martedì 16 Dicembre 2025

Molti media dominanti stanno usando la strage australiana per riabilitare Israele

«Le marce dei pro-Pal alimentano l’odio. La stessa follia può colpire in Italia» (Fausto Biloslavo, Il Giornale), «Il rischio di questa Shoah diffusa ora è in tutto il mondo, ma la si traveste da politica e da critica a Israele» (Fiamma Nirenstein , Il Giornale); «La strage nell’Australia Pro Pal. E adesso chi sarà il prossimo?» (Franco Lodige per Nicolaporro.it). Come era già avvenuto per l’attentato a Washington davanti al Museo ebraico lo scorso maggio, i media italiani stanno strumentalizzando in maniera trasversale la strage di Bondi Beach del 14 dicembre 2025, presentando l’attacco come il culmine delle proteste pacifiste contro la guerra a Gaza, insinuando che le manifestazioni pro-Palestina abbiano fomentato un clima ostile agli ebrei, portando a una Intifada globale.

Questa lettura, pur non sempre esplicita, appare chiaramente in testate conservatrici come Il Giornale (in cui si parla addirittura di “Shoah diffusa”) e Il Foglio, che amplificano episodi post-7 ottobre per dipingere un clima di antisemitismo generalizzato, descritto come «il prodotto di un odio normalizzato che l’Occidente continua a sottovalutare». L’articolo “La scia di sangue dal 7 ottobre a Bondi Beach” pubblicato sul Giornale, collega l’attentato a un’escalation post-7 ottobre, evocando un contesto di odio che include le proteste pro-Pal. Sulle colonne dello stesso quotidiano, Fiamma Nirenstein scrive che l’attentato «Doveva essere previsto: a partire dal 7 di ottobre la bestia famelica, l’antisemitismo che si annida da secoli nelle più diverse pieghe della cultura soprattutto islamica, ma anche cristiana e di sinistra e che è capace di prendere le più svariate forme, è stata nutrita dalla politica». Analogamente, Il Foglio in “Oltre l’attacco di Sydney. Gli episodi di odio antisemita nel mondo dal 7 ottobre a oggi” elenca una serie di attacchi globali per insinuare una continuità tra terrorismo jihadista e le manifestazioni pro-Pal. Un altro articolo di Giulio Meotti, “Il pogrom sulla spiaggia. La strage di Sydney era questione di tempo”, denuncia un «antisemitismo fuori controllo» in Australia, citando sinagoghe incendiate e assalti, spesso attribuiti in contesti simili alla tolleranza verso cortei pro-Pal. Dello stesso avviso Lodige sul sito di Nicola Porro, secondo cui, «L’idea che il riconoscimento dello Stato palestinese possa funzionare da argine alla violenza antisemita si è infranta domenica pomeriggio sulla sabbia di Bondi Beach» e anzi, avrebbe funto da “via libera” per i fanatici.

Non mancano interpretazioni simili anche sui media di area progressista. Su la Repubblica, troviamo una intervista a Joel Burnie, uno dei leader della comunità ebraica australiana, che descrive l’attacco come una “tragedia annunciata” a causa delle manifestazioni pro-Palestina, accusate di incitare all’odio. Anche Domani si allinea, seppur con toni più soffusi, ospitando un editoriale sul tema, firmato dal filosofo ebraico Davide Assael che, associando antisionismo e antisemitismo, afferma che la “retorica incendiaria” e una certa propaganda antisionista armano gli estremisti. È la posizione condivisa da Andrea Molle di HuffPost, secondo cui l’attentato di Sydney «è l’ultimo anello di una catena che attraversa l’Occidente da almeno dieci anni»; la sua origine risiede «nell’idea che il sionismo è un crimine ontologico» e nella «normalizzazione, anche lessicale, dell’antisemitismo». Su La Stampa campeggiano due interviste senza contraddittorio in cui si dà per scontato che l’attentato australiano sia frutto della criminalizzazione di Israele (per Riccardo Di Segni, rabbino capo di Roma, «È il risultato di troppa propaganda»). Poco più avanti, troviamo un editoriale a firma di Guido Corso, “Quella confusione sull’antisemitismo”, in cui il Professore Emerito di Diritto amministrativo dell’Università RomaTre spiega che gli omicidi di Sydney «richiedono discussioni serie ed urgenti sulla materia», rilanciando la necessità di un dibattito a favore del DDL Delrio, la proposta di legge che ha suscitato la mobilitazione del mondo accademico per le sue ripercussioni liberticide. Dal salotto televisivo de La7, Paolo Mieli lancia un accorato appello, chiedendo di «non parlare contro Netanyahu per un giorno», per concentrarsi invece sulla condanna dell’antisemitismo.

Il nesso tracciato da una parte dei media tra la strage di Bondi Beach e le mobilitazioni pro-Palestina piega e distorce i fatti per delegittimare il dissenso e per riabilitare Israele, proiettando su manifestazioni pacifiche l’ombra della violenza e dell’estremismo. Confondere deliberatamente i piani significa spostare l’attenzione dalle responsabilità reali e trasformare una tragedia in un’arma retorica. È un’operazione politica, non informativa, che serve a restringere lo spazio del dibattito pubblico, usando i morti come argomento.

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Enrica Perucchietti

Laureata con lode in Filosofia, vive e lavora a Torino come giornalista, scrittrice ed editor. Collabora con diverse testate e canali di informazione indipendente. È autrice di numerosi saggi di successo. Per L’Indipendente cura la rubrica Anti fakenews.

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