«Sebbene il cambiamento climatico abbia gravi conseguenze, in particolare per le popolazioni dei Paesi più poveri, non porterà all’estinzione dell’umanità». Dopo aver promosso tecnologie pulite e finanziato startup per l’idrogeno e per la decarbonizzazione, Bill Gates – che solo quattro anni fa aveva pubblicato un libro dal titolo Clima. Come evitare un disastro – ridimensiona l’emergenza climatica: la priorità non sarebbe più la drastica riduzione delle emissioni, ma il miglioramento delle condizioni umane nei Paesi più poveri. La sua svolta sul clima più che un cambio di visione somiglia a un adattamento strategico, che sposta il dibattito sul terreno che domina, quello della tecnologia privata e dell’innovazione finanziata dal capitale. Così, Gates rafforza la propria influenza globale e, attenuando l’allarmismo, punta ad accreditarsi come mediatore ideale, tra pragmatismo politico e sostenibilità economica nell’era Trump.
In un lungo articolo su Gates Notes, il fondatore di Microsoft invoca la retromarcia: «C’è una visione apocalittica del cambiamento climatico che recita così: “Tra pochi decenni, un cambiamento climatico catastrofico decimerà la civiltà. Le prove sono ovunque: basta guardare le ondate di calore e le tempeste causate dall’aumento delle temperature globali. Nulla è più importante che limitare l’aumento della temperatura”. Fortunatamente per tutti noi, questa visione è sbagliata». Negli ultimi anni, Gates ha costruito un impero verde, orientando parte delle sue risorse verso startup e fondi che puntano a innovazioni “green”. I suoi investimenti spaziano da soluzioni per l’accumulo di energia, al nucleare di nuova generazione, passando per l’idrogeno e altre tecnologie pulite. La sua iniziativa Breakthrough Energy è diventata veicolo finanziario per tecnologie fotovoltaiche, nucleari di nuova generazione e idrogeno pulito, mentre la startup Koloma sostenuta da Gates ha raccolto 245,7 milioni di dollari per la trivellazione di idrogeno «bianco», estratto da giacimenti naturali, con lo scopo dichiarato di ridurre le emissioni di CO₂.
Oggi, il filantrocapitalista più famoso al mondo imbocca la strada contraria e se la prende con gli allarmisti del clima – che lui stesso aveva ispirato – mettendo in discussione anche il metodo principale adottato per invertire la rotta del surriscaldamento globale: tagliare le emissioni di CO2. Nel novembre prossimo, alla conferenza internazionale sul clima COP30, Gates esorta a un «pivot strategico»: non più solo tagli delle emissioni, ma adattamento, rafforzamento dei sistemi sanitari, accesso all’elettricità pulita e alleviamento della povertà. Gates non nega la crisi climatica, ma ne ridimensiona la portata e accusa le istituzioni internazionali – «spinte da ricchi azionisti» – di aver imposto una guerra ai combustibili fossili che ha peggiorato le condizioni di vita nei Paesi poveri. La temperatura globale «non è il modo migliore per misurare i nostri progressi» e il successo climatico, scrive, si valuta dall’impatto sul benessere umano più che sulla colonnina di mercurio. Un cambio di paradigma che riecheggia la tesi del libro False alarm dell’economista Bjørn Lomborg, secondo cui «L’allarmismo ci rende difficile pensare in modo intelligente a soluzioni climatiche efficaci» e «sposta l’attenzione da altri problemi globali altrettanto importanti».
La solta di Gates arriva in perfetta corrispondenza con il riallineamento dell’élite capitalistica all’era di Donald Trump, una inversione di 180 gradi già compiuta anche dalle big tech statunitensi.
Il “nuovo realismo climatico” di Bill Gates rivela la consueta logica del filantrocapitalismo, quella fusione di profitto e altruismo di facciata che, come spiega Linsey McGoey in No Such Thing as a Free Gift, trasforma la filosofia del dono in un investimento e in uno strumento di pressione. La Gates Foundation, tra i maggiori finanziatori dell’OMS, influenza le agende pubbliche globali, senza rispondere a criteri democratici. Lo stesso schema si ripete su green: miliardi investiti in startup e brevetti producono rendimenti e controllo tecnologico più che un vero e proprio progresso ambientale. McGoey parla di «vincere il paradiso economicamente»: apparire benefattori sul palcoscenico mediatico, mentre si consolidano posizioni dominanti. La svolta climatica di Gates serve così ad allinearsi al nuovo corso energetico, in modo da tutelare i suoi stessi interessi industriali, mantenendo influenza politica e vantaggi economici.




