L’Australia diventa il primo Paese al mondo a vietare per legge l’accesso ai social network ai minori di 16 anni. Il divieto riguarda Facebook, Instagram, TikTok, X, Snapchat, Threads e Reddit, ma anche YouTube e Twitch, inizialmente escluse, oltre a Kick. Per il momento sono esentate le piattaforme usate per messaggiare o giocare, tra cui Discord, Messenger, Pinterest, Roblox, WhatsApp e YouTube Kids. La normativa, era stata approvata dal Parlamento australiano su impulso del Primo Ministro Anthony Albanese il 28 novembre del 2024, per tutelare la salute mentale dei minorenni. Negli ultimi anni, la letteratura scientifica ha accumulato dati sulla correlazione tra uso precoce dei social e aumento di ansia, depressione, disturbi del sonno e difficoltà di attenzione, dipendenza da stimoli rapidi e gratificazione immediata.
Il Social Media Minimum Age Bill prevede il divieto di accesso ai principali social network per i minori di 16 anni, spostando l’onere della verifica dell’età sulle piattaforme. La legge segna un passaggio che potrebbe aprire una nuova stagione di regolamentazione globale delle piattaforme digitali. Non saranno i genitori a dover dimostrare l’età dei figli, ma le aziende tecnologiche, chiamate a impedire l’iscrizione e l’uso dei social agli adolescenti. In caso di violazioni sono previste sanzioni fino a 50 milioni di dollari australiani, circa 28,5 milioni di euro. Il provvedimento nasce in un clima di crescente allarme pubblico per il benessere mentale dei giovani e intercetta un consenso diffuso. Le Big Tech e parte di accademia e società civile, da Amnesty alla Commissione diritti umani australiana, hanno però criticato la legge temendo effetti sui diritti e sui legami sociali dei minori. Allo stesso tempo, una parte consistente dell’opinione pubblica dubita dell’efficacia reale del divieto, temendo che venga aggirato con facilità o che produca effetti collaterali indesiderati. I nodi restano aperti: la verifica dell’età rischia di aprire la strada a sistemi di identificazione digitale invasivi, il confine tra tutela e controllo appare sottile e resta il dubbio sulla capacità di una legge nazionale di arginare colossi globali abituati a eludere le regole.
Il punto centrale rimane l’impatto dei social sullo sviluppo cognitivo ed emotivo di bambini e adolescenti. Negli ultimi anni, la letteratura scientifica internazionale ha consolidato un quadro sempre più critico sugli effetti dei social media sulla salute mentale degli adolescenti, in una fase della vita in cui il cervello è ancora in formazione. Studi pubblicati su JAMA Network hanno evidenziato come periodi anche brevi di sospensione dall’uso dei social portino a una riduzione significativa di ansia e sintomi depressivi, suggerendo una relazione diretta tra piattaforme digitali e disagio psicologico. Ricerche apparse su Nature e The Lancet, basate su dati longitudinali raccolti nel Regno Unito e negli Stati Uniti, mostrano che un uso intenso e precoce dei social è associato a un calo della soddisfazione di vita, a disturbi del sonno, difficoltà di attenzione e peggioramento dell’autostima negli anni successivi. Particolarmente preoccupanti sono i dati relativi alle ragazze adolescenti, più vulnerabili agli effetti del confronto sociale e dell’esposizione a modelli corporei idealizzati. Metanalisi recenti sottolineano inoltre un’associazione tra uso problematico dei social e aumento di ansia, depressione e comportamenti autolesionisti, pur evidenziando che i rischi crescono soprattutto con un utilizzo passivo, compulsivo e non mediato dagli adulti. Non è un caso che le associazioni pediatriche internazionali stiano rivedendo le proprie linee guida, suggerendo di rimandare l’uso dello smartphone e l’accesso ai social il più possibile. L’idea che un tredicenne possa gestire senza danni un flusso costante di contenuti algoritmici, notifiche e confronti sociali è sempre più contestata. I social media non sono spazi neutrali: sono ambienti progettati per catturare attenzione, generare dipendenza e raccogliere dati.
In questo contesto, la scelta australiana appare meno radicale di quanto venga raccontata e potrebbe inaugurare una nuova linea di intervento anche altrove. Vietare i social ai minori non significa negare il digitale, ma rompere il tabù occidentale secondo cui la tecnologia sarebbe neutra, inevitabile, progresso puro, un destino ineluttabile da assecondare. Resta da capire se il coraggio politico saprà resistere alle pressioni delle Big Tech e se il modello australiano diventerà un precedente capace di ispirare anche altri Paesi.




