«L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali…» inizia così l’articolo 11 della Costituzione italiana, approvato nel 1947 dopo la tragica esperienza della Seconda guerra mondiale. Eppure, sono una quarantina le missioni militari nelle quali l’Italia è impegnata oltreconfine, per un totale di 11.166 unità delle Forze armate impegnate e con una spesa complessiva di 1,82 miliardi di euro per il solo 2024. I militari italiani sono presenti in Africa, Asia, Medio Oriente, Europa, con interventi di carattere diverso, accomunati dal fatto di non essere mai chiamate “guerre” ma, secondo la neolingua del politicamente corretto, di volta in volta azioni di peace-making (formazione della pace), peace-keeping (mantenimento della pace) e peace-building (costruzione della pace), fino al paradossale peace-enforcement (imposizione della pace). A queste si mischiano poi le operazioni di cosiddetta “lotta al terrorismo”.
Nel corso degli ultimi anni, la partecipazione delle Forze armate italiane a missioni militari all’estero ha assunto una notevole importanza, sia in considerazione dell’incremento delle operazioni che hanno visto impegnati contingenti militari italiani, sia sotto il profilo del maggior impiego di uomini e di mezzi, connesso alla più complessa articolazione degli interventi ai quali l’Italia ha contribuito. Dal secondo dopoguerra a oggi, l’Italia ha partecipato a oltre 120 missioni militari fuori dai propri confini: una quarantina sono quelle tuttora in corso, dopo che tre nuove operazioni sono state approvate per l’anno 2024. La presenza internazionale italiana è cresciuta, in particolare, attraverso la partecipazione alle operazioni militari conseguenti alla crisi del Golfo Persico (1990-1991) e alle turbolente vicende dei Balcani; il numero di missioni svolte in ciascun anno ha superato mediamente le 20, raggiungendo quota 30 nel 1999 e mantenendosi intorno a questa cifra dagli anni 2000.

L’impegno italiano spazia dalle missioni UE a quelle NATO e ONU, seguito da un numero crescente di missioni bilaterali o in coalizione con i partner euroatlantici. Anche la dimensione dei singoli contingenti nazionali è molto varia, andando da missioni con pochissime unità – spesso addestratori e formatori delle forze di polizia locali, ruoli in cui l’Italia è considerata maestra – a numeri molto più consistenti, come la NATO Enhanced Vigilance Activities, che prevede fino a 2340 unità sul terreno. In media i militari tricolore impegnati all’estero sono circa 7600. Roma si colloca così ai primi posti come contributore per gli interventi militari dell’Unione Europea e sale sul podio anche come contributore nelle missioni NATO e nelle missioni delle Nazioni Unite tra i partner europei.
Le nuove missioni
Il 26 febbraio 2024 il Consiglio dei Ministri ha deliberato e approvato la prosecuzione delle missioni internazionali e delle «iniziative di cooperazione allo sviluppo» e l’avvio di tre nuove missioni per il 2024. L’Operazione Levante riguarda il potenziamento del dispositivo militare in esito al conflitto Israele-Hamas (Palestina): l’area geografica di intervento comprende Israele, Cisgiordania, Striscia di Gaza, Libano, Egitto, Giordania, Cipro, Emirati Arabi Uniti, Qatar e regione del Mediterraneo Orientale. Sono stati stanziati oltre 3 milioni di euro per un massimo di 192 unità di personale militare, 10 mezzi terrestri, una unità navale e una aerea. Il mandato ufficiale recita: «A seguito dello scoppio del conflitto Israele-Hamas, avvenuto il 7 ottobre 2023, la Difesa è stata chiamata a fornire contributi per fronteggiare una situazione che prefigura una potenziale escalation e impone un approccio integrato». Viene poi prorogato l’impiego «di un dispositivo multidominio in iniziative di presenza, sorveglianza e sicurezza nell’area del Mar Rosso e Oceano Indiano Nord-Occidentale», che ricomprende in realtà missioni già attive come Atalanta e Agenor e la nuova operazione dell’UE EUNAVFOR Aspides, per un totale di 642 militari, 2 mezzi navali e 5 aeromobili per un costo di 42.650.121 euro.
Queste missioni mirano a «salvaguardare la libertà di navigazione» nelle aree che vanno dal Mar Rosso al Golfo di Aden fino al Golfo Persico e le varie zone di possibile intervento di gruppi organizzati come gli Huthi, i ribelli yemeniti che in sostegno al popolo palestinese e contro Israele si stavano spendendo per attaccare le navi mercantili in transito in quei tratti di mare. «È fondamentale per gli interessi nazionali italiani ed europei tutelare la libertà di navigazione nel Mar Rosso», aveva affermato Alessandro Marrone, responsabile del programma Difesa dello IAI, che aveva anche annunciato l’assunzione – da parte delle forze militari italiane – del comando operativo della missione Aspides.
