lunedì 11 Agosto 2025

Occupazione di Gaza: la complicità USA e l’inerzia globale davanti al piano di occupazione

Nonostante il via libera del gabinetto israeliano per occupare interamente la Striscia di Gaza, le reazioni del mondo davanti all’ennesimo atto criminale di Israele seguono ancora lo stesso copione: voci grosse di condanna e preoccupazione si sono levate da tutto il globo, ma a prendere azioni concrete sono sempre le solite mosche bianche. I più arditi annunciano contromisure di facciata, come nel caso della Germania, che fermerà il commercio di armi che «potrebbero venire utilizzate nella Striscia di Gaza». Russia e Cina chiamano il cessate il fuoco, il Regno Unito «esorta» Israele a riconsiderare le sue decisioni, il mondo arabo ne critica la condotta mentre firma con esso accordi plurimiliardari, l’Italia non proferisce parola. Nessuno, insomma, è deciso a muovere un dito per fermare Israele. Gli USA sono a loro modo gli unici a dire le cose come stanno realmente: occupazione o non occupazione, Israele potrà sempre fare quello che vuole senza temere ripercussioni.

Il piano di invasione di Gaza è stato approvato all’alba di oggi, 8 agosto, e prevede un’occupazione della Striscia da attuare e, una volta realizzata, portare avanti fino a data da destinarsi. Sin dall’annuncio del piano rilasciato dai quotidiani israeliani, la notizia ha scatenato quella ormai rituale reazione di condanna generale, piena di parole e priva di concretezza. Dal Vecchio Continente, il Regno Unito, la Germania, la presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen hanno chiesto a Israele di ritrattare; Francia e Italia non sembrano invece aver ancora rilasciato neanche una parola di condanna. Tra gli altri Paesi del G7, assenti anche le reazioni del Giappone e del Canada. Simili dichiarazioni sono arrivate invece da Norvegia, Belgio, Spagna, Turchia, Australia, Sudafrica e Brasile, così come dall’ONU. A stare sostanzialmente in silenzio, tuttavia, non è solo il blocco del G7: la Russia si limita a chiedere un cessate il fuoco, la Cina ha rilasciato un appello simile a quello dei Paesi europei, mentre il mondo arabo e islamico si divide tra chi, come gli Emirati, preferisce limitarsi a chiamare al rispetto della legge internazionale, e chi, come l’Egitto, usa parole forti di condanna, salvo poi stringere accordi con Israele.

Insomma, quasi tutto il mondo dice di essere contro l’occupazione di Gaza e denuncia i crimini israeliani in Palestina, ma nessuno, a eccezione di pochi Paesi con limitato potere contrattuale (come il Belize nell’America Centrale, la Bolivia, la Colombia e il Cile nell’America Meridionale o la Slovenia in Europa), è deciso a fare qualcosa per fermare Tel Aviv. Un motivo per cui il genocidio palestinese continua è proprio questo: da quando Trump è salito alla Casa Bianca, gli Stati Uniti hanno aumentato ancora di più il proprio sostegno alle azioni dello Stato ebraico, mentre intanto i Paesi arabi e islamici e il resto delle potenze mondiali si limitano a rilasciare dichiarazioni o, nel migliore dei casi, prendono iniziative di facciata: il genocidio palestinese sta essendo trattato dalla maggior parte dei Paesi del mondo come una scomoda questione politica.

In questo, il caso dell’Egitto è esemplificativo: mentre condanna pubblicamente il «genocidio sistematico» del popolo palestinese, il presidente egiziano Al-Sisi ha infatti firmato un accordo dal valore di 35 miliardi di dollari per comprare gas da Israele, in un giacimento situato a 200 metri dalla costa di Gaza. Anche i vari annunci di riconoscimento dello Stato di Palestina da parte dei Paesi europei viaggiano nella stessa direzione, essendo stati rilasciati sulla base delle promesse del presidente dell’Autorità Nazionale Palestinese Mahmoud Abbas, che nella sostanza ha affermato di essere pronto a istituire uno Stato privo di sovranità; gli annunci europei, inoltre, non sono stati accompagnati da misure concrete volte a garantire che lo Stato di Palestina non si limiti a essere riconosciuto, ma che esista davvero. La lista di cose che gli Stati potrebbero fare per esercitare una reale pressione su Tel Aviv è interminabile: ratificare un embargo totale di armi, sospendere i trattati commerciali, sanzionare lo Stato e le entità che collaborano con il genocidio. Eppure, nessuno sembra intenzionato a farle.

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Dario Lucisano

Laureato con lode in Scienze Filosofiche presso l’Università di Milano, collabora come redattore per L’Indipendente dal 2024.

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