domenica 7 Dicembre 2025

Chi decide sull’oro italiano? Dietro lo scontro tra governo Meloni e BCE

La Banca Centrale Europea chiude la porta a un emendamento presentato da Fratelli d’Italia alla legge di bilancio, primo firmatario il senatore Lucio Malan, e richiama Roma al rispetto delle regole dell’Eurozona. Con un parere formale, la BCE mette in guardia l’Italia contro qualsiasi tentativo volto a contestare l’indipendenza della banca centrale ed evidenzia conflitti con il Trattato UE e l’autonomia della Banca d’Italia. Il Ministero dell’Economia e delle Finanze (MEF) sta ora lavorando a una riformulazione del testo per recepire le obiezioni della BCE, anche se diversi esperti suggeriscono di ritirarlo del tutto per evitare nuovi attriti istituzionali. Al centro dello scontro c’è un tema che ciclicamente riemerge nel dibattito politico: la proprietà e il controllo delle riserve auree della Banca d’Italia. Una questione che va ben oltre il valore simbolico dell’oro e tocca un nervo scoperto del rapporto tra sovranità nazionale e architettura europea. L’iniziativa di FdI ha riacceso tensioni mai del tutto sopite tra politica e istituzioni monetarie, riportando alla luce una storica battaglia sovranista e sollevando il timore, per la BCE, di un precedente pericoloso. In gioco non c’è solo la gestione di uno dei maggiori patrimoni aurei mondiali, quello italiano, ma anche l’assetto istituzionale che regola i rapporti tra Stati membri, banche centrali nazionali e Unione Europea.

L’emendamento di Fratelli d’Italia

Il capogruppo di Fratelli d’Italia Lucio Malan

La versione originaria della proposta, firmata dal senatore e capogruppo di FdI Lucio Malan, enunciava una cosa apparentemente semplice: «Le riserve auree gestite e detenute dalla Banca d’Italia appartengono allo Stato, in nome del popolo italiano». Nei giorni scorsi, l’emendamento è stato riformulato in chiave interpretativa. Secondo il nuovo testo, la disposizione sulla gestione delle riserve ufficiali contenuta nel Testo Unico delle norme in materia valutaria «si interpreta nel senso che le riserve auree gestite e detenute dalla Banca d’Italia appartengono al popolo italiano». Il senatore Malan ha precisato che la versione aggiornata dell’emendamento è attualmente oggetto di istruttoria da parte della Banca centrale europea.

La cessione di sovranità monetaria all’UE

L’oro è già patrimonio dello Stato italiano, ma quando l’Italia è entrata nell’euro ha ceduto la sua sovranità monetaria all’Unione Europea. In pratica, lo Stato non può esercitare alcuna prerogativa diretta, perché ha accettato che la Banca d’Italia facesse parte di un sistema più grande: quello delle banche centrali europee, coordinate dalla BCE. Ed è proprio questo il nodo dello scontro. L’emendamento avanzato da FdI è, pertanto, in contrasto con i trattati europei e con lo statuto del Sistema Europeo delle Banche Centrali, il cosiddetto SEBC. L’articolo 127 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea obbliga gli stati membri a consultare la BCE in caso di interventi in materie che la riguardano, tra cui appunto l’oro.

La battaglia sovranista sulle riserve auree

L’emendamento di Fratelli d’Italia non è una novità. È una battaglia storica della destra, che risale ai tempi in cui lo stesso partito di Giorgia Meloni aveva posizioni apertamente antieuro e chiedeva l’uscita dell’Italia dall’Unione Europea. In tutta Europa, i partiti euroscettici contestano i vincoli che legano le banche centrali nazionali alla BCE. Non sorprende, quindi, che l’idea di riportare l’oro sotto il controllo diretto dei governi sia stata a lungo un tema centrale per le forze favorevoli, in passato, all’uscita dall’euro e dall’Unione Europea, come Lega e Fratelli d’Italia. Tra i promotori più attivi figuravano i leghisti Claudio Borghi e Alberto Bagnai e la stessa Giorgia Meloni, che negli anni dell’opposizione ha più volte invocato un utilizzo diretto delle riserve auree per sostenere misure di spesa pubblica.

Come disporre delle riserve auree?

L’oro non può essere utilizzato per finanziare deficit o nuove spese pubbliche. Le norme europee lo vietano esplicitamente. L’unico modo per “sfruttarlo” sarebbe venderlo o darlo in garanzia. Se il governo potesse effettivamente disporre delle riserve auree, potrebbe teoricamente usarle come un tesoretto politico per ridurre le tasse, finanziare opere pubbliche o sostenere misure contro la povertà. L’emendamento presentato da Malan non arriva a ipotizzare un impiego diretto dell’oro, ma il modo in cui è formulato lascia intendere una posizione implicita della maggioranza: l’idea che il patrimonio aureo possa essere messo al servizio della politica fiscale. Dall’altra, si aprirebbe uno scontro istituzionale perché significherebbe rinnegare l’indipendenza delle banche centrali. Per la BCE, anche piccole modifiche possono trasformarsi in crepe pericolose e l’indipendenza di Bankitalia rimane una linea rossa.

