giovedì 10 Ottobre 2024

I giornalisti di Repubblica hanno sfiduciato il direttore Molinari per censura

A Repubblica volano gli stracci. Ieri, infatti, il Comitato di redazione del quotidiano del gruppo GEDI ha approvato, con larga maggioranza (164 sì, 55 no e 35 astenuti), una mozione di sfiducia al direttore Maurizio Molinari e proclamato uno sciopero delle firme di 24 ore. L’episodio è stato scatenato dalla decisione del direttore di mandare al macero 100 mila copie già pronte dell’inserto economico Affari&Finanza, in uscita lunedì 8 aprile, a causa dell’articolo di apertura, riguardante i legami economici tra Italia e Francia – tra cui il ruolo del governo italiano con Stellantis, presieduta dalla famiglia Elkann, che detiene il gruppo GEDI – che portava la firma di Giovanni Pons. Il pezzo è stato cancellato e sostituito da un articolo sullo stesso argomento, redatto dal vicedirettore Walter Galbiati, con titolo, catenaccio e parte del testo differenti. La votazione del Comitato non è vincolante e, nonostante la sfiducia sia stata votata da una larga maggioranza, Molinari potrebbe comunque rimanere al suo posto. I rapporti tra il direttore e la redazione sono tesi da tempo, in particolare da quando, durante il Festival di Sanremo, il direttore bloccò la pubblicazione di un’intervista all’artista Ghali, dal momento che il suo appello alla Pace in Medio Oriente non conteneva nessun riferimento ad Hamas.

Il titolo dell’articolo incriminato di Affari&Finanza è il medesimo (Affari ad alta tensione sull’asse Roma-Parigi): a cambiare sono piccole ma significative parti di testo, che ne spostano completamente il focus. Il sommario originale recitava infatti «I casi Stm, Tim e la fuga di Arcelor dall’Ilva riaccendono le polemiche sul rapporto sbilanciato tra Italia e Francia», ma è stato sostituito con «I casi Stm, Tim e la fuga di Arcelor dall’Ilva riaccendono le polemiche. Funzionano quando è il business a guidare». Tanto il sommario quanto il resto delle modifiche apportate all’interno del testo sono insomma volte a riaffermare un primato dell’interesse dell’azienda e del business e, probabilmente, non infastidire troppo i proprietari di casa GEDI. Secondo diverse fonti, sono almeno 100 mila le copie che la Direzione ha mandato al macero, per questo motivo.

«Il direttore ha la potestà di decidere che cosa venga pubblicato o meno sul giornale che dirige, ma non di intervenire a conclusione di un lavoro di ricerca, di verifica dei fatti e di confronto con le fonti da parte di un collega, soprattutto se concordato con la redazione. In questo modo viene lesa l’autonomia di ogni singolo giornalista di Repubblica e ciò costituisce un precedente che mette in discussione, per il futuro, il valore del nostro lavoro» scrivono i giornalisti in un comunicato, denunciando l’«arbitrarietà incontrollata» che regna sul lavoro del giornale. «Quanto avvenuto è l’ultimo episodio di una serie di errori clamorosi originati dalle scelte della direzione che hanno messo in cattiva luce il lavoro collettivo di Repubblica» aggiungono i giornalisti, che concludono il comunicato riferendo la decisione di ritirare «dal giornale e dal sito le proprie firme per 24 ore – firme mortificate dall’intervento della direzione – a tutela della propria dignità professionale e indipendenza».

Non è la prima volta che volano scintille tra la redazione di Repubblica e la direzione, a cominciare dalle recenti dimissioni di uno dei suoi giornalisti a causa della linea editoriale ritenuta eccessivamente piegata sulle posizioni israeliane in merito all’aggressione israeliana a Gaza («la strage in corso è accompagnata dall’incredibile reticenza di gran parte della stampa europea, compresa Repubblica», ha dichiarato l’ex collaboratore Raffaele Oriani nel motivare la propria decisione). In occasione poi della mancata pubblicazione dell’intervista a Ghali dopo Sanremo, mentre la direzione si era affrettata a giustificarsi dicendo che non vi era stata risposta «sul 7 ottobre», il Comitato di Redazione aveva pesantemente contestato la decisione, denunciando come in questo modo si umiliasse il lavoro dei giornalisti.

[di Valeria Casolaro]

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