giovedì 3 Luglio 2025
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Il gas russo è tornato a scorrere in Slovacchia

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Il gas russo ha cominciato a fluire verso la Slovacchia attraverso il TurkStream. A dare la notizia è il quotidiano slovacco Dennik N, che ha citato il direttore generale della società operatrice del sistema di trasporto SPP, Vojtech Ferenc, l’amministratore delegato di Slovenský Plynárenský Priemysel (SPP), la principale azienda energetica slovacca. La notizia è stata ripresa anche dall’agenzia di stampa governativa russa TASS. Ferenc ha spiegato che i canali sono stati aperti il 1° febbraio e che prevede un raddoppio dei volumi a partire da aprile. Il contratto, siglato con la compagnia russa Gazprom, scade il 2034.

Fermare l’invasione eolica dell’Appennino marchigiano”: i comitati scrivono a tutti i sindaci

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Nella notte tra martedì 4 e mercoledì 5 febbraio, i comitati per la preservazione dell’Appennino umbro-marchigiano hanno trasmesso a tutti i Sindaci della Regione Marche, Presidenti del Consiglio, Gruppi Consiliari, alle Unioni montane, alle Province e alla Regione Marche, nonché al CAL (consiglio delle Autonomie Locali delle Marche) un ulteriore appello per fermare «l’invasione dell’eolico industriale nei crinali dell’Appennino umbro marchigiano». Nella lettera, la seconda negli ultimi mesi, gli attivisti marchigiani presentano tutte le richieste per progetti eolici pervenuti alla Regione e le loro problematicità, offrendo soluzioni e alternative contro la «speculazione». I comitati, di preciso, propongono di puntare maggiormente sulla creazione di comunità energetiche, e di arginare la proliferazione di impianti eolici attraverso appositi interventi normativi, come la designazione del versante appenninico umbro-marchigiano come “area non idonea”.

La Regione Marche è interessata direttamente e indirettamente da 21 progetti per la realizzazione di circa 188 pale eoliche alte fino a 200 metri. Di preciso, almeno 98 delle pale dovrebbero venire realizzate sui crinali dei monti nei Comuni marchigiani di Carpegna, Borgo Pace, Mercatello sul Metauro, Apecchio, Pergola, San Lorenzo in Campo (PU), Sassoferrato, Fabriano (AN), San Severino Marche, Serrapetrona, Caldarola, Camerino, Pieve Torina, Monte Cavallo e Serravalle di Chienti (MC). A queste se ne aggiungono altre 56 alte dai 180 ai 200 metri nella dorsale appenninica umbra (nei Comuni di Foligno, Trevi, Sellano, Valtopina, Nocera Umbra e Gualdo Tadino – PG), e altre 34 in quella toscana (Badia Tedalda, Sestino – AR), tutte al confine con le Marche. «Considerando che la lunghezza di tutti i confini regionali tra le Marche e le Regioni confinanti corrisponde a circa 288 Km», ci spiega un rappresentante dei comitati, «se volessimo azzardare una stima indicativa della distribuzione delle pale nel nostro territorio regionale, qualora tutti i progetti citati venissero approvati, nei crinali del nostro Appennino ci ritroveremo un aerogeneratore ogni 1,53 km».

Molti dei progetti, violerebbero uno dei principi fondamentali che sta alla base della loro stessa costruzione: quello di «non recare danno significativo all’ambiente» e al paesaggio. Gli impianti, ci spiega l’attivista, sono finanziati dai fondi stanziati dalle normative europee per la transizione verde. Quelle medesime normative, tuttavia, impongono che essi siano compatibili con il conseguimento degli obiettivi di mitigazione, adattamento e riduzione degli impatti e dei rischi ambientali: se le aziende propongono «interventi invasivi in aree fragili dal punto di vista idrogeologico, per giunta in una regione in cui gli eventi climatici sono sempre più estremi, come nel caso delle alluvioni del 2014 e del 2022», è evidente che i risultati finiscano per essere «distruttivi». Il “principio di mitigazione” è garantito infatti dalla presenza delle «stesse aree che verrebbero depauperate dalla realizzazione degli impianti».

