giovedì 16 Ottobre 2025

L’app “antibufale” sbarca nelle scuole: la curerà La Repubblica con il patrocinio UE

Una nuova app contro le fake news entrerà presto nelle scuole italiane. Si chiama “Missione anti-bufala” ed è un progetto promosso da La Repubblica, che sarà gestito da Vik, la start-up italiana di educazione civica digitale, con il patrocinio del Parlamento Europeo. L’iniziativa, presentata all’Università Roma Tre, è un percorso interattivo per insegnare agli studenti a riconoscere e smontare le notizie false, sarà sperimentata in diversi istituti e punta a coinvolgere migliaia di ragazzi. Attraverso quiz, missioni e giochi digitali, l’app promette di stimolare il pensiero critico e di educare all’uso consapevole delle fonti online. L’annuncio, salutato con entusiasmo dai promotori e con interesse dal mondo scolastico, ha suscitato, però, anche perplessità: che una testata giornalistica, da sempre riconoscibile per la propria linea politica e culturale, assuma un ruolo centrale nell’educazione alla “verità” nelle scuole non lascia indifferenti.

Sostenuta dalle istituzioni europee, l’iniziativa riapre così il dibattito sul confine sempre più sottile tra formazione critica e indottrinamento, tra educazione alla verifica dei fatti e legittimazione di una “informazione certificata”. Più che un semplice strumento di alfabetizzazione mediatica, l’app potrebbe diventare un mezzo di orientamento ideologico, capace di influenzare la percezione stessa delle notizie. A rendere il quadro ancora più complesso per il patrocinio UE, contribuiscono le rivelazioni contenute nel dossierBrussels’s media machine” di Thomas Fazi sulla “macchina del consenso europea”, che denuncia il sistema di finanziamenti diretti e indiretti provenienti da Bruxelles destinati ai principali media occidentali, tra cui anche testate italiane. Secondo Fazi, attraverso sovvenzioni e partnership istituzionali, l’Unione Europea avrebbe costruito una rete di relazioni capace di orientare l’informazione verso una narrazione favorevole alle proprie politiche, presentata come “lotta alla disinformazione”.

Secondo quanto riportato da Repubblica, l’app guiderà gli studenti, attraverso un gioco interattivo, a riconoscere e smontare le fake news. L’obiettivo dichiarato è quello di «insegnare ai ragazzi a difendersi dalla disinformazione». In apparenza, nulla di male: chi potrebbe opporsi a un’iniziativa che promuove lo spirito critico? Eppure, dietro la facciata pedagogica, si cela un cortocircuito profondo. A gestire l’app sarà Vik, Very Important Kids, che realizza campagne educative sui temi dell’Agenda 2030 e corsi di formazione per studenti dai 9 ai 13 anni. La società è finanziata da FuturED, una rete che aiuta l’evoluzione delle startup, offrendo il supporto economico di aziende come Pfizer, Cisco e Vodafone. Nello specifico, a promuovere il progetto è Repubblica, che, da anni, plasma l’opinione pubblica con un approccio schierato, militante, ideologico. Non un ente indipendente, né un’università o un osservatorio pluralista, ma un editore con un chiaro interesse nel definire cosa sia “vero” e cosa no. Così, l’app rischia di trasformarsi in un cavallo di Troia mediatico, con il pretesto dell’educazione digitale usato per colonizzare le menti più giovani. Non si tratta di insegnare a ragionare, ma di insegnare come ragionare, entro i limiti imposti dalla narrazione dominante. L’iniziativa “anti-fake news” rappresenta un salto qualitativo rispetto ad analoghe iniziative: per la prima volta, un grande quotidiano entra direttamente nelle scuole, portando con sé la propria visione del mondo, i propri interessi e le proprie contraddizioni. In un contesto educativo già fragile, dove il pensiero critico dovrebbe essere incentivato e non delegato, affidare ai media di massa la funzione di arbitri della verità equivale a chiudere il cerchio della propaganda.

Chi pretende di combattere le fake news dovrebbe per primo essere immune dai peccati della disinformazione. Ma La Repubblica non lo è. Il giornale ha più volte dimostrato di essere vittima e artefice della manipolazione informativa. I nostri lettori ricorderanno quando il quotidiano, in un articolo firmato da Giuliano Foschini, insinuò (senza alcuna prova o fondamento) che L’Indipendente fosse “finanziato dai russi”. La figuraccia non è un episodio isolato. Negli anni, Repubblica ha diffuso notizie sensazionalistiche poi rivelatesi infondate. Un paio di esempi su tutti: “Mancano munizioni, russi all’assalto del nemico con le pale” (La Repubblica, 6 marzo 2023); “Perché le sanzioni contro la Russia stanno funzionando” (La Repubblica, 12 settembre 2022). Il quotidiano ha anche adottato un doppiopesismo sui bambini palestinesi e quelli israeliani, ha rilanciato campagne d’allarme prive di verifica e ha adottato una linea editoriale spesso più militante che giornalistica. Ha anche usato in maniera elastica l’accusa di “complottismo” o di “disinformazione” per delegittimare le voci scomode e divergenti e per ridicolizzare chi non si allinea al pensiero dominante. Da segnalare anche il caso di commistione tra pubblicità e informazione: fu proprio il Comitato di redazione a denunciare la pubblicazione, dietro lauto compenso, di contenuti pressoché dettati dalle aziende e spacciati come giornalistici. 

Eppure, oggi si propone come arbitro assoluto della verità, come se la sua storia recente non fosse costellata di errori e distorsioni. È proprio questo il paradosso: un giornale che ha contribuito a creare l’ecosistema della polarizzazione e della sfiducia nei confronti dei media pretende ora di curarlo con una app educativa. Così, la guerra alle bufale rischia di trasformarsi in uno strumento di controllo culturale, in una nuova forma di maccartismo digitale che assegna bollini di verità ai contenuti graditi al sistema e squalifica come “complottiste” le voci dissenzienti. Lo studente non sarà guidato a verificare in modo autonomo, ma a interiorizzare un paradigma di pensiero conforme alla linea editoriale dominante. È la logica dell’“ingegneria del consenso”: un pluralismo apparente che nasconde l’imposizione di una sola verità, certificata dal potere mediatico. Perché la scuola resti un luogo di libertà, occorre ribaltare la prospettiva: la lotta alla disinformazione non deve essere monopolio di chi controlla i giornali, ma uno spazio aperto al confronto tra visioni diverse. Solo un pluralismo autentico, sostenuto da strumenti trasparenti, obiettivi e indipendenti, può generare cittadini consapevoli e non sudditi digitali.

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Enrica Perucchietti

Laureata con lode in Filosofia, vive e lavora a Torino come giornalista, scrittrice ed editor. Collabora con diverse testate e canali di informazione indipendente. È autrice di numerosi saggi di successo. Per L’Indipendente cura la rubrica Anti fakenews.

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