Una riserva tra le più grandi al mondo

L’Italia custodisce 2.452 tonnellate di oro fisico, la terza riserva aurea al mondo, superata solo da Stati Uniti (8.133 tonnellate) e Germania (3.352 tonnellate). Una dimensione che colloca Bankitalia tra gli attori strategici globali. Il valore dell’oro è iscritto a bilancio a circa 200 miliardi di euro, secondo criteri prudenziali, ma il valore di mercato – con l’oro che negli ultimi mesi ha ritoccato nuovi massimi – ha superato i 280 miliardi. Venderne una parte oggi comporterebbe un incasso potenzialmente elevato, ma allo stesso tempo indebolirebbe la riserva strategica del Paese. Inoltre, grandi vendite produrrebbero automaticamente un ribasso dei prezzi, riducendo il guadagno atteso.

La distribuzione della riserva aurea italiana

Se la riserva aurea italiana nasce in gran parte nel secondo dopoguerra, solo una parte è custodita in Italia (il 44,86%, 1.100 tonnellate), tra Palazzo Koch e le sedi dell’Eurosistema. Una quota significativa, stimata attorno al 43,29% (circa 1.061,5 tonnellate), è depositata presso la Federal Reserve Bank di New York, uno dei caveau più sicuri e storicamente più utilizzati al mondo. Il trasferimento di una parte delle riserve auree negli USA risale agli accordi di Bretton Woods del 1944: allora, molti Paesi depositarono parte del loro oro negli Stati Uniti –considerati il centro della finanza globale e il Paese più sicuro per stoccare metallo fisico – e l’Italia, uscita dal conflitto in condizioni fragili, adottò la stessa strategia. Il resto si trova presso la Banca d’Inghilterra (5,76% per 141,2 tonnellate) e la Banca dei Regolamenti Internazionali (BRI) a Basilea (6,09% 149,3 tonnellate). Questa distribuzione non risponde a logiche politiche, ma operative: l’oro all’estero è più facilmente mobilizzabile per eventuali operazioni di mercato, swap o garanzie internazionali.

Il parere della BCE: un altolà formale

La presidente della Banca centrale europea (BCE), Christine Lagarde

La BCE, attraverso un parere firmato da Christine Lagarde, ha bocciato l’emendamento avanzato da FdI, ricordando che l’oro detenuto da Bankitalia fa parte delle riserve ufficiali dell’Eurosistema. Ciò implica che nessuno Stato membro può disporne unilateralmente. Interpellata dall’eurodeputato Tridico, Lagarde ha chiarito che, secondo i trattati europei, la detenzione e la gestione delle riserve spettano esclusivamente alla banca centrale nazionale di ciascuno Stato membro. «La Banca d’Italia non è diversa da qualsiasi altra banca centrale», ha rimarcato la presidente della BCE, ribadendo come la gestione operativa, contabile e distributiva dell’oro resti di sua piena competenza, senza alcuna variazione rispetto al parere già espresso nel 2019.

Il rischio di un precedente per l’Eurozona

Lagarde ha di fatto ricordato che l’assetto giuridico europeo assegna alle banche centrali nazionali la piena gestione delle loro riserve. La BCE vuole preservare tale equilibrio istituzionale su cui si fonda l’Eurosistema ed evitare che si crei un precedente: un trasferimento di proprietà o una riformulazione ambigua della norma sulla gestione delle riserve auree potrebbe aprire la strada a un uso politico dell’oro, creando un precedente in tutta l’Eurozona. Se un Paese modifica unilateralmente il quadro relativo alle proprie riserve, altri potrebbero sentirsi legittimati a fare lo stesso, con impatti potenzialmente pericolosi per la stabilità dell’Eurozona.

Un equilibrio delicato

Lo scontro tra governo e BCE non è un caso isolato, ma il segnale di un contesto in cui la politica cerca nuovi spazi di manovra dentro un sistema europeo sempre più strutturato. La vicenda dimostra quanto sia sottile il confine tra sovranità nazionale e regole dell’Eurozona e come, paradossalmente, l’oro continui a essere un nodo sensibile anche nell’epoca della finanza digitale. Attribuire formalmente alla Repubblica la proprietà di un bene che il governo non può toccare e che rimane nella disponibilità operativa di una banca centrale indipendente, produce effetti concreti minimi, a meno che non rappresenti il primo passo verso un ripensamento radicale dell’unione monetaria: un’ipotesi estrema sul piano politico, ma che, dal punto di vista tecnico, passerebbe proprio attraverso il controllo delle riserve auree.

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Enrica Perucchietti

Laureata con lode in Filosofia, vive e lavora a Torino come giornalista, scrittrice ed editor. Collabora con diverse testate e canali di informazione indipendente. È autrice di numerosi saggi di successo. Per L’Indipendente cura la rubrica Anti fakenews.

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