Nel 2018 e nel 2019, Boeing è stata protagonista di due disastri aerei che hanno messo a nudo le falle più profonde delle sue pratiche industriali e gestionali. Due tragedie che sono costate la vita a 346 persone e che hanno acceso come non mai i riflettori sulle criticità sistemiche di un modello d’impresa orientato al contenimento dei costi e alla massimizzazione dei profitti, spesso a scapito della sicurezza. Giovedì 6 novembre, su richiesta del Governo statunitense, il giudice federale incaricato del caso ha deciso di archiviare il procedimento, approvando un accordo che consente a Boeing di evitare qualsiasi ammissione di colpa.
La decisione ha scatenato comprensibilmente un’ondata di indignazione tra i familiari delle vittime, i quali chiedono da anni giustizia e trasparenza. I due incidenti, avvenuti rispettivamente in Indonesia e in Etiopia, coinvolgevano il modello Boeing 737 MAX, un aereo dotato di un sistema automatico di controllo del volo (MCAS) progettato per correggere l’assetto in determinate condizioni, ma che, a causa di un singolo sensore difettoso e di un addestramento inadeguato dei piloti, si è trasformato in una trappola mortale. Nel periodo successivo, indagini hanno inoltre messo in luce la sistematica manipolazione di documenti tecnici e di manutenzione da parte dell’azienda, un modus operandi che conferma una cultura dirigenziale che ha in spregio la sicurezza delle persone.
Nonostante simili premesse, l’Amministrazione Biden aveva negoziato un compromesso con Boeing: in cambio dell’archiviazione delle accuse più gravi, l’azienda avrebbe riconosciuto la propria responsabilità per frode e ostruzione alle indagini, pagato una multa, risarcito le famiglie e accettato una supervisione esterna per tre anni da parte di un organismo indipendente. Con l’insediamento del presidente Donald Trump, i termini dell’accordo sono però stati ulteriormente addolciti. Un’eventuale ammissione di colpevolezza avrebbe però inciso negativamente sugli appalti assegnati dal Dipartimento della Guerra a Boeing, sia sul piano aeronautico che sul frangente spaziale, quindi la Casa Bianca ha ben deciso di rimuovere questo requisito, eliminando nel frattempo anche l’istituzione di un meccanismo di vigilanza.
Nella formulazione più recente, l’impresa si impegna a versare 1,1 miliardi di dollari tra multe, risarcimenti e investimenti interni all’azienda, nonché ad assumere alle proprie dipendenze dei “consulenti indipendenti per la conformità”. Una soluzione che, tuttavia, lascia ampi dubbi sulla reale efficacia del controllo e sulla capacità del sistema giudiziario di garantire responsabilità in casi di tale portata. I familiari delle vittime hanno chiesto al giudice distrettuale Reed O’Connor di respingere l’accordo, ma quest’ultimo, pur riconoscendone la debolezza, ha dichiarato di non avere il potere di opporsi alla volontà dell’esecutivo. Nelle sue stesse parole, “l’accordo non assicura il livello di responsabilità necessario a garantire la sicurezza del pubblico volante”, tuttavia rappresenta, secondo il governo, una scelta strategica nell’interesse pubblico. Gli avvocati delle famiglie hanno già annunciato che presenteranno ricorso.
Da parte sua, l’amministrazione statunitense difende la decisione sostenendo che Boeing abbia migliorato le proprie procedure di sicurezza e che la Federal Aviation Administration (FAA) ne stia monitorando da vicino le operazioni. Una posizione opinabile: appena pochi giorni fa, un velivolo cargo Boeing operato da UPS è precipitato, provocando la morte di dodici persone. Un nuovo segnale, tragicamente concreto, che la fiducia nei cieli — e nei colossi che li dominano — è ancora lontana dall’essere pienamente riconquistata.




