domenica 14 Dicembre 2025

Perché il diritto internazionale non funziona?

Il diritto internazionale è parte delle relazioni internazionali ed è l’affinazione costante di relazioni antiche: dall’Asia centrale a quella orientale, in Europa come in America e in Africa. In ogni continente, le autorità politiche hanno avuto la necessità di accordarsi per porre fine a guerre, per segnare i confini dei territori di caccia o di pesca, per negoziare i rapporti da tenere nei confronti degli stranieri, e così via. Oggigiorno, il diritto internazionale è costituito da un impianto complesso che stabilisce linee guida normative e un quadro concettuale comune per gli Stati in una vasta gamma di settori, tra cui guerra e diplomazia, relazioni economiche e diritti umani. Gli Stati, così come gli altri soggetti, possono scegliere di non rispettare il diritto internazionale e persino di violare un trattato, ma tali violazioni, in particolare delle norme perentorie, possono incontrare la disapprovazione di altri e in alcuni casi azioni coercitive che vanno dalle sanzioni diplomatiche ed economiche a rappresaglie militari. Il diritto internazionale differisce dai sistemi giuridici nazionali in quanto opera principalmente attraverso il consenso poiché non esiste un’autorità universalmente accettata per applicarlo ai soggetti interessati.

Cenni storici di diritto internazionale

I primi rudimenti di diritto internazionale si possono rintracciare nell’antichità, come i trattati di pace stipulati dalle città-Stato mesopotamiche di Lagash e Umma (circa 3100 a.C.) e un accordo tra il faraone egiziano, Ramses II, e il re ittita, Hattušili III, concluso nel 1279 a.C. Secondo vari studiosi, l’Impero Romano stabilì un primo quadro concettuale per il successivo sviluppo del diritto internazionale, lo jus gentium, il quale regolava lo status degli stranieri che vivevano a Roma e le relazioni tra stranieri e cittadini romani. Adottando il concetto greco di legge naturale, i romani concepivano lo jus gentium come universale. Tuttavia, in contrasto con il diritto internazionale moderno, il diritto romano delle nazioni si applicava alle relazioni con e tra individui stranieri piuttosto che tra unità politiche come gli Stati o, come oggi, agli altri soggetti del diritto internazionale. Nell’VIII secolo a.C. la Cina si frammentò in un gran numero di Stati che di frequente facevano la guerra tra loro e così emersero regole per la diplomazia e la stipula di trattati, comprese le nozioni riguardanti i giusti motivi di guerra e i diritti delle parti neutrali. Tutto questo serviva anche per consolidare la divisione tra Stati e il loro riconoscimento. In seguito, in Cina si svilupparono due importanti scuole di pensiero, il confucianesimo e il legalismo, entrambe le quali sostenevano che le sfere giuridiche nazionali e internazionali erano strettamente interconnesse e cercavano di stabilire principi normativi concorrenti per guidare le relazioni estere.

Anche nel subcontinente indiano, diviso in vari Stati, nel tempo si svilupparono regole di neutralità, diritto dei trattati e condotta internazionale, stabilendo inoltre ambasciate temporanee così come permanenti. Con il crollo dell’Impero Romano d’Occidente, nel V secolo d.C., l’Europa si frammentò in numerosi Stati che per gran parte dei successivi cinque secoli si fecero costante guerra. Il potere politico era disperso in una serie di entità, tra cui la Chiesa, le città-Stato mercantili e i regni, la maggior parte delle quali aveva giurisdizioni sovrapposte e in continua evoluzione. Così come in Cina e in India, queste divisioni hanno al contempo generato la necessità di sviluppare regole volte a fornire relazioni stabili e prevedibili.

I primi esempi includono il diritto canonico, che governava le istituzioni ecclesiastiche e il clero in tutta Europa; la lex mercatoria (“diritto mercantile”), che riguardava il commercio; e vari codici di diritto marittimo, come i Rotoli di Oléron o le leggi di Wisby. Durante il Medioevo europeo, il diritto internazionale si occupava principalmente dello scopo e della legittimità della guerra, cercando di determinare ciò che costituiva una guerra giusta. Il concetto greco-romano di legge naturale fu combinato con i principi religiosi dal filosofo ebreo Maimonide (1135-1204) e dal teologo cristiano Tommaso d’Aquino (1225-1274) per creare la nuova disciplina del “diritto delle nazioni”, che a differenza del suo omonimo predecessore romano, applicava la legge naturale alle relazioni tra gli Stati.