Le missioni italiane in Europa
L’impegno italiano nel proteggere i propri interessi politici ed economici è evidenziato nello stesso documento, che analizza ogni missione prorogata dettagliandone il mandato operativo e gli obiettivi ufficialmente perseguiti. La Relazione governativa evidenzia come il conflitto in Ucraina, entrato nel suo terzo anno, rappresenti «un evento spartiacque con ripercussioni sistemiche». In questo scenario, sia la UE che la NATO sono impegnate in un «processo di adattamento sulla base dei documenti strategici» (rispettivamente la Bussola Strategica, approvata nel marzo 2022, per la UE e il nuovo Concetto Strategico per la NATO, approvato nel giugno 2022). E «l’Italia sostiene attivamente il rafforzamento della UE e della NATO, sia con missioni bilaterali che partecipando a missioni ONU, UE e NATO».
La NATO Joint Enterprise nei Balcani è una delle missioni su suolo europeo più importanti, anche se il contingente nazionale è stato ridotto a 1550 unità, 455 mezzi terrestri e 1 mezzo aereo. Il fabbisogno finanziario per il periodo 1° gennaio-31 dicembre 2024 è di 122 milioni di euro.
La EUFOR ALTHEA in Bosnia-Erzegovina è una missione di stampo europeo, a cui l’Italia partecipa con 247 militari, 53 mezzi terrestri e 4 aerei. Sono 23.344.189 gli euro stimati per quest’anno. Alla United Nations Peacekeeping Force in Cyprus (UNFICYP) l’Italia invece partecipa con sole 5 unità e 400mila euro; alla NATO Sea Guardian nel Mar Mediterraneo con 268 unità di personale, 1 sottomarino, 1 nave, 2 aerei e quasi 10 milioni. L’obiettivo è svolgere attività di raccolta dati e sorveglianza navale nell’area del Mediterraneo Orientale.
EUMAM Ucraina è la missione istituita dal Consiglio UE il 17 ottobre 2022, rispondendo alla richiesta di sostegno contro la Russia da parte delle autorità ucraine nel settore dell’addestramento militare. 80 gli addestratori per una spesa annua di oltre 10 milioni di euro. L’EUNAVFOR MED – operazione Irini, anch’essa missione UE, ha come scopo di controllare il blocco delle armi da e per la Libia, anche se tra gli obbiettivi concreti troviamo quello di formare la Guardia costiera e la Marina libica nelle sue attività di controllo e respingimento dei migranti. Prevede anche un’attività di presenza e sorveglianza navale nell’area di interesse strategico nazionale. La sede operativa si trova a Centocelle, a Roma. Sono 459 i militari implicati, 2 mezzi navali e 3 aerei, con una spesa complessiva di oltre 36 milioni di euro. Mediterraneo Sicuro è il dispositivo aeronavale nazionale nel Mar Mediterraneo, nel cui ambito è inserita la missione bilaterale in supporto alla Marina libica. Tra gli obbiettivi rientrano quello del contrasto al terrorismo e della «tutela degli interessi nazionali» italiani, che si concretizzano nel controllo e blocco dell’immigrazione irregolare e nella sorveglianza armata a protezione delle piattaforme estrattive dell’ENI, ubicate nelle acque internazionali al largo della costa libica. 822 unità di personale militare, 6 mezzi navali più uno dedicato all’assistenza della Marina libica – come dimostrato da anni impegnata nel blocco dei migranti attraverso detenzioni, estorsioni, torture e omicidi – e 8 mezzi aerei. Il fabbisogno finanziario è previsto in oltre 132 milioni di euro.

Sono numerosi, infine, i dispositivi per la sorveglianza degli spazi aerei, navali e terrestri dell’Alleanza a cui partecipa il Belpaese, contribuendo con personale, mezzi e denaro alle attività NATO. La presenza maggiore dei militari tricolore, che è anche aumentata quest’anno, è nella missione Enhanced Vigilance Activities – Forward Land Forces, in Slovacchia, Bulgaria, Romania e Ungheria nei battlegroup multinazionali. Sono 2340 le unità militari italiane, con oltre 1000 mezzi terrestri e 9 mezzi aerei. Quasi 171 i milioni di euro destinati a questa missione. Anche in Lettonia siamo presenti con 303 militari, 103 mezzi terrestri e una spesa di 35 milioni di euro all’anno.
