mercoledì 5 Novembre 2025
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I portuali marocchini boicottano l’invio di armi a Israele in solidarietà con la Palestina

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In un atto di solidarietà con il popolo palestinese, i portuali marocchini hanno rifiutato di operare su una nave della ditta di trasporto danese Maersk sospettata di trasportare componenti destinati agli aerei da guerra F-35. Quando la nave è arrivata al porto di Tangeri Med, i lavoratori si sono rifiutati di avviare le gru e di fornire i servizi portuali essenziali alla nave Nexoe Maersk. La protesta è arrivata dopo giorni di analoghe manifestazioni che hanno coinvolto cittadini e portuali di diverse città marocchine. Il boicottaggio è stato promosso da tre sindacati dei lavoratori portuali marocchini per protestare contro la normalizzazione dei rapporti tra il governo del Paese e Israele.

Il boicottaggio della nave Maersk nel porto di Tangeri Med è avvenuto domenica 20 aprile. Secondo un’inchiesta di Declassified UK e The Ditch, che hanno visionato documenti in esclusiva, la nave trasporterebbe «silenziosamente» componenti di F-35 verso Israele. I dati indicherebbero che le merci proverrebbero dallo stabilimento 4 dell’aeronautica militare statunitense di Fort Worth e sarebbero state caricate a Houston a bordo di due navi portacontainer Maersk, Nexoe Maersk e Maersk Detroit. I documenti indicherebbero l’arrivo del carico in due distinte date: una passata, il 5 aprile, e una sempre più vicina, il 1° maggio. Le navi dovrebbero portare i materiali ad Haifa, da dove verrebbero poi trasportati da un’altra società verso la base aerea di Nevatim, nel deserto del Negev, sede della flotta di F-35 dell’aviazione israeliana.

La nave Nexoe Maersk è in viaggio da settimane, e ha incontrato proteste durante l’attracco nei porti lungo la costa atlantica americana e nel Mediterraneo sotto la giurisdizione marocchina. A lanciare la mobilitazione in Marocco sono stati tre sindacati portuali del Paese, tra cui l’Unione dei Portuali marocchini, che in una dichiarazione condivisa da The New Arab ha denunciato senza mezzi termini che «chiunque faciliti il ​​passaggio di questa nave è, senza dubbio, un complice diretto della guerra genocida contro il popolo palestinese», chiedendo alle autorità bloccarne l’arrivo. I cittadini e i lavoratori marocchini si sono così sollevati a Rabat, Tangeri e Casablanca, e il 18 aprile, in occasione dell’arrivo di Nexoe Maersk nel porto di quest’ultima città, hanno provato a fermarne l’attracco. La protesta si è tenuta per le strade di Casablanca e la polizia ha chiuso l’accesso al porto, scontrandosi con i manifestanti. All’arrivo della nave a Tangeri Med, il porto è stato raggiunto da oltre 1.500 persone e la nave è stata respinta da 18 dei 20 addetti al controllo remoto delle gru. Al cambio di turno, altri 27 dei 30 addetti previsti si sono aggiunti alla protesta, bloccando i lavori sull’imbarcazione.

Le proteste contro la nave di Maersk fanno parte della campagna “Mask off Maersk” e del più ampio movimento di boicottaggio contro l’invio di armamenti – tra cui proprio componenti di F-35 – a Israele. Diversi rapporti provano infatti come le forze armate israeliane abbiano usato gli F-35 per attaccare Gaza. Tra gli episodi più noti c’è quello del luglio 2024, quando un F-35 è stato utilizzato per bombardare la “zona sicura” di Al-Mawasi, a Khan Younis, uccidendo 90 palestinesi. Per tale motivo, Oltre 230 organizzazioni, tra cui Amnesty International, hanno chiesto con una lettera congiunta ai governi coinvolti nel programma Joint Strike Fighter di interrompere immediatamente il trasferimento di armi a Israele, inclusi proprio i caccia F-35. Il programma Joint Strike Fighter è sottoscritto solo da Stati firmatari del Trattato sul commercio di armi (ATT), che prevede l’interruzione del commercio diretto e indiretto di attrezzature e tecnologie militari, comprese parti e componenti, «qualora vi sia il rischio concreto che tali attrezzature e tecnologie possano essere utilizzate per commettere o facilitare una grave violazione del diritto umanitario internazionale o del diritto internazionale dei diritti umani».