Sulla stessa linea di paradosso, sottolinea il rappresentante, alcuni dei progetti finirebbero per violare il Piano paesaggistico ambientale regionale delle Marche e la stessa normativa europea che impone l’ampliamento delle aree protette terrestri fino a raggiungere il 30% del territorio nazionale. «Ciò comporta per la Regione Marche l’obbligo di raddoppiare la superficie protetta, che dovrà passare dall’attuale 18% circa ad almeno il 30% del territorio regionale», specifica l’attivista. Tra i progetti che finirebbero per remare contro la legge sul ripristino della natura, figura infatti il progetto eolico Industriale denominato “Monte Miesola”, in provincia di Ancona (nel crinale appenninico compreso tra i Comuni di Sassoferrato e Fabriano), che verrebbe collocato proprio in un’area candidata a diventare protetta sin dal 1989.

All’appello, i comitati allegano delle proposte che avevano precedentemente inviato alle amministrazioni marchigiane: in primo luogo propongono di rafforzare l’impianto normativo per tutelare l’area appenninica umbro-marchigiana, nominando il versante appenninico area non idonea, individuando nuove aree naturali protette e facendo «ampio ricorso delle fasce di rispetto che individuano le aree ricomprese nel perimetro dei beni sottoposti a tutela». La normativa italiana prevede infatti che le aree naturali, culturali, paesaggistiche, “che si distinguono per la loro non comune bellezza” vengano automaticamente considerate non idonee, e che non possano venire costruiti maxi-impianti come quelli previsti nei pressi di esse per un raggio compreso tra i 3 e i 7 km. La seconda proposta è quella di seguire l’analisi della coalizione TESS contro la speculazione energetica. Essa, fondandosi sui dati ufficiali dell’Ispra, individua una superficie compresa tra i «757 e 989 chilometri quadrati» di siti edificati su cui montare impianti fotovoltaici, che produrrebbero fra 70 e 92 GW di energia, tali da «coprire l’aumento di energia rinnovabile complessiva previsto dal PNIEC al 2030». Tutto questo è necessario, «perché gli impianti per la produzione di energia rinnovabile devono salvaguardare i suoli agricoli coltivabili, le aree verdi ricche di biodiversità e le montagne, che con il loro suolo vergine e i loro boschi sono fonte di quei servizi ecosistemici essenziali per la vita e per la lotta al cambiamento climatico».

[di Dario Lucisano]

Dopo mesi finisce l’odissea di Maysoon Majidi, attivista curda scambiata per scafista

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Dopo oltre un anno dal suo inizio, è finita con la piena assoluzione l’odissea giudiziaria di Maysoon Majidi. Attivista di origini curdo-iraniane, 28 anni, era stata arrestata il 31 dicembre 2023, giorno in cui sbarcò con altre 77 persone sulla costa di Crotone. Accusata di essere una scafista nonostante le poche e fragili prove a suo carico, il tribunale di Crotone aveva precedentemente disposto la sua liberazione alla luce delle dichiarazioni dei testimoni, che hanno fatto venire meno i pochi e contraddittori indizi di colpevolezza a suo carico. Dopo 302 giorni di carcere, può «tornare a vivere», come ha detto lei stessa a Serena Chiodo, coordinatrice campagne di Amnesty International Italia che ne ha seguito il caso. «Questa vicenda ha evidenziato ancora una volta le gravi lacune di un assetto normativo che mira a criminalizzare le persone migranti e le azioni di solidarietà, piuttosto che perseguire i veri trafficanti di esseri umani», ha commentato Chiodo.

Attivista politica, membro dell’ONG Hana e dell’associazione curda della diaspora, regista e reporter, Maysoon era arrivata in Italia a seguito della fuga dall’Iraq, Paese nel quale si era rifugiata dopo aver preso parte alla rivoluzione esplosa in Iran a seguito dell’uccisione di Mahsa Amini. Appena messo piede sul suolo italiano, Maysoon prova a sottrarsi alle autorità, per paura di essere rimpatriata in Iran, ma viene arrestata e portata in carcere con l’accusa di essere una degli scafisti complici del «traffico di esseri umani» dalla Turchia alle coste italiane. «Concorso in favoreggiamento dell’immigrazione irregolare» è, in particolare, l’accusa che le viene rivolta dalla pm Maria Rosaria Multari. Rigettando fermamente queste accuse, Maysoon aveva iniziato in cella uno sciopero della fame che l’ha portata a scendere ad appena 40 kg di peso. Tuttavia, dovrà trascorrere dieci mesi in carcere prima che le autorità si decidano a rilasciarla, il 22 ottobre dello scorso anno: le ripetute richieste (cinque) dell’avvocato difensore che le fossero assegnati gli arresti domiciliari con braccialetto elettronico sono puntualmente cadute nel vuoto.

