domenica 14 Dicembre 2025

La Terra dei Fuochi non è più sola

Un grido da anni attraversa la Terra dei Fuochi, muove le labbra dei suoi abitanti che denunciano, resistono e chiedono giustizia: «stop al biocidio!». Il termine «biocidio», diventato oggi di uso comune, nasce proprio da questa vicenda e dal basso, dalla riflessione interna ai movimenti che da tempo si oppongono alla devastazione ambientale. A Scampia, quartiere dell’area nord di Napoli, si parla di «biocidio» per indicare la distruzione sistematica della vita umana e dell’ambiente causata dallo smaltimento illecito di rifiuti tossici. Proprio in questo quartiere si è riunita lo scorso febbraio l’assemblea regionale della Rete Stop Biocidio, coalizione di movimenti e comitati impegnati nella lotta contro la devastazione ambientale. All’incontro hanno partecipato persone accorse da tutta la Campania, per fare il punto su di un evento dalla portata storica. Il 30 gennaio, infatti, la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha condannato l’Italia per non aver tutelato il diritto alla vita dei suoi cittadini (sentenza del 30 gennaio 2025, n. 51567/14). La pronuncia obbliga il governo ad adottare misure concrete, in tempi precisi, per fermare il biocidio, colmando l’indifferenza e l’incapacità che le istituzioni del nostro Paese – e quindi l’intero arco politico – hanno dimostrato a partire dagli anni ’80.

Da Campania felix a malaterra

L’emozione fende l’aria a Scampia. L’intervento della CEDU conferma una verità che gli abitanti della Terra dei Fuochi conoscevano da tempo, perché vissuta sui propri corpi. Il ricordo va a chi non è riuscito ad assistere a questo momento, alle lotte interrotte bruscamente dalle malattie, in un’area che da Campania felix è stata resa malaterra dall’azione criminale e inquinante della camorra. Negli anni ’80 i clan (come i Pellini ad Acerra e i Casalesi tra Napoli e Caserta) hanno infatti messo le mani sullo smaltimento illegale dei rifiuti, tanto urbani quanto speciali, come quelli provenienti da attività di demolizione e costruzione, attività sanitarie e relativi macchinari deteriorati o obsoleti, veicoli a motore e combustibili derivati.

Gli sversamenti e gli incendi sono visibili e inconfutabili, ma il negazionismo negli anni ha prevalso sulla lotta dei cittadini

I rifiuti, nell’ordine di milioni di tonnellate, sono stati dispersi nei corsi d’acqua, abbandonati in strada, interrati in discariche abusive e, al loro riempimento, dati alle fiamme (da qui l’espressione “Terra dei Fuochi”, usata per la prima volta da Legambiente nel 2003), inquinando un’area vastissima, con un’estensione di 1076 km², pari a 150 mila campi da calcio. A oggi, la Terra dei Fuochi comprende ben 90 Comuni dislocati tra la Provincia di Napoli e quella casertana. Parliamo di 3 milioni di persone esposte, più della metà degli abitanti della Campania. Grazie al sodalizio tra classe imprenditoriale, massoneria, politica e camorra, i rifiuti speciali sono finiti anche nelle discariche autorizzate a trattare materiali urbani, andando incontro a uno smaltimento inadeguato che ha avvelenato il sottosuolo – e quindi il cibo e la salute, attaccata allo stesso tempo dalla diossina sprigionata dai roghi tossici. Tutto questo sistema di auto-avvelenamento è stato mosso dal profitto: «la munnezza è oro» è la frase che ha reso celebre Nunzio Perrella, il primo boss pentito della Terra dei Fuochi. Il profitto ha mosso anche le aziende di tutta Italia che non hanno esitato a rivolgersi alla malavita per risparmiare sui costi di smaltimento.