In Asia e Medio Oriente
Nella delibera, il governo sottolinea che il Medio Oriente, in cui già permanevano tutti i «cronici fattori di criticità», è tornato epicentro di attenzione a partire dal 7 ottobre 2023, con l’attacco di Hamas nel sud di Israele. Il conseguente conflitto – e genocidio in corso – nella Striscia di Gaza, infatti, ha come conseguenze, tra loro interdipendenti, le crisi tra forze armate israeliane e Hezbollah sul confine libanese, gli attacchi degli Huthi yemeniti alle navi in transito nel Mar Rosso e nel Golfo di Aden e altri focolai di tensione in Siria e Iraq, con il comune denominatore della non ufficiale sponsorizzazione iraniana. In un quadro marcato da notevoli complessità, in cui non si può escludere una crescente diffidenza dei Paesi arabi verso il cosiddetto Occidente collettivo per effetto del supporto verso lo Stato di Israele – si legge ancora nella delibera – «assume ancor maggiore importanza la capacità di mantenere e rafforzare collaborazioni sul piano militare con i Paesi della regione, tra i quali, oltre a partner consolidati, appare opportuno annoverare anche l’Iraq».
Sono numerose le missioni militari a cui partecipano le forze armate italiane, spesso giustificate dall’impegno nella lotta al terrorismo e nella “stabilizzazione della pace”; tra le più importanti la United Nations Interim Force in Lebanon – UNIFIL, dove l’Italia partecipa con 1292 militari, 375 mezzi terrestri, 7 mezzi aerei e 1 mezzo navale, e oltre 160 milioni di euro di spesa. Sempre in Libano è la missione bilaterale di addestramento delle forze armate nazionali, che prevede 105 unità sul territorio e un fabbisogno finanziario stimato in 8 milioni di euro. L’Italia è molto attiva nell’addestramento di altre forze di polizia e militari e, su richiesta dell’Autorità Nazionale Palestinese, l’entità palestinese che governa in Cisgiordania sostenuta dalla cosiddetta “comunità internazionale”, aderisce alla missione bilaterale di addestramento delle forze di sicurezza palestinesi, addestrando polizia e forze investigative con 39 militari e 1,3 milioni di euro di investimento.
Alla coalizione internazionale di contrasto alla minaccia terroristica di Daesh (ISIS) l’Italia partecipa con 1000 militari, 180 mezzi terrestri e 16 arei, oltre che una spesa prevista di oltre 242 milioni di euro. Aderisce anche alla missione NATO in Iraq, sempre per contrastare le milizie islamiste, con 75 unità di personale e 17 milioni. Non è tutto: personale italiano è impegnato anche nelle missioni ONU in India e Pakistan (UNMOGIP, con 114 persone e 242 mila euro) e negli Emirati Arabi Uniti, in Kuwait, in Bahrain, Qatar e a Tampa per le esigenze connesse con le missioni in Medio Oriente e Asia, destinando 145 militari, 2 aerei e quasi 27 milioni di euro.
In Africa
Il Nord Africa – si legge ancora nella delibera – è probabilmente la regione in questo momento maggiormente contendibile e di crescente interesse per molteplici attori internazionali. In tale regione rivestono particolare interesse per l’Italia gli sviluppi in Tunisia e nella vicina Libia. Per giustificare l’impegno militare vengono sottolineate le minacce legate al terrorismo, alle instabilità economiche e perfino al cambiamento climatico, che renderebbe ancor più problematica la gestione dei già dedicati equilibri, con «conseguenti effetti di limitato accesso alle risorse e spostamento di grosse masse migratorie».
Si trova in questo capitolo un’altra missione in Libia, che deriva da accordi bilaterali tra il governo di Roma e quello di Tripoli, di «assistenza e supporto»: anche qui si parla di addestramento delle forze di sicurezza libiche per le attività di controllo e contrasto dell’immigrazione illegale e delle minacce per la sicurezza della Libia. Questa comprende 200 militari italiani e 1 aereo, per un ammontare di circa 25 milioni di euro. Sulla stessa onda c’è la missione bilaterale di cooperazione in Tunisia, istituita nel 2019, che ha lo scopo di fornire supporto per la costituzione di tre comandi regionali per la gestione delle attività di controllo del territorio e per la realizzazione di una info-struttura attraverso la costituzione di un Tactical Operations Center, sulla base del modello italiano interforze. Gli obbiettivi sono sempre il contrasto al terrorismo e il controllo delle frontiere, dato che la Tunisia è uno dei Paesi da cui partono più migranti verso le coste europee. Ne fanno parte 15 persone in tutto per una spesa di 300 mila euro.