Le accuse nei suoi confronti si sono basate sulle testimonianze di due persone presenti a bordo dell’imbarcazione sulla quale viaggiava Maysoon, che l’hanno identificata come parte dell’organizzazione di “scafisti” perchè distribuiva acqua e cibo tra i migranti. Resisi irreperibili per un certo periodo di tempo, i due testimoni sono stati successivamente rintracciati in Germania e hanno ritrattato la versione rilasciata alla magistratura, negando ogni complicità di Maysoon con la traversata. «Il fatto che avesse distribuito acqua e cibo durante la traversata è stato usato dal pm durante tutte le udienze, compresa l’arringa finale di ieri» spiega a L’Indipendente Filippo Sestito, presidente provinciale dell’ARCI, che ha seguito la vicenda di Maysoon sin dall’inizio. Molte udienze, spiega Sestito, sono girate intorno al fatto che l’accusa (che ha definito Maysoon «hostess» del viaggio) sosteneva che sul suo telefonino vi fossero chiamate e messaggi compromettenti, fatto poi rivelatosi non vero. «Noi eravamo convinti che sarebbe arrivata l’assoluzione, abbiamo seguito tutte le udienze e sapevamo che l’accusa non avrebbe retto».

Lo scorso 12 novembre era stato condannato per il reato di “scafismo” Ufuk Akturk, di 28 anni, accusato di aver guidato l’imbarcazione che ha condotto Maysoon e gli altri migranti fino alle coste italiane. Proprio lui aveva dato una svolta alle indagini, testimoniando in merito al non coinvolgimento di Maysoon con la traversata. L’accusa nei confronti di Ufuk, come sostiene l’organizzazione Free Mayson Majidi, è giunta per il solo fatto di aver condotto l’imbarcazione a destinazione, senza che l’uomo fosse coinvolto in alcun modo con l’organizzazione del viaggio – e senza che avesse ricevuto alcun compenso in denaro per averlo fatto, se non donazioni spontanee dai passeggeri in forma di ringraziamento. Come sottolineano gli attivisti, «chi si trova in situazioni economiche critiche come quelle di Ufuk accetta di guidare le imbarcazioni al posto di pagare le somme esorbitanti che questi viaggi costano». Tuttavia, «non hanno nessun ruolo nei complicati sistemi che speculano su questi viaggi, di cui sono complici i Paesi europei, in particolare con finanziamenti alle guardie costiere criminali», come quella libica o quella turca.

Alle 17 di ieri, dopo una breve sessione in camera di consiglio, i giudici hanno decretato la fine della vicenda per l’attivista curdo-iraniana, che può finalmente lasciarsi questa storia alle spalle. «Siamo felicissimi, e anche lei come noi tutti, perchè è potuta uscire da questa vicenda da donna libera» dichiara Sestito. Al momento, Maysoon si trova in un centro SAI (Sistema di Accoglienza Internazionale) in provincia di Reggio, in attesa della convalida della richiesta di asilo. Il suo desiderio, tuttavia, non è mai stato quello di rimanere in Italia, ma di riuscire ad arrivare in Germania – tanto da aver pagato per questo chi l’ha condotta fino in Italia.

Tuttavia, la storia di Maysoon non è l’unica di questo genere. La sua vicenda è infatti per molti versi simile a quella di Marjan Jamali, anch’essa accusata di favoreggiamento dell’immigrazione irregolare a seguito di testimonianze rilasciate da uomini iracheni – successivamente spariti – che si trovavano sull’imbarcazione con lei. Marjam, arrestata due giorni dopo lo sbarco a Roccella Jonica, lo scorso ottobre, era in fuga dalle violenze del suo compagno e del regime iraniano. Anche nei suoi confronti le prove sembrano essere deboli, ma sull’esito della vicenda non vi è ancora nessuna certezza.

