venerdì 21 Marzo 2025

La crescita infinita è insostenibile e svantaggiosa: uno studio Lancet smonta il modello capitalista

La crescita continua non è solo insostenibile dal punto di vista ambientale, ma rischia di essere svantaggiosa, e a tratti irrealizzabile, dal punto di vista sociale, politico, e addirittura economico. Lo sostiene una recensione analitica apparsa recentemente sulla rivista scientifica The Lancet – Planetary Health, dedicata al tema della cosiddetta post-crescita, una tesi economica che si fonda sull’idea di migliorare il benessere umano. Lo studio prende in analisi l’avanzamento dei modelli di post-crescita e degli studi sul tema, soffermandosi in principio sulla ragione per cui serva ripensare il sistema economico globale: quest’ultimo si fonda sul presupposto che la tecnologia cresca in maniera esponenziale e a una velocità sufficiente a compensare la resistenza derivante dall’esaurimento delle risorse, consentendo alla crescita di continuare senza limiti; eppure, rivela lo studio, non è davvero così. La crescita esponenziale del PIL è infatti strettamente interconnessa con l’aumento dei danni ambientali, la diminuzione dei benefici del reddito, il calo nei livelli di benessere umano e l’emergere di rischi sociali e politici.

Lo studio della rivista The Lancet si intitola “Post-growth: The science of wellbeing within planetary boundaries” (“Post-crescita: La scienza del benessere entro confini planetari”) ed è stato pubblicato nel volume di gennaio. Esso costituisce il primo studio composito e completo sullo stadio di avanzamento dei modelli e della ricerca relativi al tema della post-crescita. L’idea centrale della post-crescita è quella di sostituire l’obiettivo primario di aumento del PIL che caratterizza il modello capitalista con quello di migliorare il benessere umano “entro tutti i confini del pianeta”. Prima di trattare della questione, tuttavia, va capito per quale motivo una rivoluzione del modello economico capitalista è necessaria e perché l’idea di crescita senza freni sulla quale esso si poggia non sia davvero sostenibile e vantaggiosa come esso stesso proclama. Per questa ragione, la prima parte dello studio è dedicata proprio a una decostruzione concettuale dell’idea capitalista di sviluppo. Qui, l’articolo rivela le correlazioni tra aumento del PIL e danni ambientali, sociali, politici ed economici, sottolineando come il ritmo e le modalità dell’avanzamento tecnologico che il modello capitalista impone non siano sostenibili sotto nessuno di questi punti di vista.

Gli studi relativi al cosiddetto “modello dei limiti alla crescita” vengono innanzitutto analizzati secondo la prospettiva ambientale. Inizialmente, data la natura cumulativa della crescita composita, l’ipotesi dei modelli di limite era che in alcuni casi l’apparente abbondanza (di risorse minerali, idrocarburi, metalli, ma anche di ricchezza e produzione) avrebbe raggiunto un punto di apice, per poi vivere una parabola discendente e trasformarsi rapidamente in scarsità. Secondo questo scenario, alla crescita del capitale industriale sarebbe associato un aumento del consumo di risorse, e con l’aumento del consumo di risorse, il flusso di estrazione, approvvigionamento, produzione e lavorazione arriverebbe a un punto di collasso che farebbe crollare la base industriale e tutto ciò che dipende da essa.

Con gli anni, questa tesi, che l’articolo definisce “modello standard dei limiti alla crescita”, è stata integrata con la considerazione che prima o poi avverrà un collasso economico a causa dell’inquinamento persistente e del suo impatto sulla stabilità dell’ecosistema. Questo scenario sostiene che i problemi climatici e ambientali che emergono da un uso sregolato delle risorse non rinnovabili finirebbero per causare una diminuzione della capacità rigenerativa di quelle rinnovabili, portando così a un aumento dei prezzi anche su quel fronte. A tal proposito, l’articolo cita nuovi studi secondo cui – nei prossimi 26 anni – la crisi ambientale rischierebbe di portare a un aumento dei costi che ridurrebbe la crescita economica del 19% del PIL pro capite. A questi argomenti viene spesso opposta la considerazione che la crescita tecnologica permette un uso più efficiente delle risorse, tale da disallineare la crescita del PIL con la loro diminuzione. Per quanto questo sia vero, il problema del disaccoppiamento, sottolinea lo studio, è risolvibile solo dal punto di vista relativo, ossia della quantità delle risorse disponibili. Tutti i problemi legati non tanto all’esaurimento delle risorse, ma al loro sfruttamento, persistono.