Dazi, altri 12 Stati USA fanno causa a Trump

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Dopo l’annuncio della California, altri 12 Stati degli USA hanno deciso di fare causa all’amministrazione Trump contro la scelta di imporre dazi su tutto il mondo. Gli Stati coinvolti sono Arizona, Colorado, Connecticut, Delaware, Illinois, Maine, Minnesota, Nevada, New Mexico, New York, Oregon e Vermont. Guidati dal governatore di New York, essi accusano Trump di aver fatto un uso illegittimo dell’International Emergency Economic Powers Act nell’imporre le tariffe a vari Paesi del mondo, esattamente come fatto dal governatore californiano Gavin Newsom.

Tiratori scelti sui tetti e bazooka antidrone: Roma militarizzata per i funerali del papa

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Roma si blinda in vista dei funerali di Papa Francesco. Tra strade chiuse al traffico e massicci controlli di sicurezza, la Capitale si prepara ad accogliere molti tra i più importanti leader mondiali e almeno 200mila pellegrini. Per le esequie del Pontefice, l’allerta è massima: le autorità hanno previsto anche l’impiego di bazooka antidrone, controlli di sicurezza in 3D e il posizionamento di tiratori scelti sui tetti dei Palazzi. Nei cinque giorni di lutto indetti dal governo per la morte del Pontefice c’è anche il 25 aprile, in cui si terrà l’80esimo anniversario della Liberazione. Mentre il governo ha invitato i manifestanti a festeggiare «con sobrietà», gli eventi sono ad oggi confermati. L’attenzione si focalizza sull’area di Porta San Paolo, dove nella mattina di venerdì un presidio pro-Palestina si terrà in concomitanza con una cerimonia della comunità ebraica.

Le prime chiusure inizieranno nella notte tra giovedì 24 e venerdì 25 aprile nel quartiere Parioli, in cui si trova Villa Taverna, la residenza dell’ambasciatore statunitense, e dove si attende l’arrivo del presidente USA Donald Trump. Intorno alla struttura di viale Rossini verrà delineata un’area di sicurezza, con chiusure previste anche in via Antonio Bertoloni, via Ulisse Aldovrandi, via delle Tre Madonne e via Paisiello. Ogni spostamento del corteo presidenziale americano sarà monitorati, così come quelli degli altri leader stranieri che approderanno a Roma. Per i funerali di Papa Francesco è stata inoltre segnata in rosso la zona che si estende da piazza Risorgimento alla nuova piazza Pia, comprendendo San Pietro e tutta via della Conciliazione, che porta al Vaticano. «Quelli che stiamo approntando sono piani di sicurezza che includono l’impegno di migliaia di operatori di tutte le forze dell’ordine ma anche di volontari – ha dichiarato Roberto Massucci a margine del comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza pubblica tenutosi in Prefettura -. L’arrivo di alcune personalità ad altissimo livello e la traslazione delle spoglie di papa Francesco dal Vaticano a Santa Maria Maggiore verranno attenzionate ai massimi livelli».

Massiccio il piano sicurezza previsto per sabato, giorno dei funerali: l’area di piazza San Pietro vedrà l’utilizzo di droni per visionare immagini in 3D dall’alto e la presenza di tiratori scelti sui tetti. All’opera anche artificieri, unità cinofile e polizia fluviale per monitorare l’area del Tevere e squadre speciali dei vigili del fuoco per la gestione di possibili minacce nucleari, biologiche, chimiche e radiologiche. Se l’ingresso in Piazza San Pietro sarà permesso solo dopo aver superato i metal detector, saranno usati anche sistemi anti-drone, con l’obiettivo di individuare e neutralizzare eventuali apparecchi non autorizzati. Previste bonifiche preventive anche nel sottosuolo.

Ad oggi risultano confermati gli eventi previsti per il 25 aprile. Negli scorsi giorni, il governo ha però invitato a «svolgere tutte le manifestazioni pubbliche in modo sobrio e consono alla circostanza» nei giorni di lutto nazionale. Inclusa, dunque, la festa della Liberazione dal fascismo del 25 aprile, che celebra quest’anno il suo 80° anniversario. La decisione è stata confermata da una dichiarazione del ministro per la Protezione civile Nello Musumeci, che ha dichiarato che le cerimonie saranno consentite «con la sobrietà che la circostanza impone a ciascuno». La decisione ha immediatamente scatenato un’ondata di critiche da parte delle opposizioni politiche e civili, con il presidente dell’ANED (Associazione Nazionale Ex Deportati) che ha definito «scandalosa» la decisione del governo, affermando che in questo modo «si strumentalizza un lutto vero».