Dal XV al XVII secolo, nuovi impulsi – specie coloniali – dettero gambe al processo di creazione del diritto internazionale, il cui culmine arrivò con la Pace di Westfalia nel 1648, a conclusione della Guerra dei Trent’anni (1618-1648), con cui si rafforzava la sovranità statale dei soggetti coinvolti. Visto che la guerra era stata pesantemente influenzata da motivazioni religiose, quantomeno in superficie, gli studiosi anglosassoni erano propensi a intendere il diritto internazionale come la pratica effettiva degli Stati sovrani – quindi la consuetudine – coerentemente con l’approccio empirista alla filosofia che stava allora guadagnando accettazione in Europa. I positivisti anglosassoni si preoccupavano di praticità e specificità ed erano concentrati su ciò che interessava allora, come il diritto del mare e i trattati commerciali. I naturalisti davano invece un’interpretazione universale al diritto internazionale, prendendo spunto dalle fonti greco-romane. Col tempo, nel concreto, le due correnti di pensiero finirono ambedue per influenzare il diritto internazionale, mescolando caratteri positivi quanto naturali, come alcuni studiosi iniziarono a fare nel corso del XVIII secolo. Fino alla metà del XIX secolo, le relazioni internazionali si articolavano principalmente con trattati e accordi tra Stati, inapplicabili se non con la forza e non vincolanti se non come questioni di onore e fedeltà.

La Convenzione di Ginevra del 1864 e la Convenzione dell’Aja del 1899 sono i primi esempi di trattati multilaterali firmati da più Stati che si accordano insieme su specifiche questioni. All’Aja venne anche istituita la Corte permanente di arbitrato per la risoluzione delle controversie tra gli Stati firmatari. La fine della Prima Guerra mondiale stimolò la creazione di diverse organizzazioni internazionali tra cui la Società delle Nazioni (1919), precursore delle Nazioni Unite (ONU). Fu allora che il diritto internazionale cominciò a incorporare nozioni come l’autodeterminazione dei popoli e i diritti umani. Alla fine della Seconda Guerra mondiale, nel 1945, l’ONU è stata istituita per sostituire la vecchia Società con l’obiettivo di mantenere la sicurezza collettiva. Da quel momento, seguì un ordinamento giuridico internazionale più articolato, sostenuto da istituzioni quali la Corte internazionale di giustizia (CIG) e il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite (UNSC), così come la Commissione del diritto internazionale (ILC) istituita nel 1947 per sviluppare e codificare il diritto internazionale. Anche a livello economico sono state istituite organizzazioni internazionali come il Fondo monetario internazionale, la Banca Mondiale e, successivamente, l’Organizzazione mondiale del commercio.

Soggetti, fonti e applicazioni del diritto internazionale

Oggigiorno, gli attori che partecipano alle relazioni internazionali, e che sono quindi soggetti del diritto internazionale, non sono solo gli Stati nazionali. Tra gli enti territoriali troviamo gli “Stati sovrani e indipendenti” e gli “insorti”, mentre tra quelli non territoriali con aspirazioni a divenire enti territoriali abbiamo i “governi in esilio”, i “comitati nazionali all’estero” e i “movimenti di liberazione nazionale”. Vi sono poi gli enti non territoriali come la Santa Sede, l’Ordine di Malta, il Comitato Internazionale della Croce Rossa etc. Tra i soggetti del diritto internazionale vi sono anche le “organizzazioni Volume con le leggi marittime internazionali”, ovvero enti non territoriali costituiti da Stati come, ad esempio, l’ONU. Anche l’individuo rientra, seppur in minima parte e in maniera occasionale, tra i soggetti del diritto internazionale. La consuetudine, distinta in varie forme, rimane la fonte principale del diritto internazionale. Accordi e trattati fanno parte delle relazioni internazionali, come abbiamo visto, da migliaia di anni e sono parte delle fonti del diritto internazionale. Ovviamente i patti possono anche non essere rispettati ma non vi è autorità alcuna che possa impedire che ciò avvenga. Ma chi giudica chi?

