In quella che il mondo Occidentale insiste a definire “unica democrazia del Medio Oriente” le già esigue voci di critica che si sollevano contro l’operato genocida del proprio Stato vengono allontanate con la violenza. È successo a Ofer Cassif, deputato di Hadash, partito che si definisce non-sionista. Nel suo discorso davanti al Parlamento, Cassif ha detto che Israele sta commettendo un genocidio nella Striscia di Gaza, citando un movimento di ammissione che lentamente e faticosamente sta prendendo piede anche tra una minoranza di intellettuali ebraici. Una parola proibita all’interno del palazzo del potere israeliano, dove Cassif è stato prima contestato e interrotto da alcuni parlamentari di altri schieramenti e poi portato via senza che gli sia stato concesso di terminare il discorso.
Ofer Kassif è stato cacciato dall’aula della Knesset, il parlamento monocamerale israeliano, ieri sera, lunedì 4 agosto. Il deputato stava leggendo un discorso per commemorare il “massacro di Shefaram” di vent’anni fa, in cui un soldato israeliano sparò all’interno di un autobus uccidendo 4 arabi israeliani. Nel suo intervento, Kassif ha citato un’intervista a David Grossman rilasciata a La Repubblica, in cui lo scrittore israeliano ammette che quello che Israele sta commettendo a Gaza è un genocidio; non appena il deputato ha pronunciato la parola “genocidio” sono iniziate a sollevarsi voci di dissenso contro di lui, che lo hanno intimato a non utilizzare quel termine all’interno del Parlamento. Kassif ha continuato a parlare per circa un minuto, mentre le urla contro di lui si sono moltiplicate, e l’aula si è scaldata; è stato così chiamato un uomo della sicurezza, che ha spostato il microfono con cui Kassif stava parlando, per poi prendere il deputato di peso e portarlo fuori dall’aula.
Non è la prima volta che Ofer Kassif, che da oltre un anno accusa il proprio Paese di genocidio, viene allontanato dalla Knesset per avere preso una posizione contro il genocidio in corso a Gaza. L’ultima volta era stata lo scorso luglio, quando era stato sospeso dalle attività parlamentari per avere contestato il genocidio a Gaza e la campagna militare di Israele in Iran durante la Guerra dei dodici giorni. Poco prima, anche il leader di Hadash, Ayman Odeh, era stato oggetto di un procedimento per avere contestato le politiche israeliane, tanto che contro di lui era stata avanzata una richiesta di impeachment, poi non approvata. La scure della censura israeliana si è abbattuta anche sui media, come accaduto all’emittente qatariota Al Jazeera e al giornale israeliano di sinistra Hareetz.
In generale, quella che l’Occidente definisce “unica democrazia del Medio Oriente” ha ben poco di democratico. Tra i casi più eclatanti che contraddicono questa narrativa ci son quelli di leggi che negano i diritti dei palestinesi, a cui Israele ha imposto addirittura il controllo delle relazioni amorose; c’è poi la legge sulla cittadinanza e sull’entrata in Israele, anche detta «messa al bando della riunificazione delle famiglie», secondo cui nessun individuo di nazionalità straniera proveniente dalla Striscia di Gaza o dalla Cisgiordania può entrare in Israele o ottenere la cittadinanza se non per comprovati motivi lavorativi o di salute. La più contraddittoria, tuttavia, è forse la cosiddetta Legge della Nazione, che definisce Israele come la patria storica del popolo ebraico, minando al contempo il concetto di Stato democratico: questo perché se lo Stato è ebraico, non può essere democratico, perché non può esistere al suo interno uguaglianza. Mentre se è democratico, non può essere ebraico, in quanto una democrazia non garantisce privilegi sulla base dell’origine etnica né tantomeno della religione professata.