Gli occhi sono puntati in particolare sull’area di Porta San Paolo, dove nella mattinata di venerdì, in concomitanza con la deposizione di una corona da parte di membri delle comunità ebraiche, avrà luogo un presidio organizzato da gruppi palestinesi. «Porta San Paolo è dei partigiani, non dei complici del genocidio – ha scritto il Movimento giovani palestinesi in una nota -. Denunciamo la grave responsabilità dell’ANPI Nazionale di aver abbandonato la difesa di Porta San Paolo, lasciando che un luogo simbolo venisse usurpato da chi oggi rappresenta un nuovo fascismo». Nello stesso luogo, l’anno scorso la Brigata Ebraica aveva scagliato bombe carta contro i manifestanti pro-pal. Il Viminale ha già predisposto un’unità di uomini in tenuta antisommossa.

Ucraina: no di Zelensky alla cessione della Crimea, salta il vertice per la pace

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Il vertice di Londra per la pace in Ucraina, a cui avrebbero dovuto partecipare diversi ministri degli Esteri e il segretario di Stato USA Marco Rubio, è stato rinviato. A far saltare i colloqui è stato l’improvviso ritiro di Rubio per non meglio precisate questioni logistiche, arrivato subito dopo l’annunciato rifiuto da parte di Zelensky di cedere la Crimea alla Russia. Gli incontri, previsti per ieri, mercoledì 23 aprile, si sono tenuti comunque tra delegati minori, ma di fatto non hanno portato a nulla. Sul piatto c’era la presunta proposta di pace di Trump, esposta dai media statunitensi, che tra le varie cose prevederebbe il riconoscimento della Crimea come territorio russo da parte degli USA. Dopo il netto rifiuto di Zelensky, Trump ha pubblicato un post sul proprio social Truth in cui definisce le posizioni del presidente ucraino «molto dannose per i negoziati di pace con la Russia». La Crimea, scrive Trump, «è stata persa anni fa, e non è oggetto di discussione. Nessuno sta chiedendo a Zelensky di riconoscere la Crimea come territorio russo. Le sue dichiarazioni rendono difficile risolvere questa guerra».

Gli incontri di Londra dovevano vedere la partecipazione di Rubio, degli inviati statunitensi Steve Witkoff e Keith Kellogg, e dei ministri degli esteri di Ucraina, Regno Unito, Francia e Germania. Dopo il ritiro di Rubio, anche Francia e Germania hanno deciso di non partecipare all’incontro con i loro rappresentanti più importanti. Il ministro degli Esteri ucraino ha comunque incontrato il suo omologo britannico, David Lammy, assieme a funzionari minori di Germania e Francia, e ha poi tenuto un colloquio con Kellogg in un bilaterale separato. Al termine degli incontri, le delegazioni europee hanno rilasciato un comunicato in cui reiterano il loro sostegno all’Ucraina.

Lo scopo degli incontri di Londra era quello di proseguire i colloqui di pace di Parigi della scorsa settimana. In occasione del vertice all’Eliseo, erano presenti delegati tedeschi, britannici e ucraini, nonché Rubio, Witkoff e Kellogg. Le prime frizioni si sono registrate subito dopo il vertice parigino, quando Rubio ha tenuto una conferenza stampa in cui ha spiegato che gli Stati Uniti hanno intenzione di chiudere la questione ucraina in tempi rapidi. «La guerra in Ucraina è una cosa terribile, ma non è la nostra guerra», ha detto Rubio. Va capito «molto presto – e parlo di giorni, non di settimane – se questa guerra può essere risolta o meno», ha aggiunto. «Se così fosse, siamo pronti a fare tutto il possibile per facilitarla e assicurarci che finisca in modo duraturo e giusto». Se invece così non fosse, «penso che il Presidente sia arrivato al punto in cui dirà: “beh, abbiamo finito”».

Il vertice di Parigi, insomma, si era concluso con una sorta di ultimatum da parte degli USA: o si trova presto un accordo, o Washington si tira fuori. In occasione degli incontri, sembra che la delegazione statunitense abbia presentato una proposta di pace che, nei giorni successivi, sarebbe stata visionata da Axios. Il documento sarebbe lungo una sola pagina e diviso per punti. Esso prevederebbe: il riconoscimento de jure da parte degli Stati Uniti del controllo russo in Crimea; il riconoscimento de facto dell’occupazione russa di quasi tutta la regione di Luhansk e delle aree occupate di Donetsk, Kherson e Zaporizhia; la promessa che l’Ucraina non diventerà membro della NATO; la possibilità per l’Ucraina di entrare a far parte dell’Unione Europea; la revoca delle sanzioni imposte dal 2014. In cambio, l’Ucraina otterrebbe «una solida garanzia di sicurezza» che coinvolge un gruppo di Paesi europei mediante una poco delineata operazione di peacekeeping; la restituzione della porzione dell’oblast di Kharkiv occupata dalla Russia; il libero passaggio del fiume Dnepr; risarcimenti e assistenza per la ricostruzione.