Sono gli Stati stessi, nei consessi internazionali, ad essere giudici di altri Stati portando con sé tutto il bagaglio di interessi economici e politici in ballo. Anche gli organi giudiziari di carattere internazionale, essendo emanazione dei medesimi Stati, sono anch’essi troppo spesso utilizzati per scopi di interesse di alcune nazioni su altre. Le controversie internazionali sono caratterizzate da “una pretesa e la contestazione della pretesa” e anche dalla “protesta di fronte alla lesione di un interesse”. L’accertamento del diritto internazionale non presuppone comunque che vi sia necessariamente una controversia internazionale formalmente espressa. Il diritto internazionale contemporaneo ha ripudiato i mezzi non pacifici di soluzione delle controversie internazionali, stabilendo, con l’articolo 2 della Carta delle Nazioni Unite, l’obbligo di risolvere pacificamente le controversie internazionali. All’articolo 33 della medesima Carta si elencano gli strumenti pacifici: negoziato, mediazione, inchiesta, buoni uffici, conciliazione, arbitrato e giurisdizione. A differenza del negoziato, per tutti gli altri è necessaria la partecipazione di un terzo soggetto che può essere uno Stato così come un’organizzazione internazionale o uno o più individui indipendenti.

Tra gli organismi internazionali del diritto prodotti nel tempo dalle relazioni internazionali vi è la già citata Corte permanente di arbitrato (CPA), la Corte internazionale di giustizia (CIG) e la più recente Corte penale internazionale (CPI), tutte con sede a l’Aja, in Olanda. La CIG opera in base ad uno Statuto presente nella Carta delle Nazioni Unite, con un regolamento di procedura non derogabile dalle parti. Solo gli Stati possono essere parte della procedura contenziosa davanti alla Corte. Poiché la giurisdizione ha base consensuale, le parti debbono accettare la competenza della Corte mediante una propria manifestazione di volontà. Il principio del consenso dell’attribuzione di competenza della Corte non può mai venire meno, neanche quando sia palesemente violata una norma imperativa del diritto internazionale.

Nel caso Congo vs Ruanda, il Congo pretendeva che la CIG si dichiarasse competente poiché il Ruanda era responsabile di una violazione della norma imperativa sul divieto di genocidio. Ma la pretesa del Congo fu rigettata dalla Corte in mancanza di una clausola attributiva di giurisdizione. Altro caso di non applicazione del diritto, avvenuto nel 1986, fu quando la CIG stabilì che gli Stati Uniti dovessero riparare i danni causati al Nicaragua per violazione delle norme del diritto internazionale consuetudinario (ovvero le pesanti ingerenze negli affari interni del Paese). Nel giugno di quell’anno, il Nicaragua si rivolse al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite per richiedere l’immediata ottemperanza della sentenza della Corte a cui gli USA risposero con il proprio veto. Fu quindi votata e introdotta una risoluzione in seno all’Assemblea Generale ma, come sappiamo, la risoluzione non poteva disporre misure coercitive. Gli Stati Uniti, quindi, si permisero senza tanti problemi di violare il diritto internazionale e, nonostante una sentenza di una di quelle istituzioni che al contempo utilizza per i propri scopi geopolitici, di non rispettare la condanna.

La CPI, nel marzo scorso, ha spiccato un mandato di arresto nei confronti del presidente russo Putin, tuttavia non solo la Russia non ha mai aderito alla CPI, ma neanche l’Ucraina – che ha solo sottoscritto l’accordo ma mai ratificato – e gli stessi Stati Uniti, sebbene chiedano al contempo l’applicazione del diritto. Il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, formato da Stati Uniti, Russia, Cina, Regno Unito e Francia, è un organo che può essere chiamato a far rispettare sentenze e giudicati – così come può muoversi motu proprio, quindi di propria iniziativa – e può essere attivato da qualsiasi membro della Nazioni Unite così come dal Segretario generale o dalla stessa Assemblea Generale in caso di controversie la cui continuazione sia suscettibile di mettere in pericolo la pace e la sicurezza internazionale.

Secondo il Capitolo VII della Carta delle Nazioni Unite solo il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha un mandato da parte della comunità internazionale per applicare sanzioni, che devono essere rispettate da tutti gli Stati membri delle Nazioni Unite. Le sanzioni, previste dall’articolo 41 del suddetto capitolo, non includono l’uso della forza militare, la quale può essere esercitata (articolo 42) solamente allorquando le precedenti azioni non armate non abbiano permesso il risolversi della controversia. Le decisioni vengono proclamate per tramite di risoluzioni. Queste ultime possono essere adottate anche dall’Assemblea Generale. Le risoluzioni sono gli atti giuridici più importanti che le Nazioni Unite possano adottare. Dunque, qualsiasi tipo di sanzione emanata al di fuori di questo contesto giuridico, secondo il diritto internazionale previsto dalle Nazioni Unite, sarebbe fuori legge.