Un altro limite della crescita capitalistica è quello sociale. Negli anni, si è osservato come, superato un certo livello di reddito, all’aumento del PIL non corrisponde un aumento del livello di benessere: l’ipotesi dei limiti sociali, nello specifico, sostiene che esiste un limite al miglioramento che la crescita apporterebbe al benessere soggettivo, perché gli esseri umani si adattano a livelli di reddito più elevati. Questo accade per svariati motivi, ma uno dei più importanti è il fatto che, all’interno di un modello incentrato sulla crescita economica, la produzione finisce per rientrare in un sistema a somma zero per quanto riguarda i benefici di base. Una volta raggiunto un certo livello di redditività e ottenuti i benefici sociali di base per tutti, insomma, la continua crescita finirebbe solo per avere dei costi sul benessere dei cittadini, come per esempio quelli ambientali, diventando antieconomica. Diversi studi, sostiene l’articolo, dimostrano inoltre che, sebbene fino a un certo grado i livelli di benessere aumentino con l’incremento del PIL, non è affatto vero il contrario, ossia che diminuiscano con il calare del PIL. Ad aumentare il benessere, piuttosto, sono tutte le misure di natura sociale, incentrate sui benefici pubblici, quali investimenti nella sanità, nella creazione di reti sociali di solidarietà o nelle politiche del lavoro. Strettamente intersecata con la questione sociale c’è infine quella economica: l’articolo mostra come una maggiore crescita economica, paradossalmente, finisca per causare una minore crescita dei redditi pro capite. Questo significa che, più aumenta la ricchezza, più essa si concentra nelle mani di pochi. Con l’aumentare della crescita economica, inoltre, sembra verificarsi l’avvento di un periodo di stagnazione e rallentamento, diminuendo anche la produttività nella ricerca.

[di Dario Lucisano]

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7 Commenti

  1. Sono nato settanta anni fa e già nel 1972 leggevo I Limiti Dello Sviluppo, ricerca del Massachusetts Institute of Technology e del Club di Roma, dove si spiegavano gli stessi concetti anche se su modelli ormai sorpassati. Il capitalismo non è “scientifico” e non è basato sulla ricerca di un sistema otttimale per l’organizzazione sociale dell’umanità, ma solo sull’avido desiderio di profitto di pochi possessori di grandi capitali. Il turbo-capitalismo e il neo-liberismo attuali sono la caricatura grottesca, dello stesso principio del capitalismo classico, che sta mostrando i suoi effetti infernali e auto-distruttivi nella distruzione di interi territori ed ecosistemmi planetari e nel maldestro e satanico tentativo di controllare la ricaduta sociale tramite una schiavistica sorveglianza tecnologica totale sulle popolazioni. Un piccolo libro, senza le pretese degli scienziati pubblicati su Lancet, spiega l’assurdità della crescita infinita in maniera semplice, facilmente comprensibile e indiscutibilmente comprovata: NO PLANET B di Mike Berners-Lee.
    Come scritto in uno di questi commenti, i demoni potenti del profitto se ne fregano, ammesso che capiscano, e non verranno fermati da alcuno studio o ricera … forse solo da un immane, terrificante disastro planetario.

  2. Fa sempre bene sentire che il sistema turbo capitalista non funziona anche se repetita iuvant. Se però lo scrive “Lancet” allora fa’ più effetto… La spinta scellerata e darwinista della crescita economica così concepita dalla visione anglo-americana del mondo non può funzionare perché distrugge di più di ciò che è in grado di produrre e non solo come beni materiali ma soprattutto di benessere psico-sociale. Il guaio è che i nostri governanti non lo ammettono, cercando una soluzione pacifica del problema, ma aspettino ancora con trepidazione che sia la stupida Guerra a risolvere i problemi di crescita in un ciclo inesorabile di morte e violenza.

  3. Ai miei tempi, negli anni 80, si studiava l’ECONOMIA, quella VERA, quella che vale a PRSCINDERE dal tipo di sitema economico. Mettiamo un attimo da parte i problemi economici e ambientali poichè in realtà NON SAPPIAMO quanto il Pianeta sia in grado di rigenerarsi e COME. La crescita del PIL in uno Stato NON vuol dire che tutti stiano meglio, poichè una cosa è il PIL totale altra cosa la DISTRIBUZIONE tra i cittadini dell’aumento della ricchezza, la crescita del PIL potrebbe (e adesso sta avvenendo proprio questo) avvantaggiare una piccola parte della popolazione e la stragrande maggioranza stare addirittura peggio. Ai mei tempi insegnavano che DEVE esserci un intervento regolatorio dello Stato in seno all’economia nei generi di MONOPOLIO e nei generi di prima necessità (in primis acqua ed energia elettrica)…Poi, a un certo punto della Storia la UE (e non solo) si è innamorata della magica parola “liberalizzazione” senza spiegare PERCHE’ i privati dovrebbero poter gestire qualunue cosa e sappiamo com’è finita!!!!…. A propositoi con la “liberalizzazione” la bolletta dell’energia elettriva vi costa meno VERO?

  4. Solo ideologie e tirate a caso, una vale quanto il suo contrario, un po’ come le storie sull’Universo che cambiano ogni giorno da quando sono nato🤣😂
    Andando sul concreto la mente umana lavora a dieci bits al secondo, praticamente va in difficoltà a seguire cosa succede in una classe delle elementari, altro che la crescita della tecnologia futura del Mondo 😂🤣
    Magari l’intelligenza artificiale che invece di essere nutrita con 200 grammi di spaghetti, riceverà l’energia di centrali nucleari riderà di noi, speriamo!

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