNA mai annotate, spiegano i ricercatori, i quali aggiungono che i nuovi dati offrono uno sguardo inedito sull’evoluzione umana e sulle differenze genetiche tra le specie e forniscono le basi scientifiche per la salvaguardia di quelle a rischio.

Fino a oggi, le mappe genetiche delle grandi scimmie erano incomplete e frammentate, soprattutto nelle regioni più complesse del DNA come i centromeri – le zone che mantengono unite le due metà di un cromosoma – e le aree acrocentriche, ovvero le porzioni terminali di alcuni cromosomi, spesso ricche di ripetizioni, difficili da analizzare e rimaste a lungo inaccessibili a causa di limiti tecnologici e algoritmici. Il primo sequenziamento completo del genoma umano avvenuto nel 2001, spiegano gli autori, aveva mostrato l’enorme potenziale di queste analisi, ma decodificare interamente i genomi delle altre scimmie antropomorfe è rimasto un obiettivo irraggiungibile fino all’avvento delle tecnologie di nuova generazione, sfruttate appunto nel recente studio: i ricercatori hanno utilizzato sequenze a lettura lunga per assemblare i genomi da un’estremità all’altra dei cromosomi, senza lacune. Le sequenze così ottenute sono state confrontate tra sette specie – tra cui l’uomo – portando alla scoperta di nuove famiglie di geni, molte delle quali specifiche di una sola specie. Inoltre, gli scienziati hanno identificato regioni del DNA non canonico, strutture insolite diverse dalla classica doppia elica, potenzialmente implicate in malattie come il cancro.

In particolare, sono state identificate oltre 3.000 nuove regioni del DNA che si sono evolute rapidamente lungo la linea umana contenenti molti geni importanti per lo sviluppo cerebrale e la vocalizzazione, migliaia di geni e varianti di splicing mai annotati prima, tra cui alcuni implicati nell’evoluzione del cervello umano, la mappatura completa di regioni cruciali come i centromeri e le regioni acrocentriche, per la prima volta accessibili senza errori, l’identificazione di 143 porzioni dei genomi e la precisa datazione delle divergenze evolutive: «umano e scimpanzé si sono separati tra 5,5 e 6,3 milioni di anni fa. Per la prima volta, il sequenziamento completo dei genomi delle grandi scimmie ha permesso di esplorare le regioni più misteriose e dinamiche del nostro DNA, rivelando geni fondamentali per l’evoluzione umana», spiegano gli autori. Per quanto riguarda il gruppo italiano, i ricercatori hanno giocato un ruolo centrale nello studio delle duplicazioni segmentali – tratti di DNA copiati più volte all’interno del genoma, che possono generare innovazioni genetiche ma anche aumentare il rischio di malattie – e delle variazioni strutturali tra le specie, aree chiave per comprendere l’albero evolutivo dei primati. «Disporre di genomi completi ci consente di esplorare regioni del DNA finora inaccessibili, quelle più complesse, ripetitive, e quelle coinvolte nei processi regolatori, nello sviluppo del cervello o nelle risposte immunitarie. Questo studio pone le basi per una nuova era nella genomica comparativa e nella medicina evolutiva. I dati che abbiamo generato serviranno per decenni, aprendo strade promettenti nello studio delle malattie genetiche, del funzionamento del sistema immunitario e dei meccanismi cerebrali più profondi», ha concluso il professor Mario Ventura, ricercatore dell’Università degli Studi di Bari Aldo Moro.

L’Italia ha già pagato oltre 300 milioni in multe per i veleni nella Terra dei Fuochi

2

Un fiume di soldi pubblici sprecato, mentre i cittadini della Terra dei Fuochi continuano a convivere con discariche abusive, tumori e veleni nascosti sotto terra. Dal 2015 a oggi, l’Italia ha già pagato oltre 325 milioni di euro in multe all’Unione europea per non aver bonificato adeguatamente questo martoriato territorio, compreso tra Napoli e Caserta. La cifra è stata confermata dall’esecutivo UE in risposta a un’interrogazione presentata dal M5S. Il conto, peraltro, continua a salire al ritmo di 80mila euro al giorno. Nonostante i fondi europei siano disponibili, le istituzioni italiane hanno infatti preferito non investire seriamente nel risanamento ambientale, scegliendo invece di pagare le sanzioni. Una doppia sconfitta: politica e ambientale.