Eppure, in passato come oggi, le sanzioni sono spesso emanate da entità statali e indirizzate contro altre entità statali solamente come mezzo di coercizione politico-economica rispondente ai propri interessi strategici, al di fuori del quadro giuridico internazionale. In questo gli Stati Uniti, con gli “alleati” occidentali, sono stati campioni e continuano ad utilizzare le sanzioni a propria discrezione, applicando il doppio standard. Non solo. Se le sanzioni pensate e utilizzate in seno alle Nazioni Unite hanno lo scopo di porre fine a qualche controversia, quelle emanate in maniera unilaterale al di fuori degli organismi preposti non faranno altro che andare ad aumentare le tensioni e, quindi, le controversie.

La legge del più forte

Volendo anche escludere la miriade di guerre – dirette e per procura – condotte al di fuori di ogni regola di diritto internazionale, se guardiamo alla storia delle relazioni internazionali degli ultimi decenni e fino ai giorni nostri, possiamo osservare come il diritto internazionale venga rispettato solo nei casi in cui la sua applicazione va nell’interesse di chi può farlo rispettare, in virtù della propria forza.

Oltre al già citato caso Nicaragua vs Stati Uniti, per cui il Nicaragua non ha visto essere rispettata la sentenza emanata in suo favore dalla CIG, negli ultimi decenni sono moltissimi i casi in cui non si è proceduto a far rispettare il diritto internazionale, anche quando accertato con decisione di qualche organo di rilevanza internazionale. Israele non ha rispettato praticamente nessuna delle risoluzioni emanate dalle Nazioni Unite nel corso degli anni, tranne la n.181 del 29 novembre 1947, quella sul Piano di partizione della Palestina, con cui sostanzialmente si dava origine allo Stato di Israele. Quello di Israele è un palese caso, oltre che di doppio standard, con cui si può spiegare lo stato del diritto internazionale, ovvero quello in cui, nella sostanza dei fatti, prevale il più forte, il quale può decidere quando rispettare e quando no le decisioni dei medesimi organi internazionali. Israele, oltre ad avere una potenza militare abnorme rispetto ai palestinesi, è alleato di ferro degli Stati Uniti, il poliziotto globale, oltreché giudice e legislatore, in virtù della sua forza.

L’ascesa dei BRICS nell’agone mondiale, con il futuro allargamento ad altri sei Paesi, ha dato maggiore sostanza al processo delle relazioni internazionali e, quindi, del diritto internazionale. I BRICS, attraverso trattati multilaterali e l’istituzione di nuove organizzazioni internazionali, tenteranno di articolare ancor di più il diritto internazionale, sia in senso teorico che pratico, e potranno mettere un peso maggiore sulla bilancia mondiale, finora sbilanciata dalla parte statunitense. Questo però non rende scontato che ciò sia garanzia di maggior successo nell’applicazione e nel rispetto del quadro generale che costituisce il diritto internazionale, con la sua complessità e la tendenza spesso manipolatoria da parte delle entità statali a utilizzarlo per raggiungere i propri fini politici.

[di Michele Manfrin]

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5 Commenti

  1. Il diritto internazionale esiste solo per concessione del più forte, cioè di quello che ha vinto l’ultima guerra. Già adesso i brics contestano l’ONU perché è manipolata dagli stati uniti e di fatto è una istituzione spuntata. Se Russia e Cina avranno la meglio su USA &C allora potranno riformare il diritto internazionale, ma sarà difficile che non ricadranno nel medesimo errore degli USA.
    Questo perché il diritto esiste solo per i deboli, i forti fanno quello che vogliono

  2. Il diritto ha bisogno di simmetria, se a ruba a b o b ruba ad a il risultato deve essere lo stesso, mentre nell’antica Roma questo era alla base della vita quotidiana, nel mondo Anglosassone si è continuata la vita di ruberie tipica delle tribù Germaniche e il rifiuto della simmetria.
    Lo vedete ormai anche negli Sport dove quelli più ricchi e più praticati da chi segue le mode che arrivano dagli Anglo Americani rompono la simmetria, Golf, Ping Pong, Tennis, sono alcuni esempi.
    Fortunatamente Russi e Cinesi e Brics in genere sono più razionali e se vinceranno i confronti in corso, il Diritto Internazionale potrà diventare la norma.

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