L’importanza della sentenza CEDU

A oggi la pratica illegale di sversamento e incendio non è stata sradicata (tra giugno e ottobre 2024 si sono registrati quasi 500 roghi tossici nella Terra dei Fuochi). Lo sottolinea l’avvocata Valentina Centonze durante l’assemblea di Scampia, ricordando a tutti i presenti che la pronuncia del giudice europeo riserva un ruolo centrale ai cittadini, gli abitanti della Terra dei Fuochi che negli ultimi tre decenni hanno dovuto combattere anche contro il negazionismo e le accuse di allarmismo. Tra le misure vincolanti disposte dalla CEDU figurano la bonifica del territorio, il monitoraggio costante e indipendente, la trasparenza sulle informazioni ambientali e sanitarie. Lo Stato italiano dovrà agire nei prossimi due anni, a partire da maggio, da quando la sentenza CEDU dovrebbe diventare definitiva. Il condizionale è d’obbligo, dal momento che il ministro dell’Ambiente Gilberto Pichetto Fratin ha dichiarato che il governo valuterà se presentare ricorso. «Non basta il danno subìto, dopo pochi giorni arriva anche la beffa di una classe dirigente che invece di chiedere scusa e rimboccarsi le maniche prova a difendere la propria bella faccia», ha commentato la Rete Stop Biocidio, che nel periodo di tempo predisposto dal giudice europeo potrà produrre delle osservazioni da sottoporre al Consiglio d’Europa, l’organo deputato a decidere sul rispetto, o meno, di quanto deciso a Strasburgo. I cittadini potranno quindi riferire su monitoraggio, denunce e stato dei lavori. Nel frattempo, il governo Meloni ha nominato il generale Giuseppe Vadalà come commissario speciale per la Terra dei Fuochi. La Campania può “vantare” una lunga tradizione di commissari inviati come panacea dagli esecutivi più svariati, con l’obiettivo di porre rimedio alle mancanze delle amministrazioni ordinarie, salvo concludere il proprio mandato con un nulla di fatto, per uno schema tutto all’italiana. 

La prima commissione parlamentare d’inchiesta sul ciclo di gestione dei rifiuti e le relative attività illegali risale al 1995. Una relazione datata 11 marzo 1996 ha documentato la presenza di molteplici siti di discarica illegali nelle province di Caserta e Napoli, controllati dalla criminalità organizzata. La commissione ha sottolineato come non fosse stato realizzato alcun piano di supervisione o di bonifica da parte delle autorità, nonostante sapessero del biocidio almeno dal 1988. Neanche la consapevolezza che le acque sottostanti i campi inquinati venissero utilizzate per l’irrigazione ha mosso le coscienze delle istituzioni, tanto locali quanto centrali. All’epoca, i reati per inquinamento e disastro ambientale non esistevano (saranno introdotti solo nel 2015) e tali comportamenti venivano trattati sul profilo amministrativo e dunque contravvenzionale. L’inadeguatezza delle sanzioni, unitamente alla scarsa comprensione dei pericoli correlati agli sversamenti e a una diffusa rete di complicità nelle amministrazioni, hanno giocato, sottolinea la commissione, un ruolo fondamentale nella diffusione del fenomeno Terra dei Fuochi, che negli anni ha ucciso decine di migliaia di persone.

L’impatto devastante sulla salute

Gabriel ha perso suo padre per un tumore all’età di 14 anni. Da allora, si è dedicato alla lotta contro l’inquinamento della sua zona, diventando uno dei più influenti attivisti locali

Nei primi anni 2000 gli studi sulla mortalità e sull’incidenza di malattie nella Terra dei Fuochi si moltiplicano, restituendo un quadro allarmante. Tra i primi a suggerire la causalità tra inquinamento e insorgenza di malattie vi furono gli autori della rivista medica Lancet Oncology, che sottolinearono come, in questa zona, nel febbraio 2002 i tassi di cancro al fegato, leucemia e linfoma fossero molto più alti rispetto al resto d’Italia. In una ricerca condotta tra il 2005 e il 2007, l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) «ha mostrato che il rischio di mortalità associato a diversi tumori», come quello allo stomaco o alla trachea, «e il rischio di malformazioni fosse più alto a cavallo tra le province di Napoli e Caserta che nel resto della Campania», si legge nella sentenza n. 51567/14 della CEDU – l’ultima di una lunga serie di condanne allo Stato italiano iniziata nel 2007. La novità rispetto al passato è l’imposizione di obblighi concreti e scadenze precise. 

Le risposte delle istituzioni, insufficienti e incapaci di raggiungere risultati concreti, sono giunte a seguito della mobilitazione dal basso, che ha combattuto inerzia e segreti di Stato. Tra questi, vi era quello posto alle dichiarazioni di Carmine Schiavone, boss pentito dei Casalesi, che già nel 1997 aveva fatto nomi e indicato luoghi altamente inquinati: le sue dichiarazioni furono desecretate solo nel 2013. Nello stesso anno non ha usato mezzi termini la quinta commissione d’inchiesta sulla gestione dei rifiuti in Campania, trovando che il disastro ambientale in corso nella regione avesse un impatto storico paragonabile «solo alla diffusione della peste nel XVII secolo». A titolo d’esempio, la commissione parlamentare ha osservato che ad Acerra, nella località Calabricito, il livello di diossina nel 2006 era 100 mila volte superiore al limite previsto dalla legge. L’11 luglio 2013 è stato firmato il Patto per la Terra dei Fuochi, con lo scopo di monitorare il territorio e rimuovere i rifiuti. A dicembre, pochi giorni dopo il corteo-fiume che aveva portato tra le strade di Napoli 100mila persone, il governo Letta approvò il decreto legge n. 136, riconoscendo la situazione in Campania come un’emergenza ambientale. L’atto si muoveva lungo tre direttrici: mappatura dei terreni agricoli, monitoraggio e decontaminazione, ma a causa di ritardi, disorganizzazione e poca trasparenza la crisi non è stata risolta, le bonifiche latitano, la terra continua a bruciare. A oggi, come sottolineato dal giudice europeo, è stato bonificato appena il 3% dei 4692 siti a rischio

