Dopo circa una settimana dal lancio dell’attacco israeliano sulla Repubblica Islamica, Israele e Iran continuano a scambiarsi missili con cadenza giornaliera, ma l’attenzione dei siti di informazione è rivolta altrove, precisamente verso gli Stati Uniti. Col passare dei giorni, sempre più segnali suggerirebbero che Washington stia valutando l’opzione di entrare direttamente nel conflitto schierandosi al fianco di Israele, e sui media specializzati hanno iniziato a proliferare ipotesi e speculazioni. A far suonare i primi campanelli d’allarme sarebbero le stesse dichiarazioni di Trump, come al solito caratterizzate da un linguaggio particolarmente esplicito: proprio ieri, il presidente degli USA ha condiviso un post in cui sostiene di sapere dove si rifugia il leader iraniano Khamenei, ma di non avere intenzione di assassinarlo, almeno «per ora». A destare sospetti sono anche i presunti movimenti degli USA, che secondo alcune delle maggiori agenzie di stampa internazionali avrebbero trasferito altri aerei da guerra nella regione e che starebbero pianificando di attaccare uno degli stabilimenti nucleari più importanti del Paese.
Le speculazioni circa un potenziale coinvolgimento degli Stati Uniti nel conflitto in corso tra Israele e Iran sono iniziate a comparire sin dal lancio dell’attacco unilaterale da parte di Israele, nella notte tra giovedì 12 e venerdì 13 giugno. Malgrado abbia inizialmente invitato alla moderazione, il presidente statunitense ha gradualmente cambiato i toni, usando sempre più minacce e allusioni. Già il 13 giugno, Trump scriveva che se l’Iran non avesse raggiunto un accordo, gli attacchi si sarebbero intensificati. È tuttavia solo negli ultimi giorni che i media di tutto il mondo hanno iniziato a chiedersi con maggiore insistenza se gli Stati Uniti abbiano intenzione di partecipare direttamente al conflitto. A fare scattare i dubbi è stato l’atteggiamento di Trump in occasione del G7 in Canada. Lunedì 16 giugno, mentre Israele parlava chiaramente del suo obiettivo di rovesciare il regime di Teheran, Trump lasciava gli incontri del vertice mondiale a Kananaskis per dedicarsi a «ciò che sta succedendo in Medio Oriente».
Il fatto che Trump sia tornato a Washington con un giorno di anticipo rispetto a quanto programmato ha fatto sorgere i primi sospetti, poi alimentati dallo scambio indiretto che il presidente USA ha avuto con Macron: dopo la partenza prematura di Trump, il presidente francese ha infatti sottolineato l’importanza di un cessate il fuoco nella regione, venendo smentito da Trump che ha affermato di non stare tornando alla Casa Bianca per lavorare a una eventuale tregua tra Israele e Iran: «[Macron] non ha idea del perché io sia ora in viaggio per Washington, ma di certo non ha nulla a che fare con un cessate il fuoco. È molto più importante». Ieri, Trump ha ribadito con toni accesi che «l’Iran non può dotarsi di un’arma nucleare» invitando «tutti» a «evacuare immediatamente Teheran», facendo crescere ancora più i sospetti. Sempre ieri, nel tardo pomeriggio, è arrivata la dichiarazione più cruda, in cui Trump minaccia non troppo velatamente il capo iraniano Khamenei e chiede a Teheran di arrendersi «incondizionatamente».
Secondo alcuni commentatori, l’escalation nei toni di Trump, le sue parole allusive, le dichiarazioni volutamente criptiche, l’invito ad abbandonare Teheran, e gli atteggiamenti ambigui del presidente sarebbero il segnale di un imminente attacco diretto degli USA alla Repubblica Islamica. I sospetti, tuttavia, non si limitano alla condotta del presidente statunitense. Secondo delle fonti anonime citate ieri dall’agenzia di stampa Retuers, Washington starebbe trasferendo aerei da guerra nella regione mediorientale, tra cui caccia F-16, F-22 e F-35. Sempre ieri, il trasferimento di aerei è stato confermato anche da Euronews che ha condotto una analisi su siti di tracciamento dei movimenti aerei.
Oltre ai caccia, gli Stati Uniti starebbero iniziando a trasferire diversi aerei da rifornimento: il sito di tracciamento di voli Flight Radar ha infatti notato il trasferimento dagli USA all’Europa di 30 aerei KC-135 e KC-46 dell’aeronautica militare statunitense, che sarebbe avvenuto nella notte tra il 15 e il 16 giugno. Lo spostamento di questi ultimi è stato confermato autonomamente dall’agenzia di stampa britannica BBC e dalla rivista specializzata The Aviationist; quest’ultima scrive che la maggior parte dei velivoli sarebbe atterrata ieri mattina presso la base aerea di Ramstein in Germania e le basi aerea di Morón e di Rota in Spagna, due sarebbero atterrati ad Aviano, in Italia, e almeno uno a Prestwick nel Regno Unito; sarebbero poi stati trasferiti a est, verso la Grecia o la Turchia, e la loro destinazione finale rimane ancora ignota. Infine, gli USA starebbero trasferendo anche portaerei: lunedì, riporta l’US Naval Institute, la portaerei USS Nimitz ha deviato dal Mar Cinese Meridionale verso il Medio Oriente, informazione confermata anche da alcuni analisti. Un funzionario anonimo avrebbe successivamente confermato il trasferimento della portaerei al quotidiano Newsweek.
A tutto ciò si aggiungono i movimenti, ripresi da diversi quotidiani internazionali, della base Whiteman – situata nello Stato del Missouri – delle forze aeree statunitensi, che ha detto di stare aumentando le proprie misure di sicurezza proprio a causa del conflitto in corso tra Israele e Iran. Essa è infatti sede dei Northrop Grumman B-2 Spirit, bombardieri strategici subsonici statunitensi in grado di trasportare armi convenzionali e termonucleari da oltre 1.000 chili; il B-2 Spirit, sostengono le forze aeree statunitensi, è l’unico aereo al mondo capace di trasportare rapidamente, in sicurezza e con discrezione la GBU-57 MOP una bomba guidata anti-bunker da molti ritenuta l’arma più efficace contro lo stabilimento nucleare iraniano di Fordo. Quello di Fordo è il secondo sito nucleare iraniano (il primo è quello di Natanz, che sta già venendo preso di mira da Israele), e il più difficile da colpire, perché sotterraneo e ben coperto dalle montagne. Lo Stato ebraico ha chiesto più volte agli USA di aiutarlo a distruggere lo stabilimento di Fordo, che è ritenuto il più probabile bersaglio di un eventuale attacco statunitense; esso risulta attualmente al centro delle speculazioni della maggior parte dei media, tanto che c’è chi, come il New York Times sostiene che Trump, se coinvolto, colpirebbe proprio lì.
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