[di Valeria Casolaro]

Erdogan riceve Al Jolani e mette la Siria sotto l’ala della Turchia

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Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan e il neo-presidente siriano Ahmed al-Sharaa, precedentemente conosciuto come Abu Mohammad al-Julani, si sono incontrati martedì nella capitale turca, Ankara, per discutere come rafforzare la partnership tra i due Paesi, specie per quanto riguarda la Difesa, i migranti e il commercio. Quello di al-Sharaa è il secondo viaggio internazionale da quando è stato designato come presidente ad interim della Siria. In precedenza aveva infatti incontrato a Riyadh il principe ereditario saudita, Mohammed bin Salman. La Turchia, che ha sostenuto le milizie guidate da al-Sharaa nel rovesciamento di Bashar al-Assad, sta cercando di consolidare il suo potere in Siria. Il nemico numero uno di Erdogan sono i curdi, che insistono nella regione di Kobane, al confine sud della Turchia, e continuano ad essere sotto il tiro dei colpi delle milizie fedeli alla Turchia. Quest’ultima, inoltre, sta cercando di fare pressioni su Israele affinché non consolidi le sue posizioni nel sud della Siria, nelle zone al di fuori delle alture del Golan.

Durante la conferenza stampa congiunta con al-Sharaa, Erdogan ha detto che la Turchia intende collaborare con la nuova leadership siriana. «Ho detto ad al-Sharaa che siamo pronti a fornire il sostegno necessario alla Siria nella lotta contro tutti i tipi di terrorismo, che si tratti di Daesh o del PKK» ha dichiarato durante la conferenza stampa. Citando il PKK Erdogan si riferisce implicitamente a tutti i curdi che intende combattere, quindi anche le Unità di Protezione del Popolo (YPG), le quali costituiscono lo zoccolo duro delle Forze Democratiche Siriane (SDF), sostenute dagli Stati Uniti.

Da parte sua, al-Sharaa ha dichiarato di volere una “partnership strategica” con la Turchia, invitando Erdogan a visitare la Siria. «Stiamo lavorando alla costruzione di una partnership strategica con la Turchia per affrontare le minacce alla sicurezza nella regione e per garantire sicurezza e stabilità permanenti alla Siria e al Turchia», ha detto al-Sharaa. Quest’ultimo si è quindi riferito alle «minacce che impediscono l’unità territoriale nel nord-est della Siria», in un chiaro riferimento alle SDF. Al-Sharaa ha respinto qualsiasi forma di autogoverno curdo e ha esortato le SDF a consegnare le loro armi.

I due leader hanno anche discusso di un nuovo patto di difesa che prevederebbe la costruzione di nuove basi militari turche in Siria. In particolare, nella Siria centrale, precisamente nella vasta zona desertica nota come Badiyah, dovrebbero sorgere due nuove basi aeree turche, utili ad ampliare il perimetro con cui la Turchia può colpire i combattenti curdi.

Sul fronte economico-commerciale, Erdogan si è impegnato per continuare a spingere per la revoca delle sanzioni internazionali imposte alla Siria durante il governo di al-Assad. Il sollievo dalle sanzioni è stata la massima priorità di al-Sharaa. Quest’ultimo, dal canto suo, si è impegnato a portare a termine un piano che prevede il licenziamento di un terzo dei dipendenti del settore pubblico e la privatizzazione delle aziende statali cruciali.

Sulla questione dei rifugiati siriani, Erdogan ha detto che è necessario sforzarsi per aiutare queste persone a tornare in Siria. La Turchia ha ospitato il maggior numero di rifugiati siriani dopo lo scoppio della guerra civile siriana nel 2011, e al suo apice ha accolto circa di 3,8 milioni di rifugiati siriani.

Per quanto riguarda invece il sud della Siria, Erdogan dice di aver discusso con al-Sharaa la necessità di portare pressione internazionale su Israele affinché abbandoni le posizioni conquistate a seguito della caduta di al-Assad, così come le alture del Golan occupate da Israele dal 1967 e successivamente annesse in maniera unilaterale nel 1981.

Nel frattempo, nel giorno in cui Erdogan e al-Sharaa si incontravano ad Ankara, il Dipartimento della Difesa statunitense ha annunciato di voler sviluppare piani per ritirare tutte le truppe statunitensi dalla Siria, in tre scenari di tempo differenti: 30, 60 o 90 giorni. Tale operazione rafforzerebbe senz’altro la Turchia e il governo di al-Sharaa nello scontro con i curdi, ai quali mancherebbe un appoggio, quantomeno simbolico, importante.