Dopo la pubblicazione della sintesi del documento da parte di Axios, Zelensky è comparso in conferenza stampa e ha annunciato il suo secco no al riconoscimento della Crimea. «Non c’è nulla di cui parlare: è la nostra terra, la terra del popolo ucraino». Trump ha dunque risposto citando le dichiarazioni di Zelensky e affermando che il riconoscimento della Crimea da parte dell’Ucraina non fosse oggetto di discussione. «Nessuno chiede a Zelensky di riconoscere la Crimea come territorio russo», ha spiegato Trump, ma oggi l’isola «ospita le principali basi sottomarine russe». Rifiutarsi di accettarlo è, per Trump, un ostacolo alla pace. Alle dichiarazioni del presidente USA sono seguite quelle della sua portavoce Karoline Leavitt, che, intercettata dai giornalisti, ha dichiarato che «Per raggiungere un buon accordo, entrambe le parti devono andarsene un po’ insoddisfatte. E sfortunatamente, il presidente Zelensky ha cercato di contestare questo negoziato di pace sulla stampa». Subito dopo è arrivato il ritiro di Rubio dai negoziati. Malgrado le dichiarazioni di Trump e l’assenza del segretario di Stato USA agli incontri di Londra, non sembra ancora essersi registrato uno strappo netto, come nel caso dell’incontro tra Trump, Vance e Zelensky presso lo Studio Ovale dello scorso febbraio, e Rubio ha detto di avere ancora intenzione di volare a Londra quando la sua agenda glielo permetterà.

Gaza, raid israeliani senza sosta: decine di morti

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Non si fermano i bombardamenti israeliani nella Striscia di Gaza, che durante la notte hanno ucciso almeno 13 persone in tutta l’enclave. Tra le vittime anche tre bambini in un attacco a una tenda vicino a Nuseirat, nella Striscia centrale, e sei palestinesi, tra cui una donna e quattro bambini, in un raid contro un’abitazione nel quartiere Sheikh Radwan della città di Gaza. In tutto, secondo quanto riferito da fonti mediche all’emittente Al Jazeera, nella sola giornata di ieri si sono contati a Gaza almeno 45 morti e più di 100 ferite.

Le Università americane si schierano con Harvard contro la repressione del governo

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Oltre 260 rettori di università e college statunitensi hanno rilasciato una dichiarazione congiunta in cui si schierano apertamente contro «l’ingerenza governativa e l’interferenza politica che stanno mettendo a repentaglio l’istruzione superiore americana». La lettera arriva dopo la decisione dell’amministrazione Trump di congelare i finanziamenti per la ricerca all’Università di Harvard per essersi rifiutata di soddisfare le richieste avanzate da Trump, che chiedeva di adeguare le politiche interne all'ateneo alle linee governative. Tra le firme si contano sette delle otto università della c...

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India: chiuso un confine con il Pakistan e cacciati diplomatici

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L’India ha annunciato una serie di misure per allentare i suoi legami con il Pakistan, accusando il Paese di sostenere i ribelli a cui ha attribuito gli attacchi di ieri nel Kashmir, in seguito a cui sono state uccise 26 persone. L’India, di preciso, attribuisce l’attentato ai gruppi separatisti della regione, che il Pakistan ha sempre negato di sostenere attivamente. In seguito alle accuse, i consiglieri della Difesa dell’Alto Commissariato pakistano a Nuova Delhi sono stati dichiarati persone non grate e sono stati invitati ad andarsene. Inoltre uno dei più importanti punti di confine con il Pakistan è stato chiuso ai pakistani dotati di visto speciale.