La cifra monstre di 325,76 milioni di euro, indicata dalla commissaria europea per l’Ambiente Jessica Roswall, è il risultato di un decennio di inadempienze da parte dell’Italia. Tutto ebbe inizio nel 2015, quando la Corte di giustizia dell’Unione europea impose al nostro Paese il pagamento di una multa giornaliera di 120mila euro per la mancata realizzazione delle infrastrutture necessarie al trattamento dei rifiuti urbani in Campania. Una sanzione che, seppur ridotta a 80mila euro giornalieri nel 2021 grazie a piccoli progressi nella capacità di incenerimento, continua ancora oggi a gravare sulle casse dello Stato.

La situazione nella Terra dei Fuochi, tra le province di Napoli e Caserta, rimane drammatica: discariche abusive, incendi dolosi, smaltimento illegale di rifiuti e suolo contaminato continuano a minacciare gravemente la salute delle comunità locali. Il paradosso, sottolineato dagli eurodeputati del Movimento 5 Stelle che hanno presentato l’interrogazione parlamentare alla Commissione europea, è che i fondi per bonificare il territorio ci sono. Il Fondo europeo di sviluppo regionale (Fesr), infatti, prevede investimenti per la decontaminazione e il ripristino dei siti industriali inquinati, comprese le discariche illegali. Nel Programma regionale Campania 2021-2027, sono stati stanziati circa 35 milioni di euro per interventi di bonifica e tutela ambientale. Ma l’Italia, come denuncia l’europarlamentare Danilo Della Valle, «non li ha mai utilizzati con serietà», preferendo pagare sanzioni anziché salvare vite e territori. Una situazione resa ancora più allarmante dal rischio concreto che, con il piano di riarmo varato dalla Commissione UE e approvato da Consiglio Europeo ed Eurocamera, vengano ridotti i fondi di coesione destinati proprio a bonifiche e progetti di risanamento ambientale.

Nel frattempo, lo scorso gennaio, La Corte europea dei diritti dell’uomo (CEDU) ha pronunciato una sentenza storica contro l’Italia, riconoscendo la responsabilità dello Stato nella gestione del disastro ambientale della Terra dei Fuochi. La Corte ha infatti stabilito che l’Italia ha violato gli obblighi di protezione della popolazione locale, non adottando misure adeguate contro l’inquinamento da rifiuti tossici che ha compromesso la salute di milioni di cittadini. I giudici hanno evidenziato che le autorità erano consapevoli dello smaltimento illegale di rifiuti, spesso orchestrato da gruppi di criminalità organizzata, ma non sono intervenute con la necessaria tempestività. Sulla base di quanto scritto nel verdetto, emesso in via definitiva, il nostro Paese ha due anni per adottare misure concrete: elaborare un piano efficace contro l’inquinamento, implementare controlli autonomi e rendere accessibili ai cittadini le informazioni sui rischi ambientali e sanitari.

Singapore scioglie il parlamento: elezioni il 3 maggio

0

Il presidente di Singapore, Tharman Shanmugaratnam, ha sciolto il Parlamento su consiglio del primo ministro Lawrence Wong. La decisione è arrivata oggi pomeriggio, martedì 15 aprile, ed è stata seguita da una dichiarazione del Dipartimento elettorale che ha annunciato che le prossime elezioni si terranno il 3 maggio. Il governo, invece, dovrebbe decadere il 23 aprile. Le elezioni arriveranno così in anticipo rispetto a quanto previsto, e, secondo diversi analisti, dovrebbero venire vinte dal Partito d’Azione Popolare dello stesso Wong, al potere sin dalla dichiarazione di indipendenza del Paese nel 1965.