[di Michele Manfrin]

Frode fiscale per 100 milioni, arresti e sequestri in tutta Italia

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La Guardia di Finanza di Reggio Emilia ha scoperto un’associazione a delinquere accusata di una frode fiscale da oltre 100 milioni di euro. L’inchiesta riguarda 4 società in varie province italiane, di cui 23 in provincia di Reggio Emilia. In totale, risultano indagate 179 persone e sono state eseguite 91 perquisizioni in tutto il territorio italiano, da Torino a Crotone. L’operazione, denominata “Ombromanto” è scattata questa mattina su mandato della Procura di Reggio Emilia. L’associazione sarebbe stata dedita a reati tributari, tra cui frodi fiscali e indebita compensazione di crediti d’imposta per circa 104 milioni di euro.

La verità sul protocollo tachipirina e vigile attesa che per Speranza è “un’invenzione no vax”

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Il cosiddetto protocollo Tachipirina e vigile attesa «non esiste», è «un’invenzione dei no vax» e «di chi non ha mai visto le carte»: lo ha dichiarato Roberto Speranza nel corso di una presentazione a Villafranca, in provincia di Verona, rispondendo alle domande di una giornalista. L’ex ministro della Salute, che era nel comune veneto per la presentazione del libro Perché guariremo, ha deciso di rispondere così, sostenendo che il protocollo sarebbe «inventato» e sottolineando che le sue dichiarazioni sarebbero anche una «comunicazione anche per tutti quelli» che seguono giornalisti come Angela Camuso, che ha posto la domanda. Tuttavia, i protocolli esistono, sono stati pubblicati dal Ministero della Salute nel periodo in cui Speranza ricopriva il ruolo di ministro e includono vigile attesa e paracetamolo – con l’eventuale utilizzo di farmaci antinfiammatori non steroidei (FANS) – tra le indicazioni principali per la cura dei pazienti sintomatici e privi di sintomi. La risposta di Roberto Speranza, registrata da alcuni spettatori che partecipavano alla presentazione, è diventata virale e ha attirato inoltre l’attenzione di alcune testate scientifiche e di fact-checking che, contestando un presunto “contesto mancante”, hanno realizzato alcuni articoli a riguardo omettendo però alcuni particolari tutt’altro che indifferenti.

La vicenda

Il tutto è avvenuto venerdì 31 gennaio a Villafranca, in provincia di Verona. Roberto Speranza era nel comune veneto per la presentazione del libro Perché guariremo ma, come accaduto in altre circostanze simili, all’evento erano presenti anche diversi manifestanti che hanno registrato le domande fatte all’ex ministro e le sue risposte. Tra i momenti ripresi, è stato catturato quello in cui la giornalista Angela Camuso ha chiesto: «Qual era la base scientifica della tachipirina e vigile attesa?». Roberto Speranza, dopo attimi di confusione causati dai rumori del pubblico, ha risposto così: «La mia risposta gliela do subito, così poi può lasciare il dibattito. Le do una comunicazione che spero lei dia anche a tutti quelli che la seguono. Il famoso protocollo tachipirina e vigile attesa è inventato da voi perché non esiste. È una vostra invenzione. È invenzione dei no vax. Gente per bene [che] non ha mai visto le carte che semmai crede che quello che lei sta dicendo è vero. Avevamo un gruppo fatto dai migliori scienziati italiani che ha aggiornato costantemente i protocolli di cura. Tachipirina e vigile attesa non è un protocollo. Nel protocollo ci sono tantissime cose. Non si fermi ad una parola».