La Commissione modifica il bilancio dell’UE per sostenere il riarmo

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Nel contesto del piano di riarmo intrapreso dalla Commissione europea, giustificato con la necessità di difendere il Continente europeo dalla percepita minaccia russa e volto a compensare la perdita dell’ombrello statunitense in materia di sicurezza, i vertici di Bruxelles hanno proposto ieri di modificare il bilancio comunitario per sostenere l’aumento delle spese nel settore bellico. Nello specifico, è stato proposto un nuovo regolamento relativo al bilancio dell’UE, teso a stimolare e semplificare gli investimenti nell’ambito della difesa, con l’obiettivo di rafforzare la preparazione militare per il 2030 e attuare il piano ReArm Europe. “Le modifiche proposte miglioreranno la capacità dell’UE e degli Stati membri di sviluppare, ampliare e innovare le principali capacità di difesa, semplificando nel contempo l’accesso ai fondi dell’UE per i progetti nel settore della difesa”, si legge sul sito della Commissione. L’insieme delle modifiche proposte sono pensate per completare il pacchetto omnibus di semplificazione della difesa, che la Commissione presenterà nel giugno 2025 e “Semplificherà ulteriormente i regolamenti e i processi dell’UE per consentire investimenti e cooperazione più rapidi ed efficienti nel settore della difesa in tutti gli Stati membri”.

Il nuovo regolamento introdurrebbe un’ulteriore flessibilità nell’utilizzo dei finanziamenti dell’UE: in particolare, la cosiddetta “clausola di sbarco” consentirebbe agli Stati membri, su base volontaria, di trasferire le risorse loro assegnate nell’ambito dei fondi della politica di coesione al Fondo europeo per la Difesa (FED) e alla legge a sostegno della produzione di munizioni (programma ASAP). Quest’ultimo si propone di incrementare la capacità di produzione di munizioni in tutta Europa e, con ciò, aiutare gli Stati membri a rifornire le proprie scorte e a fornire munizioni all’Ucraina. L’ASAP è stato prorogato fino al 31 dicembre 2026. Le modifiche proposte dovrebbero anche ampliare alcuni programmi, tra cui quello relativo alla Piattaforma per le tecnologie strategiche per l’Europa (STEP) e il Programma Europa digitale (DEP). Relativamente al primo, le modifiche serviranno a includere nel programma le tecnologie e i prodotti per la difesa, in particolare quelli identificati come capacità prioritarie nel recente Libro bianco sulla preparazione 2030 in materia di difesa europea. STEP garantirebbe così lo sviluppo di tecnologie all’avanguardia essenziali per la preparazione dell’UE in materia di difesa. Il programma Europa digitale, invece, sarà ampliato per includere le applicazioni a duplice uso, civile e militare, garantendo lo sviluppo e la gestione delle Giga fabbriche di IA. Come si legge nel comunicato stampa della Commissione, “queste fabbriche sono vitali per aumentare la produzione di tecnologie avanzate con capacità a duplice uso che sono rilevanti sia per il settore civile che per quello della difesa”.

Infine, è previsto che il sostegno alla mobilità militare e alle infrastrutture digitali a duplice uso sarà rafforzato mediante modifiche al meccanismo per collegare l’Europa (MCE). Secondo la Commissione, ciò “creerà condizioni più favorevoli affinché gli Stati membri trasferiscano i fondi di coesione all’MCE per progetti di infrastrutture di trasporto a duplice uso. In secondo luogo, amplierà il programma digitale dell’MCE per sostenere le capacità digitali a duplice uso, come il cloud, l’intelligenza artificiale e i sistemi 5G, tra gli altri”.

Ad annunciare battaglia contro la proposta per modificare il bilancio comunitario a favore di investimenti militari è stato il deputato europeo dei Cinque Stelle Danilo Della Valle, secondo il quale «la Commissione europea tira dritto nella sua testarda e ostinata escalation militare e approva un nuovo regolamento per facilitare gli investimenti nella difesa, uno stratagemma per scippare fondi europei ai territori più poveri e dirottarli verso l’industria delle armi». La modifica al bilancio UE per incentivare le spese nella difesa è l’ultimo atto di una politica sempre più ostile nei confronti della Russia e sempre più convinta della necessità di un riarmo dei Paesi dell’Ue, soprattutto da quando il presidente statunitense Donald Trump spinge per un aumento delle spese militari dei membri della NATO. Il tutto a scapito di altre voci della spesa pubblica e della ricerca di soluzioni diplomatiche nell’ambito del conflitto russo-ucraino.