Anche la missione bilaterale di supporto nella Repubblica del Niger va nella stessa direzione: rafforzare le forze armate e le forze di sicurezza nigerine per concorrere alle attività di sorveglianza delle frontiere sono gli scopi dichiarati. Vi fanno parte 500 militari, 5 mezzi aerei e 15 terrestri, per una spesa di 58 milioni di euro. La missione europea EUMPM Niger è volta al «sostegno e formazione» delle forze armate nigerine, a cui l’Italia partecipa con 20 militari e quasi 2 milioni di euro. E ancora la United Nations Mission for the Referendum in Western Sahara – MINURSO, che tra i vari obbiettivi ha quello di attuare il programma di rimpatrio dei rifugiati (2 persone e 325 mila euro), la Multinational Force and Observers in Egitto – MFO (70 militari italiani, 3 mezzi navali e 7,3 milioni di euro), la European Union Training Mission Somalia – EUTM Somalia, sempre per l’addestramento di forze militari: 171 le unità tricolore, 35 mezzi terrestri e circa 20 milioni di euro.

Vi è poi la missione bilaterale di addestramento delle forze di polizia somale e gibutiane, dei funzionari yemeniti e delle forze armate gibutiane, che prevede 115 unità militari e quasi 7 milioni di euro e la missione presso la base militare nazionale nella Repubblica di Gibuti «per le esigenze connesse con le missioni internazionali nell’area del Corno d’Africa e zone limitrofe», con 155 militari italiani, 9 mezzi terrestri e 11,6 milioni di spesa. Sempre finalizzata ad allenare le forze armate, questa volta del Mozambico, è la EUTM Mozambico (15 unità e 1,5 milioni di euro), mentre la missione bilaterale di supporto nella Repubblica del Burkina Faso lotta contro l’immigrazione illegale e il terrorismo con 50 militari, 8 mezzi terrestri e 1 milione di spesa. Per completare la lunghissima lista manca ancora l’impiego di un dispositivo aeronavale nazionale per attività di presenza, sorveglianza e sicurezza nel Golfo di Guinea, anche qui soprattutto a protezione degli interessi estrattivi di ENI: 162 unità di personale militare, 1 mezzo navale e 1 mezzo aereo previsti, con quasi 12 milioni di euro di spesa.
Si contano, infine, anche le varie missioni estere portate avanti da Polizia, Guardia di Finanza e da personale della magistratura, soprattutto con compiti di monitoraggio e consulenza (missioni EULEX e UNMIK in Kosovo, missione di cooperazione delle Forze di Polizia nei Paesi dell’area balcanica e missione di cooperazione bilaterale denominata di assistenza alla Polizia albanese e missione EUBAM in Libia). Infine, vi è la missione bilaterale di assistenza nei confronti delle autorità libiche preposte al controllo dei confini marittimi portata avanti dalla Guardia di Finanza italiana, che si occupa di effettuare formazioni, pattugliamenti congiunti, assistenza e manutenzione dei mezzi libici, oltre che del «finanziamento dei centri di accoglienza temporanei in territorio libico e alla formazione del personale libico ivi impiegato». Milioni di euro spesi nel controllo e nella formazione delle polizie di frontiera, mentre il Mediterraneo diventa un cimitero di migranti.
Secondo la Rete Italiana Pace e Disarmo, il mondo aumenta le spese militari e il pericolo di nuove guerre si fa sempre più importante; 2443 i miliardi di dollari spesi nel 2023, con una crescita del 6,8% in termini reali rispetto all’anno precedente, mentre la spesa europea è cresciuta del 16%, il più grande aumento annuale nella regione dalla Guerra Fredda. Sempre secondo la Rete, la spesa militare italiana complessiva diretta per il 2024 sarà di circa 28,1 miliardi di euro, con un aumento di oltre 1,4 miliardi rispetto al 2023. Una crescita derivante soprattutto dagli investimenti in nuovi sistemi d’arma: sommando i fondi della Difesa destinati a tale scopo con quelli di altri ministeri nel 2024 per la prima volta l’Italia destinerà una cifra di circa 10 miliardi di euro agli investimenti sugli armamenti. Anche se siamo ancora lontani dal 2% del PIL in spese militari che richiede la NATO, l’Italia non può sicuramente essere definito un Paese pacifista. I numerosi interventi militari, anche se mascherati da interventi umanitari o di mantenimento, costruzione, formazione o imposizione della pace, sono e restano interventi militari volti a mantenere gli interessi italiani, europei e della NATO nel resto del mondo. La formazione di forze di polizia e di istituzioni statali su formato occidentale fanno parte dello stesso disegno, utile per portare avanti e giustificare i propri interessi nel tempo. Dal controllo delle frontiere al proprio fabbisogno energetico (piattaforme ENI e controllo nei territori di estrazione delle materie prime), al mantenimento del privilegio europeo/occidentale, dove mutamenti politici potrebbero metterlo in discussione.
[di Monica Cillerai]




Ancor pochi anni e dovranno tornare a casa che le forze armate Occidentali non le vorrà più vedere nessuno.
giustamente… il vile-ipocrita colonialismo occidentale ha gli anni contati…