Cosa dicono i documenti

Tuttavia, i protocolli esistono e, nonostante la tachipirina (o meglio, il paracetamolo) e la “vigile attesa” non siano le uniche indicazioni, risultano comunque tra le principali. L’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) spiegava ad ottobre 2020 che «nella fase domiciliare, la cosa migliore da fare è la vigile attesa» e trattare i sintomi febbrili, mentre nella circolare Gestione domiciliare dei pazienti con infezione da SARS-CoV-2, pubblicata dal Ministero della Salute nel dicembre 2020, vengono fornite le seguenti indicazioni per i pazienti asintomatici o paucisintomatici: «Vigile attesa», «misurazione periodica della saturazione», «trattamenti sintomatici (ad esempio paracetamolo)» ed eventuale utilizzo di corticosteroidi, il quale però deve essere considerato solo nei soggetti con malattia grave e non deve essere scelto «routinariamente». Inoltre, il documento contiene anche un paragrafo dedicato alle «raccomandazioni e decisioni AIFA sui farmaci Covid-19», nel quale si legge che per la terapia sintomatica «paracetamolo o FANS possono essere usati in caso di febbre o dolori articolari o muscolari», mentre gli altri farmaci potranno essere utilizzati su «giudizio clinico». Tale documento è stato poi aggiornato ad aprile del 2021, in una versione dove – nella lista per asintomatici o paucisintomatici – si specificava che per vigile attesa si intendeva «costante monitoraggio dei parametri vitali e delle condizioni cliniche del paziente» – frase totalmente assente nella lista del rapporto precedente – e che per trattamenti sintomatici si intendeva – questa volta – ad esempio sia paracetamolo che FANS, più eventuali medicinali basati sul giudizio clinico. Infine, il rapporto è stato nuovamente aggiornato a febbraio del 2022, attraverso la divulgazione di una versione che nella medesima sezione, questa volta, ampliava le prime indicazioni della lista a «costante e accurato monitoraggio dei parametri vitali e delle condizioni cliniche del paziente, inclusa la misurazione periodica della saturazione dell’ossigeno tramite pulsossimetria», aggiungendo nella sezione dei trattamenti sintomatici che paracetamolo e farmaci antinfiammatori hanno meccanismi d’azione differenti.

Il ricorso contro il Tar

Tali protocolli, nonostante nella forma contenessero solo “raccomandazioni” e consigli, sono stati difesi dalle critiche con vere e proprie battaglie legali: nonostante il TAR del Lazio abbia annullato a gennaio 2022 la circolare aggiornata al 21 aprile 2021, stabilendo che alcune parti si ponevano «in contrasto con l’attività professionale così come demandata al medico nei termini indicati dalla scienza e dalla deontologia professionale», pochi giorni dopo il Consiglio di Stato ha sospeso la sentenza, con la motivazione che il protocollo conteneva «raccomandazioni e non prescrizioni, cioè indica comportamenti, secondo la vasta letteratura scientifica allegata, che sembrano rappresentare le migliori pratiche» e quindi «non emerge alcun vincolo».

Il “contesto mancante”

Com’era prevedibile, i video registrati durante l’evento sono diventati virali in diversi social network e, di conseguenza, sembrano aver attirato l’attenzione di testate scientifiche e di fact-checking come Open, che ha dedicato un articolo alla vicenda – il quale spesso compare come banner su Meta nei post dove si tratta l’accaduto – sottolineando un presunto “contesto mancante”. In un articolo di Quotidiano Sanità, per esempio, viene ribadito più volte che le raccomandazioni «non erano di certo le uniche di un testo di 18 pagine», omettendo il fatto che le pagine dedicate alle indicazioni non erano 18, ma 5 (da pagina 10 alla 14), occupate inoltre principalmente da indicazioni «per fasi specifiche» e da evitare. L’argomentazione principale dell’articolo di Open, invece, riguarda l’elenco puntato dove si tratta della “tachipirina (o meglio, paracetamolo) e vigile attesa”, e si basa sul fatto che, secondo l’autore dell’articolo, ci sarebbero tante altre indicazioni ignorate. Tuttavia, la maggior parte delle altre raccomandazioni si basa su scenari eventuali o da evitare, e non sulle principali azioni da applicare: «Non modificare terapie croniche in atto per altre patologie», «non utilizzare routinariamente corticosteroidi», «non utilizzare eparina», non usare antibiotici, idrossiclorochina e farmaci con aerosol in caso di isolamento. Le uniche indicazioni raccomandate “attivamente” sono «vigile attesa, misurazione della saturazione, trattamenti sintomatici (ad esempio paracetamolo)» e infine «appropriate idratazione e nutrizione».

Concludendo, si potrebbe dibattere per ore sul nome più adatto per definire tali protocolli e sulla loro efficacia, ma ciò che rimane certo, per quanto scritto sulle carte, è che, al contrario da quanto asserito dall’ex ministro della Salute, non sono stati inventati da un non ben definito gruppo di “no vax”, e contengono tra le raccomandazioni principali l’utilizzo di farmaci come il paracetamolo (spesso assunto tramite Tachipirina) e la vigile attesa, il che sembra rendere l’idea di richiamarsi ad essi tramite la locuzione “tachipirina e vigile attesa” tutt’altro che infondata.