USA, incendi nel New Jersey

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Da ieri sera il New Jersey è colpito da un grande incendio. Le fiamme sembrano essere iniziate a divampare dalla Greenwood Forest Wildlife Management Area, vicino a Barnegat Township. In totale, l’incendio interessa un’area di 8.500 acri (circa 34 chilometri quadrati). Circa 3.000 residenti sono stati evacuati e più di 1.300 strutture sono state minacciate dalle fiamme. Su richiesta del Forest Fire Service, è stata interrotta la fornitura di energia elettrica a circa 25.000 clienti della Jersey Central Power and Light Company, mentre le scuole superiori sono state adibite a rifugio per gli sfollati. È ancora ignoto cosa abbia causato l’incendio, che al momento risulta contenuto solo al 10%.

Negli allevamenti islandesi sono morti 1,2 milioni di salmoni in quattro mesi

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Tra novembre 2024 e febbraio 2025, quasi 1,2 milioni di salmoni sono morti negli allevamenti a rete aperta di Kaldvík, negli Eastfjords islandesi, trasformando un comparto in forte espansione in uno dei capitoli più neri dell’acquacoltura europea. L’Autorità islandese per la sicurezza alimentare e veterinaria (MAST) ha definito «gravi» le violazioni riscontrate e la polizia ha avviato un’inchiesta formale per negligenza, condizioni di trasporto estreme e acque di mare insufficientemente ossigenate. La portata del disastro ha scatenato un’ondata di indignazione e una battaglia legale storica per salvare il salmone selvatico dell’Atlantico del Nord.

La svolta è arrivata dopo le segnalazioni di operatori e attivisti, che hanno documentato reti stracolme e migliaia di cadaveri galleggianti. In pochi mesi, i tecnici di MAST hanno riscontrato sovraffollamento, mancanza di adeguate correnti d’acqua e gestione approssimativa dei trasporti: condizioni incompatibili con i parametri europei sul benessere animale. La polizia islandese ha quindi avviato un’indagine formale sulle presunte violazioni del benessere degli animali nell’allevamento di salmoni di Kaldvik a causa di presunte «gravi cattive manovre, difficili condizioni di trasporto e cattive condizioni dell’acqua del mare». Contestualmente, i proprietari dei fiumi islandesi, sostenuti dall’Icelandic Wildlife Fund e finanziati in parte dall’artista islandese Björk, hanno intentato una causa senza precedenti contro Arctic Sea Farm e le stesse autorità nazionali. L’obiettivo primario è quello di annullare le autorizzazioni per gli allevamenti a rete aperta nei fiordi di Patreksfjörður e Tálknafjörður, impedendo «l’ulteriore distruzione ambientale e la contaminazione genetica delle popolazioni di salmone selvatico islandesi».

La preoccupazione più grave riguarda le fughe di massa: migliaia di salmoni d’allevamento già nel 2023 erano finiti nei fiumi, mescolandosi con le popolazioni selvatiche. Gli incroci forzati minacciano di cancellare migliaia di anni di adattamento locale, aggravando il declino del salmone atlantico del Nord, oggi al 25% dei livelli del 1970 a causa del cambiamento climatico e dell’acidificazione degli oceani. L’acquacoltura intensiva rischia così di trasformare specie preziose in semplici ibridi fragili. Il malcontento non è solo legale, ma anche sociale: un sondaggio Gallup Islanda di settembre 2024 indica che il 65,4% degli islandesi è contrario all’allevamento in reti aperte e il 59,5% vorrebbe il suo completo divieto. Nell’ultimo anno, oltre quattro milioni di pesci hanno perso la vita negli impianti a rete aperta, 72 volte il totale dei salmoni selvatici del paese. Il dissenso è trasversale, coinvolgendo tutti i partiti e le fasce demografiche.

Nel frattempo, continua la forte pressione pubblica contro gli allevamenti di salmone in reti aperte: oltre 4mila cittadini da tutto il mondo (542 dall’Italia) hanno inviato e-mail di protesta ai ministri islandesi dell’Industria e dell’Ambiente, chiedendo leggi più rigorose. All’estero, casi simili hanno portato colossi come Mowi a pagare 1,3 milioni di dollari per pratiche di marketing ingannevoli e grandi rivenditori USA a rimuovere etichette fuorvianti sulla «sostenibilità». Il Parlamento islandese discuterà entro l’anno un disegno di legge sull’acquacoltura. Spinta dalla mobilitazione civile e dal sostegno di ONG come l’Icelandic Wildlife Fund, la nuova normativa dovrebbe introdurre standard più stringenti: limiti di densità di carico, monitoraggio continuo della qualità dell’acqua e, in prospettiva, il passaggio a impianti a terra o in sistemi chiusi.