domenica 1 Giugno 2025

Voi che governate

Voi che governate sentitevi prigionieri della storia, non della convenienza, del tornaconto, della opportunità.  Amate il rischio, vi prego, insieme alla responsabilità, come un pilota che sale sull’aereo per portare i passeggeri a destinazione. Perché dovrebbe esporli al pericolo, perché non dovrebbe amare la sua che è anche la loro meta?

Lo sguardo sul mondo si fa più cupo, voi avete il compito di trasmettere sicurezza non di punire qualcuno, dovete sentire l’obbligo di proteggere i deboli non di vendicarvi, se avrete procurato la morte invece di salvaguardare la vita sentirete un giorno crollarvi tutto addosso, compresa la vostra vita privata inevitabilmente fallimentare.

Ma ora basta prediche e moralismi. Parliamo di me, di te, di loro, va bene. Ma parliamo soprattutto di ‘noi’, della comunità estesa, senza confini a cui apparteniamo, quel luogo dove è difficile capirsi, dove qualcuno impone scelte, che sa benissimo che sono sbagliate, soltanto per dimostrare che è più forte, dove si è già costretti a fronteggiare la tracotanza e l’ignoranza di molti che guidano altri Paesi. Non aggiungetevi in ogni caso ai peggiori, sappiate dire no alle decisioni indegne.

Voi che governate, che avete la responsabilità transitoria non dico di quanto accade ma di quanto fate per evitare o favorire che avvenga; voi non spostate ancora più in qua i confini dell’irreparabile.

Non vi è stato affidato il compito di risolvere dei problemi, non siete degli scolaretti che dovete dimostrare di essere bravi. Dovete essere invece degni di noi che vi abbiamo voluto, dovete sentire il compito di far crescere il vostro Paese senza danneggiarne altri, dovete vedere aldilà di ciò che è strettamente attuale, dovete segnare strade che non ci sono ancora.

Avete l’obbligo di esprimere il meglio di noi. Se lasciate uccidere bambini, se lasciate che vengano conculcati diritti, frustrate le più semplici ambizioni, se umiliate chi da solo non ce la fa, se occultate le ragioni della giustizia e trascurate chi si vendica, se perseguite i colpevoli confondendo l’importanza oggettiva dei reati, non potete sperare nulla. Noi riconosceremo voi come colpevoli.

C’è un sistema, forse una terapia. Provate a fare una passeggiata in un bosco restando in silenzio e in solitudine prima di prendere decisioni, fate come faceva Nostro Signore con san Pietro negli antichi racconti, visitate le case di chi fa fatica a tirare avanti, in una periferia, in un quartiere disagiato, per ascoltare, per offrire una possibilità. E chiedetevi: le armi che vogliamo produrre elimineranno i loro problemi, dimostreranno quale tipo di forza? 

Si sente spesso parlare di amore. Sì, è vero, ci sono tanti tipi, tanti modi dell’amore. Il più sciocco, forse, ma indispensabile è quello di non voler avere ragione a tutti i costi. Così l’altro, gli altri forse potranno capirci. Ma a chi governa interessa davvero essere capito? Forse non ha nemmeno l’ambizione di convincere ma quella di imporsi.

«Il cibo non arriva più. Di tanto in tanto una zuppa inacidita. Cogliamo a volte un po’ d’erba, e la facciamo bollire. Raccattiamo bucce di patate nei secchi della spazzatura… E questa semi-esistenza che mi resta, la passo in compagnia di fantasmi, vivi o morti…Guardo questa cupa baracca di fantasmi, di umiliazione, di odio, questi malati immobili ridotti alla totale impotenza…un baratro nero, in cui sprofonda un’intera umanità…» (Hanna Lévy-Haas, Diario di Bergen-Belsen 1944-45, Fusi orari 2005, pp.66-67).

Quella dei campi di sterminio nazisti non è soltanto storia con i suoi dati oggettivi ma è metafora universale che deve valere ogni volta,  tutte le volte che si programma e si persegue l’estinzione del nemico invece di una semplice vittoria. Tutte le volte che viene riconosciuto come nemico anche un bimbo, una bimba che non possono difendersi.

E allora sì. L’unica guerra sia allora una guerra santa, minuziosa, intollerante, caparbia: la guerra all’odio. Capace allora di valutare la pace, quando è il caso, come l’accettazione di un perdono. Governanti, però, siatene capaci.

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Gian Paolo Caprettini

Ha insegnato all'Università di Torino dal 1975 al 2013, dove è stato professore ordinario di Semiotica e Semiologia del Cinema, ha diretto Extracampus, la TV dell'Università, e il Master di Giornalismo. I suoi libri più recenti: Scrivere come sognare (Cartman), Vertigini dell'immaginario (con A. Bálzola, Meltemi), Complice la poesia (L'Indipendente), Dizionario della fiaba italiana (Meltemi).

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