[di Roberto Demaio]

Caso Almasri: Nordio distorce le carte della CPI per difendere la scarcerazione

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Ieri, mercoledì 5 febbraio, i ministri della Giustizia Carlo Nordio e dell’Interno Matteo Piantedosi hanno reso l’informativa sul caso Almasri al Parlamento. Al di fuori delle solite diatribe da palcoscenico che fanno da sfondo ai dibattiti tra maggioranza e opposizioni, quello che è certo è che le motivazioni addotte dai rappresentanti del governo sulla liberazione e il conseguente rimpatrio del torturatore capo della polizia giudiziaria libica non sono affatto soddisfacenti. Nel corso dell’informativa i ministri si sono trincerati dietro a cavilli burocratici poco credibili, non troppo velate accuse alla Corte Penale Internazionale, e fumose ipotesi di minaccia alla sicurezza e all’ordine pubblico, finendo per aggirare il merito della questione. Un’attenta lettura delle carte della CPI, inoltre, suggerisce una parziale comprensione dei documenti da parte di Nordio, che ne ha così distorto del tutto il contenuto.

Sia alla Camera che al Senato il primo a prendere parola è stato Nordio. In primo luogo, il ministro ha fornito una ricostruzione degli eventi per spiegare come le tempistiche non fossero dalla sua parte. Il mandato è stato emesso il 18 gennaio, l’arresto effettuato il 19 alle 9:30, e lo stesso giorno, poco dopo le 12, l’Interpol ha informato il ministero con «una comunicazione assolutamente informale». La comunicazione ufficiale dell’arresto gli è arrivata il giorno seguente, alle 12:40 e un’ora dopo sono giunte le carte relative al mandato d’arresto. Il mandato è «arrivato in lingua inglese senza essere tradotto con una serie di criticità che avrebbero reso impossibile l’immediata adesione del ministero alla richiesta arrivata dalla Corte d’appello». Tra questa sorta di barriera linguistica, a cui Nordio ha fatto riferimento svariate volte, e il «pasticcio» formale della CPI, Nordio ha tardato nella lettura degli atti, che in ogni caso avrebbe giudicato «nulli», e Almasri è stato scarcerato. A quel punto, ha spiegato Piantedosi, Almasri è stato espulso a causa del suo «profilo di pericolosità» e «nelle esigenze di salvaguardia della sicurezza dello Stato e della tutela dell’ordine pubblico».

Nel corso del suo intervento Nordio ha fatto riferimento a quel vizio di forma che ha portato alla scarcerazione del cittadino libico, ossia al fatto che l’arresto è avvenuto senza la convalida del ministero. Sebbene al ministro sarebbe bastato dare conferma dell’arresto per risolvere ogni mancanza, Nordio ha giustificato la mancata convalida con la presunta confusione delle carte della CPI. Almasri è accusato di diversi crimini contro l’umanità e di avere commesso una serie di reati continuati a partire dal 2015, e dunque dopo la caduta di Gheddafi – di cui Almasri era un oppositore – del 2011. Secondo il ministro, dalle 42 pagine di mandato di arresto, «emergeva una incertezza assoluta sulla data dei delitti commessi», che in certi passi sembravano iniziati nel 2015, e in altri proprio nel 2011 (dal 15 febbraio, dice Nordio), sotto Gheddafi. Insomma, secondo Nordio, dalle carte non si riusciva a capire quando fossero iniziati i reati di Almasri, e a causa di questo «vizio genetico» le conclusioni apparivano illogiche tanto che se ne sarebbe accorta la stessa CPI, che il 24 gennaio ha aggiornato il mandato di arresto.