Spazzatura galleggia sul fiume Sarno, uno dei più inquinati d’Europa

«Mentre la curva delle patologie aumenta, i fondi per curare le persone malate diminuiscono», dice Luigi Di Costanzo, medico di base e volto noto dell’attivismo nella Terra dei Fuochi, ricordando alle persone presenti a Scampia il collasso a cui sta andando incontro il sistema sanitario nazionale, in particolare nelle Regioni del Sud. «Sarà sempre più difficile curarsi», avverte. Per questo motivo, oltre all’avvio di un piano strutturale di bonifica e alla fine degli sversamenti e dei roghi, Di Costanzo chiede risorse per incrementare la prevenzione – un lusso che sempre meno cittadini possono permettersi. Tavoli di lavoro sulla salute, come quello che nel 2021 ha portato alla nascita della Carta di Carditello, e l’esenzione “ticket ambientale” sono vie immediatamente percorribili. Di Costanzo rilancia anche il Progetto Epica, che mira a incrociare le informazioni presenti nei database dei medici di base per avere un aggiornamento costante e globale del quadro patologico, superando di fatto i limiti dell’attuale registro tumori che viaggia con un buco informativo di diversi anni. Il rapporto dell’ASL Napoli 2 Nord, che copre vari territori fortemente inquinati come Acerra, è aggiornato al 2018. I dati sono stati resi pubblici solo nel 2023, dopo accese proteste da parte della cittadinanza. Acerra, città martoriata dagli sversamenti illegali e dai roghi dove opera dal 2009 il più grande inceneritore d’Italia, ha registrato per il periodo 2013- 2018 l’incidenza di cancro peggiore del Paese. 

La potenza della mobilitazione

È giusto concludere questo viaggio ricordando ancora una volta la crucialità della mobilitazione popolare. Nel 2013 è nata la Rete Stop Biocidio, che raggruppa varie realtà cittadine: Gabriel Aiello, uno dei numerosi volti che la compongono, ha sposato l’attivismo nel settembre 2014, all’età di 14 anni, quando nel cercare di capire da dove provenisse il tumore che aveva ucciso il padre pochi mesi prima s’imbatté in quello che è stato l’elefante nella stanza per eccellenza per milioni di campani, la Terra dei Fuochi. Gabriel mi racconta della nascita del primo movimento studentesco contro il biocidio, C’at accis a salut (Ci avete ucciso la salute), dei cortei nell’hinterland napoletano, della saldatura nella Rete negli anni più movimentati per l’attivismo campano. 

«Dopo il 2013 si è tentato (e si è anche riuscito, in qualche modo) a spegnere le proteste. C’è stata una parte istituzionale che ha negato la Terra dei Fuochi, come Vincenzo De Luca», mi spiega, commentando la portata della recente sentenza CEDU che, oltre a ridare slancio alla mobilitazione, si configura a tutti gli effetti come «una restituzione di verità», che inchioda tutto l’arco politico che in questi anni si è alternato al governo. «Per abbattere questo silenzio abbiamo pensato di rivolgerci al garante di tutti noi e della Costituzione, Sergio Mattarella, lanciando una petizione che in una settimana ha raccolto più di 4 mila firme». Questa ha uno scopo ben preciso: non spegnere i riflettori sulla Terra dei Fuochi ma ottenere il suo risanamento. La mobilitazione popolare – e tornano in mente i cortei fiume degli ultimi dieci anni – sarà cruciale. 

I cittadini, traditi da chi avrebbe dovuto rappresentarli e tutelarli, devono riprendersi i propri spazi, fortificare e diffondere la propria voce. È il principio delle radici: nessuno può avere più a cuore degli stessi abitanti il diritto di vivere serenamente nella propria terra. Perché sia Terra e basta, senza più alcun fuoco che la devasti

[testo di Salvatore Toscano, foto di Gianni Esposito]

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