Da Londra a Sarajevo, il Tribunale di Gaza approda a Istanbul nella sua sessione finale, ospitando i più illustri esperti del conflitto israelo-palestinese e le deposizioni dei superstiti del genocidio di Gaza per «documentare e valutare evidenze e testimonianze» riguardo ai crimini di guerra perpetrati dal governo israeliano. Non è un’istituzione giuridica, ma un’indagine collettiva con intenti probatori al fine di catalogare e raccogliere le voci di attivisti, testimoni oculari, cooperanti e accademici su ciò che è accaduto in questi due anni di genocidio, e ciò che dagli Accordi di Oslo avviene quotidianamente in Palestina. Il tribunale aperto a tutti gli uditori previa registrazione, è stato la voce corale che porterà le sue evidenze alla Corte Internazionale di Giustizia e la Corte Penale Internazionale, auspicando, questa volta, di avere dei colpevoli in carne e ossa al banco degli imputati.

A pochi passi da Piazza Beyazit, una berlina bianca crivellata di colpi con la foto di Hind Rajab, la bambina divenuta protagonista del film Leone d’Argento che ne racconta i suoi ultimi attivi di vita dopo un attacco di un drone israeliano a Gaza, è l’istallazione dirompente che promuove il Tribunale. Dal 23 al 26 ottobre l’evento ha coinvolto centinaia di partecipanti nella grande hall dell’Università di Istanbul provenienti da tutto il mondo, ma purtroppo con poco attenzionamento da parte della stampa europea.
La struttura
Istituito a novembre nel 2024 da Richard Falk, giurista ed ex relatore speciale Onu per i Territori occupati, il tribunale è costituito da “Giuristi di Coscienza” e diviso in tre camere giurisdizionali: una dedicata alla legge internazionale e la riflessione sui suoi limiti; un’altra sulle relazioni internazionali e l’ordine mondiale; l’ultima sulla storia, l’etica e la filosofia morale.
Dall’altra parte ci sono i testimoni nei comitati di sostegno:
- Il Consiglio Politico che vede giuristi e accademici mostrare gli studi sul sistema coloniale di apartheid nello stato delle Palestina e l’evoluzione del colonialismo economico, dalle sue origini fino al processo di sostituzione etnica.
- Il comitato della Società Civile con referenti di ONG operanti nei settori di welfare e assistenza alla popolazione.
- Il corpo mediatico con i suoi report.
Il Tribunale di Gaza nasce sulle orme del Tribunale Russell, chiamato originariamente anche Tribunale internazionale contro i crimini di guerra e fondato da Bertrand Russell e Jean-Paul Sartre nel novembre 1966, con l’obiettivo iniziale di indagare i crimini commessi dall’esercito statunitense nella guerra del Vietnam. Dopo di quello ne seguirono altri compresa un’edizione dedicata alla Palestina nel 2015.
When voices fades, conscience is made. Questo uno degli slogan che hanno tappezzato i corridoi dell’università insieme a videomapping sulle macerie che hanno sostituito una città un tempo vitale, banner con video testimonianze disponibili anche online , percorsi fotografici e attività partecipative.

Nomi come Hilial Helver, ex relatrice speciale per le Nazioni Unite per il diritto al cibo, Javid Abdelmoneim, presidente internazionale di Medici Senza Frontiere e testimone oculare delle condizioni dei presidi sanitari sulla Striscia e l’ex leader del partito laburista britannico Jeremy Corbyn, che ha riassunto la complicità della Gran Bretagna con la fornitura militare all’esercito israeliano, sono solo alcuni degli attori coinvolti.
I principali capi d’accusa chiave identificati sono stati:
- Denutrizione e carestia attraverso la negazione deliberata di cibo e acqua e la distruzione sistematica dell’intero sistema alimentare.
- Domicidio non solo come distruzione intenzionale e di massa delle abitazioni e delle loro infrastrutture come elettricità, acqua e servizi igienici. Una casa rappresenta amore, vita, un deposito di ricordi, speranze e aspirazioni. La sua distruzione provoca sfollamento, trauma, disintegrazione delle comunità e una profonda perdita culturale.
- Ecocidio che descrive un particolare tipo di guerra basata sulla devastazione della fertilità del suolo, della qualità dell’aria, delle fonti di cibo e d’acqua: un danno ambientale catastrofico che annienta la capacità di sopravvivere anche dopo la fine dei bombardamenti.
- La distruzione deliberata e l’attacco contro le infrastrutture sanitarie, le attrezzature e il personale medico sono stati sistematici per decenni e sono ormai quasi totali. I danni psico-fisici della popolazione sono dovuta a una disumanizzazione pianificata.
- Reprocidio ovvero il bersagliamento intenzionale e sistematico dell’assistenza riproduttiva palestinese, attraverso la prevenzione delle nascite, l’eliminazione di vite future e della possibilità di riprodursi in sicurezza.
- Scolasticidio, il genocidio della conoscenza, la distruzione del futuro intellettuale della Palestina mediante l’uccisione, il silenziamento e lo sfollamento di una generazione di studenti e insegnanti, la distruzione di scuole e università, l’annientamento di sogni e aspirazioni.
- Attacchi ai giornalisti. La “documentazione del genocidio” è portata avanti dai giornalisti palestinesi, i quali insieme alle loro famiglie sono presi di mira.
Ridurre al silenzio questi giornalisti è essenziale per nascondere il genocidio. Si documenta che questo sia stato il conflitto con il più alto tasso di omicidi tra giornalisti e reporter. - Tortura, violenza sessuale, sparizioni, violenze di genere in detenzione, ai checkpoint, durante le perquisizioni domestiche, negli sfollamenti e in altri contesti.
- Politicidio cioè l’assassinio mirato e il rapimento di leader politici e culturali, rappresentanti, attivisti, e la distruzione delle istituzioni civiche.
Un’aspra critica è stata rivolta anche nei confronti dell’immobilità delle istituzioni internazionali, come le Nazioni Unite e la Corte Internazionale di Giustizia, e nei confronti della compartecipazione attiva degli Stati Uniti per un più generalista coinvolgimento in un’economia di guerra da parte di più Stati.
La rilevanza simbolica e politica e la sua funzione di piattaforma della memoria ha reso questo tribunale popolare un archivio inestimabile e una mobilitazione che mette in discussione gli organismi istituzionali. Il documento finale pubblicato ha spezzato la narrativa dominante che considera le sofferenze a Gaza come semplicemente “effetti collaterali” del conflitto, sostenendo invece che vi sia una logica intenzionale e sistematica in quello che è stato definito «Il genocidio più documentato, trasmesso e prolungato sterminio collettivo dalla fine della Seconda guerra mondiale».