Forse a causa della barriera linguistica a cui fa riferimento, le affermazioni di Nordio sembrano imprecise. I documenti pubblicati dalla Corte menzionano effettivamente il 15 febbraio, ma non come data di inizio dei crimini di Almasri. Questa data, infatti, segna il momento in cui la Corte ha acquisito giurisdizione sui crimini commessi in Libia, a seguito dell’adozione della cosiddetta “Risoluzione 2011”. Nordio cita un passaggio dell’opinione dissenziente di un giudice, in cui si afferma che non è chiaro se «il presunto conflitto armato non internazionale fosse lo stesso di quello iniziato nel 2011 o se fosse un conflitto diverso». Tuttavia, leggendo l’intero paragrafo, emerge che la questione sollevata dal giudice non riguarda l’inizio dei crimini di Almasri, ma il fatto che non si può stabilire un legame tra la situazione pre-Gheddafi – su cui la Corte ha giurisdizione – e il conflitto attuale in Libia. Secondo il giudice Flores Liera, infatti, il conflitto attuale è diverso. In sintesi, l’opinione dissenziente sostiene che la Risoluzione 2011 non attribuisce alla Corte giurisdizione sui crimini più recenti in Libia. Non si mette in discussione quando Almasri abbia iniziato a commettere crimini, ma si evidenzia piuttosto un problema di competenza della Corte rispetto alla situazione odierna. Se poi fosse vero, come sostiene Nordio, che nella versione del mandato pervenuta al ministero le conclusioni indicavano che Almasri avrebbe commesso i suoi crimini a partire dal 15 febbraio 2011, sarebbe a causa di un evidente errore tipografico, visto che la data coincide con quella della Risoluzione 2011, come ha spiegato la stessa CPI.

Se Nordio distorce le carte e schiva agilmente il motivo per cui il caso Almasri è finito in Parlamento, Piantedosi fa riferimento a vaghe questioni di sicurezza e ordine pubblico senza mai spiegarle. Verso la fine del suo intervento, però, dice che «sì è reso necessario agire rapidamente per i profili di pericolosità riconducibili al soggetto e per i rischi che la sua permanenza in Italia avrebbe comportato soprattutto con riguardo a valutazioni concernenti la sicurezza dei cittadini italiani e la sicurezza degli interessi del nostro Paese all’estero in scenari di rilevante valore strategico, ma al contempo di enormi complessità e delicatezza», ammettendo indirettamente che i rapporti tra Italia e Libia sono troppo «rilevanti» per venire minati. Effettivamente i nostri rapporti con la Libia sono particolarmente stretti: recentemente Tripoli è tornata a essere il primo fornitore di petrolio all’Italia. Negli ultimi anni il commercio col Paese è triplicato e, da quando è in carica, Meloni ha visitato Tripoli almeno quattro volte. Secondo la Camera di Commercio Italo-Libica, inoltre: «Siamo il primo importatore e il terzo esportatore verso il Paese».

[di Dario Lucisano]

Gaza, Israele prepara piano per l’uscita “volontaria” dei palestinesi

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Stamane il ministro della Difesa israeliano Katz ha ordinato all’esercito di preparare un piano per consentire la «partenza volontaria» di un gran numero di palestinesi dalla Striscia di Gaza. Lo riferiscono i media israeliani. L’ordine è arrivato dopo l’annuncio di Trump secondo cui gli USA intendono prendere il controllo a lungo termine di Gaza, trasformando il territorio nella «Riviera del Medio Oriente». Katz ha spiegato che il piano «include opzioni per l’uscita dai valichi terrestri, disposizioni speciali per l’uscita via mare e via aerea», lodando «il piano audace di Trump che consente a una vasta popolazione di Gaza di partire per vari luoghi del mondo».

La Guinea ha debellato la malattia del sonno, trasmessa dalla mosca tse-tse

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La Guinea ha ufficialmente eliminato la tripanosomiasi africana, nota anche come malattia del sonno, come problema di salute pubblica. Con la convalida dell'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), il paese si unisce a Togo (2020), Benin (2021), Costa d'Avorio (2021), Uganda (2022), Guinea Equatoriale (2022), Ghana (2023) e Ciad (2024), segnando il primo successo della Guinea nell'eliminazione di una malattia tropicale negletta, ovvero una malattia infettiva ignorata dalla ricerca farmacologica.
Nello specifico, la malattia del sonno è una patologia trasmessa all'uomo dalla puntura di una m...

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Parma, cade elicottero nella tenuta Rovagnati: 3 morti

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Ci sarebbe anche Lorenzo Rovagnati, amministratore delegato dell’azienda produttrice di salumi, tra i morti per lo schianto di un elicottero nella tenuta della famiglia, avvenuto intorno alle 19 di oggi, mercoledì 5 febbraio. Con lui ha perso la vita anche il pilota del mezzo e una terza persona non ancora identificata, che si ipotizza possa essere uno dei fratelli Rovagnati. Ancora da chiarire le dinamiche dell’incidente. Sul posto, avvolto da una fittissima nebbia, sono intervenuti vigili del fuoco, 118 e carabinieri.