L’amministrazione Trump ha annunciato la revoca del divieto di trivellazione su oltre 9 milioni di ettari nella Riserva Petrolifera Nazionale in Alaska, imposto da Joe Biden nel 2023. Il segretario degli Interni, omologo del nostro Ministro dell’Ambiente, Doug Burgum, ha dichiarato che l’energia nazionale è prioritaria rispetto alla conservazione ambientale. Il provvedimento riapre così vasti territori ad attività estrattive, sia petrolifere che minerarie, suscitando dure critiche da gruppi ambientalisti e comunità indigene, i quali temono danni permanenti a biodiversità e risorse vitali. L’area interessata, tra le più selvagge degli Stati Uniti, è habitat di caribù, orsi polari e uccelli migratori ed è storicamente centrale per la sussistenza delle popolazioni locali.
La decisione è stata resa pubblica durante una visita ufficiale in Alaska, dove Burgum – affiancato dall’amministratore dell’Agenzia per la protezione ambientale Lee Zeldin e dal segretario all’Energia Chris Wright – ha ribadito l’impegno della nuova amministrazione a “rimuovere ostacoli regolatori” e a “sbloccare il potenziale energetico nazionale”. «L’America ha bisogno di energia, non di ostruzionismo burocratico», ha affermato Burgum, in linea con il ritorno alla Casa Bianca del presidente Trump, che già nei primi giorni del suo secondo mandato ha dichiarato una “emergenza energetica nazionale” e firmato una serie di ordini esecutivi a favore dell’industria dei combustibili fossili. Tra questi, figura proprio l’annullamento di uno dei principali provvedimenti ambientali adottati sotto l’amministrazione Biden: il blocco delle trivellazioni su oltre 13 milioni di ettari della National Petroleum Reserve-Alaska e la negazione del permesso per la costruzione di una strada industriale di 340 chilometri attraverso il Gates of the Arctic National Park, richiesta per l’accesso a un giacimento di rame dal valore stimato di 7,5 miliardi di dollari. L’annuncio faceva parte di un pacchetto di misure con cui Biden intendeva rafforzare la propria eredità in materia di clima e conservazione, dopo le critiche ricevute per l’approvazione del contestato progetto petrolifero Willow. «Le terre e le acque dell’Alaska sono tra i paesaggi più straordinari e sani del pianeta», aveva dichiarato Biden all’epoca. «Sostengono un’economia di sussistenza vitale per le comunità native».
Ora, l’inversione di rotta dell’esecutivo Trump riporta tutto al punto di partenza. Ma la risposta delle organizzazioni ambientaliste non si è fatta attendere. «Questo è l’ennesimo tentativo oltraggioso di svendere terre pubbliche ai miliardari dell’industria petrolifera, sacrificando una delle ultime regioni veramente selvagge degli Stati Uniti», ha affermato Kristen Miller, direttrice dell’Alaska Wilderness League. «Queste terre sono fondamentali per la sopravvivenza di specie minacciate e per le comunità indigene che da generazioni ne dipendono. Non resteremo in silenzio mentre vengono smantellate le tutele conquistate». Tuttavia, nonostante l’aggressiva strategia pro-estrazioni, i mercati non sembrano reagire con entusiasmo. L’asta per le concessioni nell’Arctic National Wildlife Refuge, altro territorio simbolo del nord estremo, è rimasta senza offerte all’inizio dell’anno. «Ci sono luoghi troppo preziosi per essere trivellati», aveva commentato allora Laura Daniel-Davis, vice segretaria ad interim del Dipartimento degli Interni. Già nel 2021 un’asta nello stesso territorio aveva raccolto offerte soltanto per 12 dei 22 blocchi resi disponibili, circa la metà della superficie totale. Assenti le maggiori compagnie e gruppi petroliferi, solo alcune le società private che avevano mostrato interesse nelle concessioni acquisendo due blocchi. I 9 restanti erano stati vinti dallo stesso governo dell’Alaska a nome di un’agenzia statale molto criticata dagli ambientalisti, l’Alaska Industrial Development and Export Authority. I blocchi invenduti erano quindi stati ritirati dall’asta, che si era conclusa con una vendita di appena 14,4 milioni di dollari, un risultato ben lontano dalle cifre previste. Le ragioni di un tale disinteresse da parte dell’industria petrolifera potrebbero essere diverse, tra cui minori guadagni, rifiuto di finanziamenti in trivellazioni dalle banche, opposizioni ambientaliste e civili e timori per una politica più restrittiva nel settore.
La mossa dell’amministrazione Trump è destinata comunque ad aprire un fronte legale complesso, con probabili ricorsi da parte di ONG, comunità indigene e stati guidati dai democratici. Lo scontro tra interessi economici e tutela ambientale, in Alaska, è appena ricominciato. La linea dell’attuale governo è però chiara: si punta sull’espansione della produzione energetica interna, ignorando completamente le ripercussioni sul sistema socio-economico che deriverebbero dalla compromissione di ecosistemi e biodiversità.