La Corte di giustizia dell’Unione europea ha confermato l’obbligo, per gli Stati membri, di tutelare le aree marine protette da pratiche di pesca distruttive, come lo strascico. La sentenza respinge il ricorso presentato da un’associazione di pescatori tedesca contro le misure di conservazione adottate in alcune aree del Mare del Nord. Secondo la Corte, vietare tecniche dannose in zone ecologicamente sensibili è pienamente conforme al diritto comunitario e rientra nelle responsabilità degli Stati. Il verdetto stabilisce che gli Stati membri sono tenuti a prendere iniziative efficaci per tutelare gli ecosistemi marini vulnerabili.
«Si tratta di una vittoria importantissima per la conservazione marina», ha commentato John Condon, avvocato dell’organizzazione ambientalista ClientEarth. «I divieti alla pesca a strascico, basati su solide evidenze scientifiche, devono essere applicati a tutte le aree protette, senza eccezioni. Solo così potremo garantire un futuro alla biodiversità marina e alle comunità costiere che da essa dipendono».
La pesca a strascico, ampiamente diffusa in tutto il mondo, prevede che una grande rete venga trascinata sul fondo del mare, così da catturare quanti più pesci possibili in un colpo solo. Il problema principale è che il ‘sacco’, soprattutto a basse profondità e a prescindere dalla sua dimensione o dalla ampiezza delle maglie, raccoglie tutto ciò che trova: strappa indistintamente via dall’ecosistema marino anche alghe, specie non commerciabili, animali ancora troppo piccoli per essere raccolti e numerosi organismi essenziali per l’equilibrio della vita in mare.
Tutto quello che si incaglia nella rete, ma che non è di interesse per il mercato – capita che rimangano intrappolate anche delle tartarughe, ad esempio, e che soffochino nella calca con gli altri pesci – finisce per essere ributtato in mare. Spesso, però, accade quando ormai è troppo tardi.
Com’è intuibile, oltre alle specie viventi, lo ‘stascico’ non risparmi neppure i fondali, in alcuni casi devastati a tal punto da non riuscire più a riprendersi. E ogni qualvolta che una certa parte di questi viene completamente distrutta, i pescherecci si spostano sempre più in profondità, perpetrando un circolo che potenzialmente potrebbe durare fino al totale annientamento dell’ecosistema e della biodiversità.
Per esempio nelle acque del Mediterraneo, che rispetta la legislazione dell’Ue, la pesca a strascico è stata vietata a meno di due miglia nautiche dalla costa, o ad un profondità compresa tra zero e 50 metri, e oltre gli 800 metri. Ma eludere i controlli è piuttosto semplice: spesso questi ultimi sono affidati alle autorità locali, complici in certi casi dello strazio che avviene nei mari.
La pesca a strascico è inoltre una attività che non solo danneggia e mette in pericolo l’ambiente e le specie animali, ma che contribuisce all’inquinamento tanto marittimo, quanto atmosferico: l’impiego della rete sui fondali, infatti, causa il rilascio nell’atmosfera dell’anidride carbonica immagazzinata nelle profondità marine.



