Un aereo con 59 persone di carnagione bianca provenienti dal Sudafrica è atterrato negli Stati Uniti, affinchè i suoi passeggeri possano chiedere lo status di rifugiati. L’amministrazione Trump, che nel gennaio di quest’anno ha sospeso tutti gli accessi nel Paese per coloro che richiedono protezione internazionale, ha infatti deciso di concedere lo status giuridico di rifugiati agli afrikaners, ovvero i discendenti dei coloni olandesi, che hanno dominato brutalmente il Paese fino al 1994. Secondo Trump, infatti, in Sudafrica sarebbe in atto una politica di apartheid e di genocidio nei confronti della popolazione bianca – la quale, in realtà, vive in una condizione privilegiata rispetto alla stragrande maggioranza dei cittadini del Paese. La Chiesa episcopale, a cui era stato chiesto di reinsediare gli afrikaners, ha deciso di porre fine alla sua collaborazione con il governo federale per la gestione dei rifugiati come gesto di disaccordo morale per la decisione di Trump.
«Siete davvero i benvenuti qui e rispettiamo ciò che avete dovuto affrontare in questi ultimi anni», ha detto Christopher Landau, vice Segretario di Stato, al gruppo di afrikaners atterrati lunedì 12 maggio negli Stati Uniti. Stephen Miller, vice capo di stato maggiore della Casa Bianca, ha detto alla stampa che questo volo dal Sudafrica fa parte di uno «sforzo di trasferimento su larga scala» e che ciò che gli afrikaners affrontano in Sudafrica «si adatta alla definizione da manuale del motivo per cui è stato creato il programma per i rifugiati». Una definzione che, secondo l’amministrazione Trump, escluderebbe quanto sta accadendo invece a migranti afghani e iracheni, tanto per citare due esempi.
Nessuna delle più importanti organizzazioni umanitarie esistenti al mondo ha mai pubblicato un report in cui viene denunciato l’apartheid (o addirittura il genocidio) dei bianchi sudafricani. I problemi in Sudafrica sono infatti altri e riguardano, ad esempio, l’estrema povertà delle centinaia di migliaia di persone costrette a vivere nelle baraccopoli. La mossa dell’amministrazione statunitense pone così fine a un rapporto di quasi quattro decenni tra il governo federale e la Chiesa episcopale. Il reverendo Sean W. Rowe ha infatti annunciato che porrà fine alla partnership con il governo per reinsediare i rifugiati, proprio per sottolineare la propria opposizione morale alla designazione degli afrikaner come rifugiati.
Nel marzo scorso, l’ambasciatore sudafricano, Ebrahim Rasool, è stato addirittura espulso dal Paese in seguito alle sue dichiarazioni che smentivano le accuse di Trump. L’arrivo negli Stati Uniti del primo gruppo di sudafricani bianchi è conseguenza dell’adozione dell’Ordine Esecutivo 14204, con cui, nel marzo scorso, il presidente statunitense ha annunciato il blocco degli aiuti economici al Sudafrica, invitando i cittadini bianchi del Paese a lasciare la nazione e trasferirsi negli Stati Uniti. La decisione di Trump sarebbe arrivata in seguito alla promulgazione di una legge del governo sudafricano che prevede l’esproprio della terra a danno degli agricoltori bianchi. Eppure, come spiegato nell’ordine esecutivo, tra le motivazioni della posizione contraria al Sudafrica c’è anche la sua azione nei confronti di Israele: il Paese ha infatti avviato contro Tel Aviv il processo in seno alla Corte Internazionale di Giustizia per il genocidio perpetrato contro la popolazione palestinese. Invece gli USA, nel caso di Israele, evidentemente, non ravvedono nessun regime di apartheid.
I funzionari sudafricani insistono nel negare le accuse di Trump: «Le statistiche dei servizi di polizia del Sudafrica sui crimini legati all’agricoltura non supportano le accuse di crimini violenti rivolti agli agricoltori in generale o a qualsiasi razza in particolare», ha detto il ministero delle Relazioni Internazionali e della Cooperazione del Sudafrica in una recente dichiarazione. Il presidente sudafricano, Cyril Ramaphosa, nel febbraio scorso, ha detto che la legislazione avrebbe «garantito l’accesso pubblico alla terra in modo equo e giusto». La legge, in discussione da anni, ha lo scopo di porre fine ad uno dei retaggi dell’epoca della apartheid. Infatti, sebbene la popolazione bianca rappresenti il 9% della popolazione totale, si stima che abbia la proprietà privata di circa il 75% dei terreni agricoli del Sudafrica.
Gli afrikaners sono una minoranza bianca discendente principalmente da coloni olandesi che arrivarono per la prima volta al Capo di Buona Speranza nel 1652 e che fino al 1994 hanno dominato la politica del Sudafrica e il settore agricolo commerciale del Paese. I discendenti dei coloni hanno poi creato e guidato il brutale regime di apartheid in Sudafrica, dal 1948 al 1994, un sistema di segregazione razziale in cui la popolazione bianca deteneva il potere politico ed economico, escludendo la maggioranza nera dalla partecipazione politica e dalla piena cittadinanza. Questo sistema si basava sulla separazione razziale, con leggi che limitavano la libertà di movimento, l’accesso all’istruzione e al lavoro e in generale la vita sociale e politica per la popolazione nera. Questo regime fu poi spezzato con l’arrivo al potere, nel 1994, di Nelson Mandela, primo presidente nero del Paese, attivista per i diritti civili e avvocato che aveva scontato 27 anni di carcere per la sua lotta al segregazionismo razziale, insignito nel 1993 con il Premio Nobel per la Pace.